Mancanza di procedure di utilizzo delle attrezzature di lavoro nelle operazioni di carico e scarico dei materiali e omessa formazione.
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 03/12/2019
Fatto
1. La Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, con cui G.LR. è stato condannato, con la concessione del beneficio della sospensione condizionale e della non menzione, alla pena di mesi 4 di reclusione per il reato di cui all’art. 590 cod.pen., per avere, nella sua qualità di legale rappresentante della Lenard s.r.l., cagionato lesioni gravi (contusione della spalla destra con lussazione, contusione regione tempore parietale destra con annessa escoriazione, contusione gamba sinistra e parete toracica) al dipendente N.C., con colpa consistita nella violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 17, comma 1, lett. a), 37, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008) – più precisamente per avere omesso di definire le procedure di utilizzo delle macchine e delle attrezzature di lavoro nelle operazioni di carico e scarico dei materiali, nonché per avere omesso ogni formazione sui rischi specifici connessi all’espletamento delle proprie mansioni e all’utilizzo delle macchine, sicché il lavoratore, nell’esercizio della sua attività di autista addetto al trasporto di materiali ferrosi, iniziava le operazioni di scarico del materiale, senza attendere l’arrivo della gru a torre, cadendo all’esito del ribaltamento del mezzo, in data 26 ottobre 2011.
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, l’imputato, che ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione, avendo provato l’adempimento del proprio obbligo di formazione mediante la testimonianza del teste C.R., valutata dai giudici di merito inidonea a superare la prova della asserita condotta omissiva, con una inversione dell’onere della prova e una sostanziale violazione del principio costituzionale della presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost., ed avendo, altresì, dimostrato essere addetto il dipendente esclusivamente alle mansioni di trasporto e non di scarico del materiale ferroso ed essere stato diffidato più volte dallo scarico del materiale prima dell’arrivo del gruista, con conseguente verificazione del sinistro in virtù di una condotta della vittima esorbitante rispetto alle proprie mansioni.
Diritto
1. Il ricorso proposto è inammissibile, atteso che, senza denunciare alcuna manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione, si limita a proporre una ricostruzione dei fatti diversa da quella dei giudici di merito, i quali hanno, da un lato, ritenuto che la formazione espletata non si sia estesa ai rischi specifici connessi al trasporto ed alla consegna del materiale ferroso, ma sia stata del tutto generica, e, dall’altro lato, che lo scarico del materiale ferroso sia un’operazione ricompresa nel trasporto di tale merce, a cui il lavoratore era addetto in virtù della prassi aziendale, e che, quindi, l’infortunio si sia verificato nell’esercizio dell’attività lavorativa e non sia riconducibile ad alcuna condotta esorbitante rispetto alla prestazione lavorativa (v. p. 2 della sentenza impugnata; “dagli accertamenti svolti nel corso delle indagini e riportati in istruttoria dibattimentale attraverso le dichiarazioni testimoniali e la documentazione acquisita è emerso con certezza che il N.C. non risulta aver ricevuto alcuna adeguata e completa formazione quanto alle procedure di scarico del materiale che lo stesso aveva il compito di scaricare nei siti indicati… Quanto riferito da C.R…..non fornisce elementi che superino la prova della condotta omissiva…non risulta che N.C. abbia ricevuto una corretta informazione e formazione circa i rischi inerenti una non corretta esecuzione di manovre attinenti al trasporto e alla consegna del materiale ferroso”).
Il ricorrente prescinde completamente da tali accertamenti, riesponendo la tesi difensiva non condivisa dai giudici di merito, che risulta, peraltro, In alcuni punti contraddittoria – così, ad esempio, pur sostenendosi che il lavoratore non fosse incaricato dello scarico della merce, si asserisce, a p. 5 del ricorso per cassazione, che “lo stesso N.C. era stato a più riprese diffidato dallo scaricare il materiale prima dell’arrivo del gruista”.
2. In proposito va ricordato che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna Impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero Illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziarlo posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015 ud., dep. 16/07/2015, rv. 264441). A ciò si aggiunga che nel giudizio di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad Imporre diversa conclusione del processo; per cui sono Inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa Illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 262965). Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione del fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
3. Solo per completezza deve precisarsi, in ordine alla ritenuta prova della omessa formazione del lavoratore sui rischi specifici connessi alla propria attività lavorativa, che nelle sentenze di merito non si è realizzata alcuna inversione dell’onere della prova, ma si è semplicemente accertata la incompletezza e inadeguatezza dell’attività formativa, non estesa ai rischi specifici relativi alle operazioni di scarico della merce.
Va sottolineato che la prova di una condotta omissiva risente della struttura ontologica di tale comportamento, che si traduce in una materiale assenza, sicché solo colui su cui grava l’obbligo di porre in essere la condotta può e deve fornire indicazioni relativamente al corretto adempimento. Difatti, nell’ ordinamento processuale penale, pur non essendo previsto un onere probatorio a carico dell’imputato, modellato sui principi propri del processo civile, è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l’imputato è tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (da ultimo, Sez. 4, n. 12099 del 12/12/2018 ud. – dep. 19/03/2019, Rv. 275284 – 01). Parimenti va ricordato che, secondo la giurisprudenza più risalente, quando l’inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche nell’ambiente di lavoro è causa determinante dell’evento dannoso, per escludere la responsabilità dei datori di lavoro, dei preposti o degli addetti alla organizzazione o alla sorveglianza del lavoro, non è sufficiente che non risulti provato con certezza che essi non hanno impartito disposizioni, ma è necessario che tali persone provino, in maniera rigorosa e sicura, di avere compiuto atti precisi e specifici intesi ad impedire che le operazioni di lavoro si svolgessero in modo non conforme ai precetti antinfortunistici (Sez. 4, n. 9615 del 19/04/1982 ud. – dep. 20/10/1982, Rv. 155686 – 01).
4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria, che si liquida in duemila euro, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 3 dicembre 2019.