Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 3, 10 luglio 2017, n. 33305

Inidonee condizioni igienico sanitarie dei locali della Casa di Riposo. Mancata distinzione del locale spogliatolo fra i due generi: diritto alla riservatezza.


Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GENTILI ANDREA
Data Udienza: 23/11/2016

Fatto

Con ricorso del 30 settembre 2015, D.C. ha proposto impugnazione di fronte a questa Corte avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Caltagirone il precedente 13 luglio 2015 lo aveva condannato alla pena di giustizia avendolo riconosciuto responsabile, nella sua qualità di legale rappresentante della Casa di Riposo Padre Pio di Caltagirone e, conseguentemente, di datore di lavoro dei lavoratori ivi addetti, dei reati di cui agli artt. 53, comma 1, 64, comma 1, lettere a) e c), e 68 del dlgs n. 81 del 2008, per avere omesso di mantenere le condizioni igienico sanitarie dei locali della predetta casa di riposo in condizione di garantire la sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro.
Nella specie il prevenuto ha contestato la motivazione della sentenza impugnata nonché il vizio di violazione di legge, con riferimento alle imputazioni di cui ai capi a) e c) della rubrica nella parte in cui in essa, dapprima si è affermato che all’interno della predetta struttura assistenziale erano in corso dei lavori di ristrutturazione e, successivamente, si è affermato la penale responsabilità dell’imputato in quanto al momento dell’accertamento non vi erano operai presenti ed in quanto ha sanzionato penalmente la condotta del prevenuto sebbene egli si fosse adoperato per rimuovere le situazioni di rischio a carico dei lavoratori adibiti presso la struttura assistenziale da lui diretta.
La sentenza impugnata è stata, altresì, censurata nella parte in cui in essa, relativamente alla condotta di cui al capo B) della rubrica – avente ad oggetto la mancata attivazione di spogliatoi per i lavoratori dipendenti distinti in base al genere di appartenenza di costoro – è affermata la penale responsabilità del D.C., senza che sia stata sottoposta ad adeguato vaglio la effettiva integrazione del reato contestato e la concreta offensività della condotta.

Diritto

Il ricorso proposto è inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di impugnazione va detto che nella motivazione della sentenza impugnata non è ravvisabile alcuna contraddittorietà né alcuna violazione di legge, posto che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, il senso della motivazione stesa dal Tribunale di Caltagirone – nella parte in cui per un verso si dà atto della esistenza di lavori di ristrutturazione in corso di svolgimento presso la struttura di cui al capo di imputazione e d’altra parte si rileva che al momento dell’intervento dei verbalizzanti non vi erano operai intenti ad eseguire lavori a carico dell’impianto elettrico in uso presso la predetta struttura, sebbene questo presentasse delle chiare manomissioni tali da costituire un pericolo per gli addetti in servizio presso la struttura – sta proprio nell’evidenziare che la struttura in questione era al momento pienamente in funzione, ospitando essa dei degenti ed essendo in servizio presso la medesima un numero di dipendenti comunque superiore a cinque unità, sebbene un’elementare norma di precauzione, volta a preservare, per quanto qui interessa, i dipendenti dal rischio di infortuni, avrebbe imposto la sospensione della sua funzionalità durante lo svolgimento dei lavori in questione e sino al ripristino delle condizioni di ordinaria e salubre fruibilità della struttura ed ancora avrebbe, comunque, comportato l’obbligo, allorché i lavori erano – sia pure momentaneamente – interrotti, come evidenziato dalla assenza di operai intenti ad eseguire gli interventi di ristrutturazione dell’impianto elettrico, di rimuovere preventivamente gli evidenti fattori di rischio segnalati nel capo c) della rubrica contestata.
Quanto al successivo motivo di impugnazione, riferito alla mancata integrazione degli estremi del reato contestato sub b) della rubrica, osserva il Collegio che la censura del ricorrente risulta essere inammissibile posto che essa è tendente a confutare una valutazione di merito, cioè la piena integrazione del reato contestato al D.C., i cui estremi sono stati, invece, pienamente accertati nel corso della istruttoria e che, nei loro profili morfologici, neppure il ricorrente ha contestato.
Con riferimento poi alla effettiva ricorrenza della necessaria offensività della condotta ascritta al prevenuto al capo b) della rubrica, ritiene il Collegio – cui compete di esaminare, ove la questione sia stata posta in discussione, la ricorrenza del predetto elemento costitutivo dell’illecito penale (Corte di cassazione, Sezione V penale, 24 novembre 2014, n. 48698) – che l’esistenza della offensività può essere desunta dalla plausibile esistenza, ricavabile da ordinari criteri di valutazione sociale (dei quali peraltro la norma violata si fa coerente espressione), di una compressione del diritto alla riservatezza vantato dai dipendenti della impresa del prevenuto, derivante dalla mancata distinzione del locale spogliatolo fra i due generi di appartenenza del personale; né tale compressione può dirsi evitata o ridotta entro termini di ragionevole tollerabilità, ove si rilevi, come segnalato dal ricorrente, che egli ha previsto la possibilità per i fruitori del locale di una gestione turnata dello stesso in funzione del genere di appartenenza.
Una tale soluzione, infatti, è stata prevista dallo stesso legislatore come idonea ad elidere la rilevanza penale del fatto solo nel caso in cui si tratti di aziende che occupino un numero di dipendenti non superiore a cinque unità (cfr. infatti punto 1.12.2 dell’allegato IV del dlgs n. 81 del 2008): la indiscussa circostanza che nel caso di specie gli addetti al servizio della impresa del D.C. siano, invece, ben più di 5, rende irrilevante la allegazione del ricorrente.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza ovvero la inammissibilità dei motivi posti a suo fondamento, e, visto l’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016

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