Fonte: Punto Sicuro
articolo di Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
Mancato aggiornamento, incompletezza, omessa individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure, mancata considerazione del “notorio”, di quanto si è già verificato e della migliore scienza e tecnica: le carenze dei DVR.
Guardando la giurisprudenza degli ultimi anni in tema di valutazione dei rischi, l’idea che se ne ricava è che vi siano alcuni “errori” di impostazione nella valutazione dei rischi e nella stesura del relativo documento che ricorrono nelle varie sentenze e sono comuni a più casi.
Elenchiamo e illustriamo di seguito brevemente i principali (ovviamente sulla base di una selezione e senza pretese di esaustività, perché gli operatori della prevenzione e gli osservatori del settore ne potranno riscontrare nella pratica anche altri), prendendo come esempio – o in qualche caso solo come spunto di partenza – alcune pronunce di Cassazione.
1) Incompletezza, mancanza di specificità, incongruenza
I DVR sono a volte incompleti e/o mancanti di specificità. Un esempio giurisprudenziale può essere tratto da una sentenza dell’anno scorso (Cass. Pen., Sez. III, 27 luglio 2017 n. 37412).
Infatti
il documento per la valutazione dei rischi, presentava nel caso di specie numerose incongruenze e incompletezze (in un’impresa agricola dedita all’allevamento principalmente di ovini, ma anche di suini e bovini risultavano indicati soltanto dipendenti adibiti alla pulizia delle stalle, rispetto ai quali peraltro, non erano analizzati con completezza i relativi rischi; pure essendo analizzati i rischi per le attività di coltivazione, ossia aratura erpicatura, fertilizzazione dei terreni, falciatura e trinciatura, non era indicato alcun lavoratore addetto, sul posto era presente una voliera con pollame senza che l’attività di avicoltura fosse indicata, non erano analizzati i rischi legati all’uso di attrezzature meccaniche dell’attività di allevamento, pur presenti né risultavano indicate le mansioni specifiche dei dipendenti).
Era stata riscontrata inoltre
l’omessa indicazione del rischio biologico specifico esistente in una delle lavorazioni (in particolare correttamente evidenziando la sentenza impugnata come mentre il documento riconosceva la presenza di rischi biologici a pagina 47 non analizzava i rischi legati alla possibile presenza di agenti patogeni veicolati dagli animali, nonostante vi fossero lavoratori addetti alla mungitura e allevamento esposti a tali rischi biologici (derivanti dal contatto con gli animali). Da ciò correttamente deduceva, altresì, il tribunale, la necessità della nomina di un medico competente per la sorveglianza sanitaria, non nominato nonostante vi fosse l’esposizione al rischio biologico derivante dall’allevamento di animali.
La Cassazione ricorda così
la giurisprudenza di questa corte che ha, in numerose occasioni, chiarito come non è solo l’assenza ma la incompletezza del documento in questione a concretizzare l’ipotesi di reato, giacché, ritenendo diversamente, tale redazione assumerebbe un significato solo formale.
Dunque la Corte conferma la decisione precedente che non aveva commesso errore
nel ritenere il documento incompleto, in quanto non contenente la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori emergenti dagli accertamenti svolti, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari (in genere le attività a contatto con gli animali, la pulizia delle stalle, le attività svolte con uso di mezzi meccanici e quelle comportanti rischi biologici come la mungitura, etc…) e, in definitiva carente nelle indicazioni relative alla scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze e dei preparati impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, è congrua e logica.
Né aveva errato il Tribunale nel ritenere che
il documento per la valutazione dei rischi redatto dal titolare della ditta fosse a tal punto incompleto e confuso da non consentire ai lavoratori di comprenderne il contenuto e quindi inidoneo a svolgere la sua funzione di spiegare i rischi specifici del lavoro e gli strumenti disposti per evitare che si possono realizzare.
