Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 febbraio 2014, n. 2626

Lavoratore incornato da un toro in un’azienda agricola: art. 2087 c.c. e responsabilità del datore di lavoro.


Presidente Vidiri – Relatore Balestrieri

Fatto

Con atto di citazione del 1992, F.G., titolare dell’omonima azienda agricola di Mirandola, adiva il Tribunale di Modena premettendo: – che in data 19 luglio 1988, era deceduto B.A., suo dipendente, mentre prestava la propria attività lavorativa; – che l’infortunio sul lavoro, causato da un toro all’interno di una stalla, non addebitabile ad esso attore, aveva provocato l’intervento dell’Inail, che aveva erogato ai congiunti della vittima (moglie e figli conviventi) prestazioni economiche, non ancora determinate dall’Istituto; – che egli aveva interesse ad ottenere dall’Istituto assicuratore la quantificazione della prestazione economica erogata o da erogarsi (pensione ai superstiti), al fine di detrarne l’importo dal risarcimento richiesto dai figli del defunto B., che a tal fine avevano già adito il Tribunale di Modena nel 1990; – che, a tale iniziativa giudiziaria era rimasta estranea la signora M.S., vedova del B.; – che egli, in relazione a detta situazione processuale, aveva interesse ad ottenere l’accertamento giudiziale dei diritti della vedova del lavoratore deceduto, ed inoltre l’accertamento della esclusiva colpa di quest’ultimo nella causazione dell’infortunio del 19 luglio 1988.
Conveniva pertanto in giudizio l’Inail e M.S., chiedendo accertarsi che l’infortunio in questione, a seguito del quale aveva perso la vita B.A., era avvenuto per colpa esclusiva o, quanto meno concorrente e prevalente, di quest’ultimo, e che fosse ordinato all’Inail la determinazione dell’importo delle prestazioni economiche corrisposte o da corrispondere ai superstiti dei B., indicando i singoli superstiti beneficiari di tali erogazioni, al fine di determinare – nell’ipotesi di sua responsabilità nella causazione dell’infortunio – quanto dovuto alla vedova del lavoratore e quanto dovuto all’Istituto assicuratore a titolo di rivalsa.
Entrambi i convenuti si costituivano ritualmente.
M.S. deduceva che il marito era morto per un infortunio sul lavoro per colpa esclusiva del datore di lavoro, della cui domanda chiedeva il rigetto ed, in via riconvenzionale, la condanna al pagamento, in suo favore, della complessiva somma di L. 180.543.000, a titolo di risarcimento del danno biologico e del danno non patrimoniale, ed a titolo di rimborso delle spese funerarie.
L’Inail si costituiva resistendo alla domanda.
Il Tribunale di Modena, con sentenza del 3 settembre 2003, in accoglimento della domanda, dichiarava l’esclusiva responsabilità del B. nella causazione dell’infortunio mortale, di cui era rimasto vittima.
Il primo giudice osservava che a quest’ultimo andava addebitata una mancanza di prudenza nell’esercizio della sua mansione, certamente non in linea con la comune esperienza e con quella sua personale e specifica: come emergeva dalla incontestata ricostruzione dell’incidente, quest’ultimo “si era verificato per avere il B. assunto una posizione (addossamento alla parete) che aveva consentito all’animale di vibrargli con la testa un colpo violento e mortale all’addome, fatto questo che avrebbe potuto essere evitato sol che il B. si fosse posto, come altri e come egli stesso in precedenti occasioni, alla sinistra dell’animale, sì da poter sfuggire agevolmente ai movimenti dello stesso. Peraltro, dalle testimonianze assunte era emerso che nell’ambito aziendale era presente altro tipo di impianto che avrebbe consentito, ove adoperato, di bloccare (per la testa) l’animale che soltanto per una ritenuta maggiore comodità si era soliti ricorrere al box dove si è verificato il sinistro”.
Avverso la sentenza, S.M. proponeva separati appelli nei confronti di G.F. e dell’Inail, che, costituitisi, resistevano al gravame.
Riunite le impugnazioni, ammessa ed espletata prova per testi e nominato c.t.u., la Certe d’appello di Bologna, con sentenza depositata il 15 dicembre 2010, accoglieva il gravame, dichiarando che l’infortunio sul lavoro si era verificato per esclusiva responsabilità del datore di lavoro G.F., condannando in solido le eredi di questi, nelle more deceduto, G.M. e C.M., al risarcimento, in favore del’appellante, del danno biologico, dei danno non patrimoniale ed alla rifusione delle spese funerarie in ragione di un terzo, determinando il tutto nella somma di complessivi €.93.242,68, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal giorno dei decesso del B. al saldo, ed al pagamento delle spese del doppio grado.
Per la cassazione propongono ricorso la C. e la G., affidato ad unico motivo.
Resistono con controricorso sia l’INAIL che la M.

