a cura dell’Ufficio Salute e Sicurezza ANMIL
Norme per la tutela e la sicurezza dei lavoratori digitali: sulla proposta di Legge della Regione Lazio.
Il 16 luglio 2018 si è tenuto, presso la facoltà di Economia dell’Università di Roma Tre, un convegno incentrato su una proposta di legge della Regione Lazio, che ha la finalità di introdurre un catalogo di diritti e di tutele per i lavoratori digitali, aprendo la strada ad una nuova regolamentazione relativa alle attività prestate per le piattaforme digitali.
Si tratta di piattaforme come Deliveroo e Just Eat, sulle quali era già sorta l’ipotesi, poi sfumata, di una regolazione nazionale nell’ambito del Decreto Dignità appena approvato dal governo.
Silvia Ciucciovino, docente di Diritto del Lavoro dell’Università Roma Tre e Consigliere del CNEL, nell’introdurre i lavori, ha annunciato che il CNEL stesso ha avviato un confronto con le parti sociali circa le possibili piste regolative, sia sul versante della legislazione che su quello della contrattazione collettiva.
Invero – ha ricordato la professoressa – esistono due modi per garantire tutele e diritti a questa nuova categoria di lavoratori che sfugge alle tradizionali qualificazioni: il primo è ricondurre tali soggetti alla subordinazione, con numerosi risvolti critici in relazione al fatto che tali attività non corrispondono alla subordinazione nelle modalità di svolgimento; il secondo, prevede di introdurre un catalogo di diritti. A sua volta, tale catalogo può essere stabilito sulla base delle forme contrattuali già utilizzate dai datori di lavoro per l’attività lavorativa in oggetto, oppure può essere introdotto a prescindere dalla forma contrattuale. Quest’ultima scelta è stata quella adottata dalla proposta di legge regionale.
Claudio di Berardino, Assessore al Lavoro della Regione Lazio, ha successivamente presentato la proposta di legge, che ha lo scopo di colmare il vuoto normativo su tali attività lavorative o, quanto meno, arginare le conseguenze lesive delle tutele e dei diritti dei lavoratori coinvolti. L’esempio maggiormente calzante è quello dei riders (“ciclofattorini”), che rappresentano l’8-10% di tutti i lavoratori di piattaforma e che spesso sono studenti, oppure persone che hanno perso il lavoro o che hanno la necessità di “arrotondare” lo stipendio. Dopo aver consultato i lavoratori interessati, la legge presentata interviene in diversi ambiti di diritti e tutele: in riferimento alla salute e sicurezza sul lavoro, sarà a carico della piattaforma l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, così come quella contro i danni cagionati a terzi, la formazione e i dispositivi di protezione individuali. Riguardo la tutela assistenziale e previdenziale, sarà a carico della piattaforma l’assicurazione di maternità e paternità.
In relazione al compenso, la retribuzione sarà a tempo e non a cottimo, rimandando alla contrattazione collettiva la regolazione di dettaglio.
Riguardo la necessità di monitorare in modo trasparente l’applicazione delle nuove norme, saranno creati da una parte una piattaforma su cui i lavoratori digitali dovranno iscriversi, dall’altra una consulta di esperti con compiti di monitoraggio e consultazione. Saranno inoltre istituiti protocolli d’intesa con INPS, INAIL e INL, mentre è stato stanziato un fondo di due milioni di euro per il periodo 2019-2020 per l’economia digitale.
La seconda parte del convegno è stata dedicata alle riflessioni di natura giuslavorista, esposte da numerosi professori universitari.
Per primo Roberto Romei, docente di Diritto del Lavoro a Roma Tre, ha affermato che utilizzare la soluzione della subordinazione per tali soggetti è di dubbia utilità, in ragione del fatto che il rapporto di lavoro in esame non è sempre riconducibile al rapporto datore di lavoro-prestatore. In questo senso, anche il Tribunale di Londra, in una recente pronuncia, ha definito i lavoratori di Uber “workers” (lavoratori), e non “employee” (dipendenti). Molto spesso, infatti, la piattaforma ha l’esclusivo ruolo di facilitare il rapporto tra prestatore e cliente, mentre nei casi come Uber la piattaforma è più intrusiva, stabilendo criteri a cui i lavoratori devono obbligatoriamente adeguarsi. Tuttavia, tali tipologie di piattaforme assumono solamente alcuni tratti distintivi dei datori di lavoro (ad esempio, organizzando il lavoro).
Lucia Valente, docente di Diritto del Lavoro pressol’Università Sapienza di Roma, ha affermato che la proposta di legge regionale ha il merito di aver evitato l’incostituzionalità, astenendosi dal definire il rapporto di lavoro. È importante evidenziare che è necessario studiare e poi definire il nuovo modello social-tipico da tipizzare, soprattutto a fronte del fatto che le categorie del Novecento non sono adatte a circoscrivere questi nuovi lavori. Il motivo principale risiede nel fatto che manca il datore di lavoro tradizionale: il prestatore dialoga con la piattaforma in un rapporto intermediario-intermediatore.
