Sugli obblighi contrattuali correlati al DVR: se il datore di lavoro non adempie alle prescrizioni di sicurezza rendendosi contrattualmente inadempiente, il lavoratore può rifiutarsi di svolgere la propria prestazione lavorativa.
Se il fulcro del nostro sistema di prevenzione è la valutazione dei rischi, è utile fermarsi ogni tanto a riflettere sui suoi aspetti giuridici, sugli obblighi richiesti, sull’evoluzione storica della normativa in materia, anche alla luce dei più recenti sviluppi legislativi.
A farlo è un recente Working Paper, breve saggio sul diritto della salute e sicurezza sul lavoro prodotto da Olympus, dal titolo “La valutazione dei rischi” e a cura di Adriana Stolfa (Avvocato del Foro di Trani, Master in “Gestione del Lavoro e delle Relazioni Sindacali” presso l’Università di Bari).
In merito all’evoluzione normativa, il saggio ricorda che il datore di lavoro, come soggetto titolare del rapporto di lavoro, “è obbligato sin dal 1942, ai sensi dell’art. 2087 c.c. (Codice Civile, ndr), ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Al datore di lavoro spetta dunque “il compito di individuare, di volta in volta ed in relazione alle particolari caratteristiche della prestazione lavorativa, tutte le misure di prevenzione e protezione che nel corso del tempo si rendano necessarie al fine di garantire la tutela della salute dei propri lavoratori”: è il presupposto delle “misure generali di tutela” che verranno poi riprese dal D.Lgs. 626/1994 prima e dal D.Lgs. 81/2008 poi.
Il nuovo obbligo di valutazione dei rischi, introdotto in realtà per la prima volta nel 1994 e poi riportato nel D.Lgs. 81/2008 si differenzia tuttavia da quanto già previsto nell’art. 2087 c.c.: “per la prima volta, tale valutazione deve essere elaborata a priori e non sulla base delle esperienze negative passate. Quella introdotta nel 1994, in altre parole, è una valutazione di tipo scientifico, effettuata al momento dell’avvio dell’attività aziendale sulla base della conoscenze tecnologiche acquisite e tendente all’eliminazione del rischio alla fonte o, quantomeno, alla sua riduzione al minimo”. Tale obbligo nel TU del 2008 è stato riconfigurato “nel senso di tendere maggiormente ad una programmazione della prevenzione, organizzando i mezzi datoriali secondo un sistema prevenzionale che abbia come obiettivo precipuo la sicurezza dei lavoratori”. Come indicato nell’articolo 28 del TU la valutazione “dovrà riguardare non soltanto i rischi indicati espressamente nei titoli e nei capi del medesimo d.lgs. n. 81/2008 bensì tutti i rischi direttamente o indirettamente ricollegabili all’attività lavorativa”.
L’autrice si sofferma, con riferimento alla normativa vigente, anche sulla non delegabilità dell’obbligo di valutazione: aspetto che costituisce un “limite di straordinaria importanza ai poteri imprenditoriali”. La conseguenza è infatti “una netta responsabilizzazione e valorizzazione del ruolo del datore di lavoro chiamato ad effettuare una valutazione attenta e dettagliata finalizzata a delineare un’organizzazione del lavoro al riparo da rischi per la sicurezza”.
Ricordando che con la redazione del documento di valutazione dei rischi, “la legge viene calata nella specificità di ogni singola azienda” (il DVR dovrà “costituire il risultato meditato e critico dell’attività di valutazione svolta in precedenza”), ci soffermiamo in particolare sulla valenza “contrattuale” del Documento di Valutazione dei Rischi.
Se il datore di lavoro può essere considerato penalmente responsabile, ai sensi delle disposizioni di cui ai commi 1, lett. a e 4 dell’art. 55 del T.U., in caso di omessa o insufficiente valutazione dei rischi, “una fattispecie del tutto differente, invece, si configura nel caso in cui il documento di valutazione dei rischi risulti esistente, sufficientemente dettagliato e completo in ogni sua parte ma il datore di lavoro disapplichi o violi le prescrizioni ivi contenute”. Infatti il D.Lgs. 81/2008 “inizialmente non prevedeva per tale fattispecie alcuna sanzione di carattere penale”. Lacuna che è stata colmata dal cosiddetto Decreto correttivo.
Al di là della sua valenza ai fini penalistici, il DVR che interviene nell’ambito di un rapporto contrattuale, è “idoneo a fondare anche vere e proprie obbligazioni fra le parti, con conseguente possibilità per il lavoratore, in caso di inadempimento, di attivare i rimedi di natura civilistica”?
L’art. 1460 c.c. “prescrive che nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora una delle parti non adempia alla propria prestazione, l’altra può legittimamente rifiutarsi di adempiere alla propria obbligazione”. Ed è proprio da questa disposizione che “la giurisprudenza ha fatto discendere la valenza contrattuale del DVR sostenendo che, se il datore di lavoro non adotta, a norma dell’art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psicofisica del prestatore di lavoro, rendendosi così inadempiente ad un obbligo contrattuale, il lavoratore, oltre al risarcimento dei danni, ha diritto di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute o dovrebbe comunque svolgersi in condizioni rischiose”. In questo senso non è ravvisabile “l’ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo quando l’inadempimento (totale o parziale) del lavoratore trovi giustificazione nella mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza che questi, pur in mancanza di norme specifiche, è tenuto ad attuare a tutela dell’integrità psicofisica del prestatore e se quest’ultimo, prima del rifiuto e secondo gli obblighi di correttezza, informi il datore circa la situazione di rischio”.
Dunque l’obbligo del datore di lavoro di tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori è un obbligo di natura prettamente contrattuale: “il datore di lavoro che non adempia alle prescrizioni contenute nel documento di valutazione si rende, quindi, contrattualmente inadempiente ed il lavoratore potrà legittimamente pretenderne l’adempimento o, in alternativa, rifiutarsi di svolgere la propria prestazione lavorativa”.
Questa valenza contrattuale si estende in particolare a tutte le prescrizioni contenute all’interno del DVR e ciò, come confermato dalla giurisprudenza citata nel saggio, “legittima persino il lavoratore a rifiutarsi di espletare la propria prestazione lavorativa in caso di sua mancata attuazione”.
Il contenuto del DVR, del documento di valutazione dei rischi, ha dunque “ricadute dirette nel rapporto contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore, sino al punto da integrarne il contenuto: le prescrizioni ivi indicate costituiscono parte integrante del contratto individuale di lavoro e la loro applicazione può essere pretesa direttamente dai lavoratori”.
L’art. 1374 c.c. indica che il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità.
In conclusione le norme di legge in tema di sicurezza “integrano il contratto individuale di lavoro arricchendone le clausole anche nel silenzio del testo contrattuale e possono essere invocate anche direttamente dai singoli lavoratori. Il datore di lavoro che non ottemperi alle medesime, quindi, avrà una diretta responsabilità di natura contrattuale nei confronti dei propri dipendenti che si aggiunge all’eventuale ed autonoma responsabilità di carattere penale prevista dal D.lgs. n. 81/2008”.
Segnaliamo infine che il Working Paper, che vi invitiamo a visionare integralmente, si sofferma su vari altri aspetti correlati alla valutazione dei rischi: dall’elaborazione del DVR alle novità normative più recenti, con alcuni cenni anche al Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze.
fonte: PuntoSicuro