Diritto

1. – Le ricorrenti, senza formulare specifico capitolo di censura, lamentano sostanzialmente la violazione dell’art. 2087 c.c., evidenziando che nonostante fosse stato accertato dal c.t.u. che il sistema utilizzato dall’azienda G. per eseguire l’esame antitubercolinico sui bovini era quello generalmente adottato presso gli allevamenti zootecnici, ed ancora che, come evidenziato dal primo giudice, fu il B., ponendosi tra l’animale ed il muro, a provocare l’infortunio mortale, la Corte di merito ritenne comunque violato l’art. 2087 c.c. per non avere il G. adottato tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, risultassero necessarie per tutelare l’integrità fisica del lavoratore, riconoscendo così alla citata norma codicistica la natura di fonte di responsabilità oggettiva, in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza in materia. In ogni caso la sentenza impugnata non aveva considerato che la responsabilità datoriale in questione, viene comunque meno in presenza di comportamenti abnormi o imprevedibili, o di rischio elettivo, elementi che caratterizzavano il caso in esame.
2. – Il ricorso è infondato.
La sentenza impugnata risulta rispettosa dei principi più volte affermati in materia da questa S.C. e dal giudice delle leggi (C.Cost. n. 399\96), secondo cui seppure è vero che l’art. 2087 c.c. non introduce una responsabilità oggettiva del datore di lavoro, è altrettanto vero che, per la sua natura di norma di chiusura del sistema di sicurezza, esso obbliga il datore di lavoro non solo al rispetto delle particolari misure imposte da leggi e regolamenti in materia anti infortunistica, ma anche all’adozione di tutte le altre misure che risultino, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratore, salvi i casi di comportamenti o atti abnormi ed imprevedibili del lavoratore medesimo, ma non di colpa di quest’ultimo. In sostanza le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (ex plurimis, Cass. n. 19494\09, Cass. n. 3786\09).
Nella specie la Corte di merito ha ampiamente accertato, attraverso le qualificate testimonianze dei veterinari presenti all’infortunio, la c.t.u. espletata e le ulteriori circostanze da essa emerse (quali la presenza di strutture di immobilizzazione dell’animale o di box in tubulari metallici con aperture alle due estremità, adottate presso altri allevamenti della zona), che l’infortunio de quo, seppure in parte dovuto ad imprudenza del B., poteva essere evitato adottando le medesime misure allestite in altri allevamenti della zona, valutando inoltre che l’art. 15 del d.P.R. n. 547\55stabilisce che lo spazio destinato al lavoratore deve essere tale da consentire il normale movimento della persona in relazione al lavoro che essa deve compiere. Sotto questo profilo il giudice d’appello ha evidenziato, giusta del resto le osservazioni del c.t.u. (che ritenne comunque che il sistema utilizzato dall’azienda G. per la vaccinazione dei bovini “non fosse adeguato, mettendo i sanitari e gli altri operatori in condizioni di insicurezza”, pag. 8 sentenza impugnata) che lo spazio utilizzato per l’operazione (60 per 225 cm) era assolutamente inidoneo e cioè “risultava sottodimensionato rispetto alle dimensioni dell’animale” (ibidem), ed inoltre che subito dopo l’infortunio l’azienda G., su prescrizione del Servizio di medicina preventiva della USL n.15, aveva acquistato “un box in tubulari metallici dotato di apertura alle due estremità” facilmente apribili dall’uomo.
Sulla scorta di tali congrui accertamenti e considerazioni, neppure specificamente censurati dalle ricorrenti, la Corte bolognese ha ritenuto pertanto sussistente la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., escludendo che la semplice imperizia o imprudenza del B. fosse idonea ad escludere il nesso causale tra il verificarsi del danno e la responsabilità dell’imprenditore (in tal senso, tra le altre, Cass. n. 19404\09, n. 24435\09, n. 14918\08, n. 9817\08), ciò verificandosi solo nelle ipotesi di comportamenti abnormi, atipici ed eccezionali del lavoratore (cfr. giurisprudenza sopra richiamata), nella specie certamente da escludersi considerata la dinamica dell’incidente e le ridotte dimensioni del box.
Trattasi di motivazione corretta ed ampiamente argomentata, che non ha peraltro formato oggetto di specifiche censure nei suoi presupposti di fatto.
Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore di ciascuno dei contro ricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

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