Repertorio Salute

Il nostro 25 aprile

Oggi ricorre il 70 anniversario della Liberazione dell’Italia.

Pubblichiamo per l’occasione due articoli in ricordo di un grande medico del lavoro e partigiano tra i più audaci: Rosario Bentivegna.

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IL NOSTRO 25 APRILE: UN RICORDO DI ROSARIO BENTIVEGNA
di Rosa Lo Nigro

Rosario Bentivegna (1922-2012), nome di battaglia Paolo, sangue siciliano di famiglia tradizionalmente impegnata nelle lotte antiborboniche e risorgimentali, è celebre soprattutto per la militanza antifascista, che intraprese durante gli anni universitari. Le azioni clandestine gli costarono precocemente l’arresto per attività sovversiva. Dopo il rilascio divenne combattente dei Gap (Gruppi di Azione Patriottica) a Roma e poi comandante partigiano sui Monti Prenestini. Il suo nome, insieme a quello della moglie Carla Capponi, di Mario Fiorentini, Lucia Ottobrini, Franco Ferri, Carlo Salinari, Franco Calamandrei, è legato ad alcune fra le più coraggiose offensive all’esercito tedesco. Determinante fu il suo ruolo nell’attentato di via Rasella del 23 marzo 1944 contro il Polizeiregiment “Bozen”: Rosario Bentivegna trasportò personalmente – con un carretto della nettezza urbana – il tritolo che colpì a morte 32 tedeschi e due civili.

ROSARIO BENTIVEGNA, MEDICO DEI LAVORATORI
di Diego Alhaique

Rosario Bentivegna non è stato solo il partigiano e il militante politico, impegnato per la pace e la libertà, la democrazia e la giustizia sociale, com’è stato ricordato in questi giorni dopo la sua scomparsa. È stato anche un medico… che, con la stessa passione e con grande competenza, ha dedicato la sua vita e la sua opera alla tutela della salute dei lavoratori e all’affermazione dei loro diritti, portando nel contempo un contributo originale e innovativo alla politica sindacale della salute e alla concezione dell’esercizio della professione di medico legale e del lavoro.

La sua attività professionale inizia nei primi anni della Repubblica. Dopo la laurea, conseguita nel 1947 anche passando attraverso rilevanti esperienze di “internato” scientifico presso alcuni istituti specialistici dell’Università di Roma, comincia ad esercitare in diversi ospedali romani. La prima espressione d’impegno nella dimensione sociale della medicina è del 1948, quando diventa medico fiduciario della Cassa mutua malattie dei lavoratori del gas della capitale, incarico che ebbe fino al 1961.

Nel 1949 la svolta che lo vedrà tra i protagonisti, per quasi un cinquantennio, della politica e della cultura della sanità e della medicina del lavoro nel sindacato: l’Inca, il patronato della Cgil, lo assume come dirigente del Servizio medico legale centrale, mentre “alto consulente” era un’altra grande figura di medico legale, Rinaldo Pellegrini.

A questi si deve la prima formulazione, nel 1960, dell’idea che la medicina legale e del lavoro dovessero integrarsi strettamente all’attività del sindacato. La tesi, avanzata da medici e sindacalisti e a cui Bentivegna apportò il suo contributo intellettuale mediato dall’esperienza di una notevole mole di attività pratica, proponeva di dar vita a quella che venne definita la “medicina sindacale” e muoveva dal presupposto che il sindacato e i lavoratori avessero bisogno di una consulenza generale medica di parte, da contrapporre a quella padronale. L’azione rivendicativa del sindacato doveva cioè essere sostenuta da solide basi tecniche, stabilendo un rapporto organico con gli esperti.

L’affermazione di questa esclusiva capacità del tecnico, sia pure di parte, di valutare, definire e indicare soluzioni, di lì ad un decennio venne sopravanzata dalla grande stagione di lotte operaie e sindacali per la salute, che videro irrompere sulla scena l’esperienza e le conoscenze dei lavoratori, cui fu riconosciuto valore scientifico dalla stessa medicina occupazionale. In questo grande movimento per il controllo dell’ambiente di lavoro, Bentivegna svolse un ruolo primario di sostegno tecnico e scientifico, insieme con Ivar Oddone e Gastone Marri, con cui fondò nel 1968, e poi diresse, la prestigiosa rivista “Rassegna di medicina dei lavoratori”, partecipando all’elaborazione di una nuova concezione dell’azione sindacale per la salute nelle fabbriche, centrata sull’intervento diretto dei lavoratori per la prevenzione dei rischi, e mettendo a disposizione la sua competenza professionale per la realizzazione di centinaia di inchieste e di piattaforme rivendicative.

Quello straordinario periodo diede i suoi frutti in conquiste fondamentali per la tutela della salute dei lavoratori e di tutti i cittadini: basti ricordare il diritto di partecipare all’attività di prevenzione (art. 9 dello Statuto dei lavoratori) e l’istituzione del Servizio sanitario nazionale, per la cui attuazione Bentivegna dedicò gran parte del suo impegno politico sindacale per tutti gli anni Settanta e Ottanta.

Fu all’inizio di questo ultimo decennio che, in qualità di responsabile del settore ambiente di lavoro dell’Ufficio sanità della Cgil nazionale, egli seppe affrontare con determinazione la crisi e il ripiegamento dell’azione contrattuale e vertenziale sul tema del controllo dell’ambiente di lavoro, contribuendo a mantenere comunque viva la cultura della prevenzione nel sindacato. Ciò anche nel confronto istituzionale, attraverso una partecipazione attentissima in diversi organismi di gestione, a cui la Cgil lo designò come proprio rappresentante, dall’Ispesl, all’Istituto italiano di medicina sociale, all’Istituto superiore di Sanità. Egli ebbe parte attiva anche nella sfera accademica e scientifica, facendo parte per molti anni degli organi direttivi della Società italiana di medicina del lavoro.

Il suo grande impegno professionale a sostegno dei diritti dei lavoratori non ebbe solo un profilo politico, ma anche pratico, espresso dall’attività di assistenza e consulenza medico-legale in molte migliaia di vertenze individuali e collettive, sindacali, amministrative e giudiziarie, sui problemi della tutela della  e di restauro del danno lavorativo, in sede previdenziale, penale e civile (indennizzi e risarcimenti), della pensionistica di guerra, dei problemi dell’invalidità civile e dei lavoratori italiani emigrati all’estero. Si tratta di una grande opera, che meriterebbe di essere studiata e pubblicata perché se ne conservi la memoria e l’insegnamento.

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