Riguardo alla necessità della specificità del DVR, poi, un’altra sentenza dell’anno scorso (Cass. Pen., Sez. IV, 31 gennaio 2017 n. 4706) ricorda che
lo strumento della adeguata valutazione dei rischi è un documento che il datore di lavoro deve elaborare con il massimo grado di specificità, restandone egli garante: l’essenzialità di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di tutti i rischi per la sicurezza, non è possibile una adeguata politica antinfortunistica (così, Sez.4, 13.12.2010, n. 43786, Cozzini).
2) Mancato aggiornamento periodico del DVR e considerazione della migliore scienza e tecnica
Le sentenze più recenti insistono molto sull’obbligo di aggiornamento del DVR e fanno emergere con particolare evidenza il fatto che non sempre i DVR sono aggiornati come dovrebbero.
In Cass. Pen., Sez.IV, 31 gennaio 2017 n. 4706 troviamo un buon esempio di questa frequente mancanza.
Essa descrive un caso in cui
le lesioni furono cagionate dal cattivo funzionamento del macchinario, che aveva indotto gli operai ad un lavoro più impegnativo e difficile di quello consueto: essi si dovevano occupare, infatti, anche del taglio di quelle parti di tessuto che dovevano essere tagliate dalla macchina.
Dunque
la formazione svolta in passato e la scelta dello strumento individuale di protezione era risultata perciò insufficiente, mentre sarebbe stato necessario – come ben evidenziato dalla Corte di merito – valutare il nuovo e maggiore rischio e considerare l’utilizzo di dispositivi di protezione con caratteristiche diverse, idonee a fronteggiare il mutamento e l’aumento di difficoltà del lavoro connessi al guasto del macchinario.
In particolare,
per la gestione del taglio aggravato dalla macchina non funzionante occorreva invece una informazione appropriata sullo specifico rischio, doveva essere valutato se l’operazione di taglio dei pannelli (non la semplice rifilatura) potesse essere tutta affidata alla mano dell’uomo e se fossero necessari strumenti diversi dal piccolo cutter in dotazione.
La valutazione del rischio effettuata nel 1998 non era più attuale alle contingenze del momento e doveva essere adeguata al mutamento delle condizioni di lavoro.
Infatti,
le misure atte a prevenire il rischio di infortuni vanno infatti individuate in ragione delle peculiarità della sede di lavoro e progressivamente adattate in ragione del mutamento delle complessive condizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto “dinamico” del rischio, che impone l’adeguamento degli strumenti di protezione e l’aggiornamento della formazione ed informazione del lavoratore, ogni qual volta intervenga un rischio nuovo rispetto a quello originariamente previsto. Nel caso in esame il rischio nuovo era dovuto al guasto della macchina tagliatrice.
Aggiungiamo poi che la recentissima Cass. IV Pen., 8 febbraio 2018 n. 6121 ricorda poi che il Documento di Valutazione dei Rischi
è uno strumento duttile, che deve essere adeguato e attualizzato, in relazione ai mutamenti sopravvenuti nell’azienda che sono potenzialmente suscettibili di determinare nuove e diverse esposizioni a rischio dei lavoratori.
Incombe sul datore di lavoro l’onere di provvedere, non solo ad individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, ai fini della redazione del suddetto documento, ma anche di provvedere al suo aggiornamento (così Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261109).”
Analogamente, una sentenza di un anno fa (Cass. IV Pen., 23 gennaio 2017 n. 3313) ricordava che
il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del RSPP, ha l’obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art.28 del D.Lgs. 81/2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i DPI.
3) Mancata considerazione dei pericoli “notori” e della “casistica concretamente verificabile”
Una sentenza del febbraio di quest’anno (Cass. IV Pen., 8 febbraio 2018 n. 6121) rappresenta un buon esempio di cosa si possa intendere per pericoli “notori”.
Un datore di lavoro di una s.p.a. era imputato per aver causato
lesioni personali alle dipendenti…, le quali, impiegate nell’attività di cottura di pasti destinati alla refezione scolastica […] mediante l’impiego di apposito macchinario a pressione (brasiera multifunzione a gas…), in seguito ad errate manovre di utilizzo della macchina, venivano investite da un imponente getto di calore proveniente dall’acqua in ebollizione, che cagionava loro ustioni in varie parti del corpo […].