Dal punto di vista contrattuale, è possibile utilizzare per tali soggetti il lavoro occasionale, già regolato relativamente alle tutele previdenziali e assicurative. Del resto, predominanti nella modalità di svolgimento di tale attività lavorativa sono le richieste e le necessità del consumatore, caratterizzate entrambe da ampia volubilità. Per tale ragione, normare i lavori afferenti le nuove attività economiche digitali è molto difficile, perché si corre il rischio di “ingessare” l’esigenza di flessibilità che il mercato richiede. L’unica soluzione, per il momento, può essere certamente la contrattazione collettiva.
Michele Faioli, professore di Diritto del Lavoro presso l’Università̀ di Roma Tor Vergata e Consigliere del CNEL, ha concordato sulla difficoltà di individuare un datore di lavoro: basti pensare che Deliveroo gestisce i riders da San Francisco, geo-localizzando i singoli lavoratori operanti anche in Italia. Può essere comunque attuata una distinzione tra i diversi lavoratori digitali, a seconda della tipologia di piattaforma per cui lavorano: coloro che lavorano per Uber (e simili), ambito dominato da problemi di natura commerciale come la concorrenza; coloro che operano tramite Wicker (e affini), che rappresentano degli spazi online dove trovare professionisti, artigiani e lavoratori specializzati (dall’idraulico al falegname, ecc.); coloro che lavorano con le piattaforme attraverso cui trovare professionisti che offrono prestazioni facilmente praticabili via web (es. traduzioni di testi); infine, i “deliveristi”, su cui è focalizzata l’attenzione dei giuslavoristi così come quella dei legislatori di tutto il mondo.
In questo ambito, è necessario un intervento normativo su più livelli, partendo dallo sforzo del legislatore regionale con limitate competenze. Infatti, a livello nazionale, l’intervento può ricondurre tali soggetti nell’ambito dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 (“Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della Legge 10 dicembre 2014, n. 183”), estendendo altresì i voucher per i lavoratori realmente occasionali su piattaforma. Inoltre, a livello europeo la soluzione potrebbe essere la modifica alla Direttiva 2008/104/CE sul lavoro somministrato, introducendo previsioni ad hoc per tali soggetti partendo dalle numerose similitudini tra le piattaforme e le agenzie di somministrazione.
Mimmo Carrieri, professore di Sociologia economica e del lavoroe presidente dell’AISRI (Associazione italiana di studi sulle relazioni industriali), ha ricordato che gli interventi di conversione dell’azione di mercato, di cui la legge regionale proposta ne è un esempio, si pongono in contrasto con gli interventi regolatori “neoliberali” degli ultimi anni, i quali lasciavano ampio spazio regolativo alle “leggi di mercato”.
Il sentimento comune ha ormai bocciato la mentalità neoliberale, che ha portato alla povertà nonostante il lavoro. Bisogna comunque domandarsi quali siano le richieste dei lavoratori digitali: anzitutto, questi soggetti – in genere under 30 – si caratterizzano per il fatto di non avere rapporti con i sindacati, che guardano con diffidenza, preferendo modalità di lotta specifiche tramite strumenti di autorappresentazione. Secondo Carrieri, essi rappresentano il cosiddetto Quarto Stato che si sta organizzando in forme nuove. Proprio per questo motivo è necessario incentivare l’azione della contrattazione collettiva e delle relazioni sindacali al fine di recuperare quella distanza tra lavoratori e rappresentanza.
Arturo Maresca, professore di Diritto del Lavoro presso l’Università Sapienza di Roma, ha ricordato che l’articolo 35 della Costituzione tutela il lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”, per cui è doveroso colmare quel vuoto normativo sulle nuove frontiere del lavoro. Invero, il merito della proposta di legge regionale è quello di individuare il soggetto da tutelare a prescindere dalla qualificazione, rappresentando una “tutela minima” contro il nulla finora esistente. Altro aspetto da evidenziare riguarda il fatto che l’art. 5 della proposta stabilisce che le piattaforme hanno l’obbligo di rispettare i contratti collettivi di lavoro: una norma apparentemente inutile, ma fondamentale perché recepisce il problema cardine della promozione della contrattazione collettiva, soprattutto su temi, come il “corrispettivo”, che non sono di competenza regionale. Il professore ha concluso la propria riflessione affermando che le sanzioni previste dalla proposta rischiano da una parte di deviare la promozione di comportamenti virtuosi, dall’altra di imporre misure precettive che creerebbero problemi di competenza costituzionale.
La terza ed ultima parte del convegno è stata riservata all’intervento dell’azienda Moovenda e delle parti sociali.
Hanno inoltre partecipato: Gianpaolo Sacconi di Moovenda, Stefano Liali di Unindustria, Flavia Frittelloni di Confcommercio Roma, Stefano Di Niola di Cna Roma, Michele Azzola di CGIL Roma e Lazio, Paolo Terrinoni CISL Lazio, Alberto Civica di UIL Roma e Lazio.