Al datore di lavoro erano stati contestati, oltre a profili di colpa generica, anche
profili di colpa specifica, individuati nella violazione dell’art.17, comma 1, lett.b), D.Lgs. 81/2008 per non avere, l’imputato, valutato i rischi derivanti dall’impiego dei macchinari agroalimentari multifunzione per la cottura tradizionale o in pressione dei cibi.
Qui emerge molto bene il concetto di pericolo notorio che non può non essere valutato. Secondo la Cassazione, infatti,
il rischio connesso alla presenza, tra gli strumenti messi a disposizione dei lavoratori, di una macchina (brasiera multifunzione) idonea ad essere utilizzata anche per la cottura a pressione, costituendo un pericolo “notorio anche nelle ordinarie cucine dei privati”, dovesse essere opportunamente previsto e valutato.
Questo sulla base del presupposto che
il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi.
4) Mancata considerazione di ciò che si è già verificato
Citiamo un esempio per tutti. Il caso posto qui all’attenzione (Cass. IV Pen., 26 novembre 2015 n. 47002) vede come imputato un datore di lavoro il quale
non aveva preveduto nel documento di valutazione dei rischi quelli connessi all’operazione di incordatura (con particolare riferimento ai rischi relativi al contatto con gli organi in movimento) e non aveva disposto che la zona relativa all’avvolgitore della linea CAST 1 (presente nel reparto estrusione, sulla quale era avvenuto l’infortunio) fosse dotata di dispositivo di interblocco che escludesse l’avvio accidentale dell’organo ruotante denominato “aspo” quando il cancello della predetta linea risultava aperto.
Nel grado di giudizio precedente,
dopo una preliminare descrizione dell’impianto e del contesto nel quale si è verificato l’infortunio…, è stato ritenuto prevedibile il fatto che nel turno di notte si potesse arrestare l’aspo (le cui anomalie si erano più volte verificate in passato).
Tra l’altro, è interessante il fatto che
nella sentenza del Giudice di primo grado è stata presa in esame la possibilità che l’imputato, nella sua qualità di datore di lavoro, non fosse stato informato (prima dell’infortunio) della non regolare corsa dell’aspo, ed è stato sul punto rilevato che il problema dell’aspo che si fermava era così rilevante da indurre il caporeparto a dare ai dipendenti la disposizione di non entrare nell’impianto con l’aspo fermo; ciò non di meno il capo reparto non aveva riferito al responsabile della sicurezza per essere supportato nell’iniziativa e per avere lumi su soluzioni differenti e più definitive, anche al fine di deresponsabilizzarsi.
Ed è stato conclusivamente ritenuto che l’imputato colpevolmente non aveva “dato disposizioni in merito ai dipendenti affinché lo rendessero edotto tempestivamente di inconvenienti che potevano avere ripercussioni sui suoi interventi nel campo della sicurezza.
5) Mancata individuazione nel DVR delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare e dei ruoli dell’organizzazione (art.28 comma 1 lett.d) D.Lgs.81/2008)
L’obbligo di inserire nel DVR
l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri
è stato introdotto nel 2008 dal decreto 81 ma, pur essendo tale obbligo in vigore da quasi 10 anni, risulta ancora in molti casi disatteso.
Nel panorama giurisprudenziale iniziano ad essere davvero numerose le sentenze che sottolineano l’omissione di tale individuazione nel Documento di Valutazione dei Rischi aziendale.
Citiamo solo qui Cass. IV Pen., 31 gennaio 2014 n. 4961 che, nell’interpretare tale requisito, precisa che
sul piano testuale, il concetto di realizzazione (di “attuazione delle misure da realizzare” si legge appunto nell’art.28) reca in sé tanto il concetto di attività “creatrice”, ovvero che produce per la prima volta un determinato risultato, sia il concetto di attività di conservazione di quanto prodotto: la realizzazione è insomma anche l’attività permanente che consente il mantenimento nel tempo di quanto realizzato.