Repertorio Salute

Direttiva della Commissione Europea 2020/739/EU: Covid-19 tra gli agenti biologici che possono causare malattie infettive nell’uomo

Direttiva 2020 739 EU

È stata pubblicata la Direttiva della Commissione Europea 2020/739/EU, che modifica l’allegato III della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’inserimento del SARS-CoV-2 nell’elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell’uomo e che modifica la direttiva (UE) 2019/1833 della Commissione.

Direttiva 2020 739 EU

Come è noto, la DIRETTIVA 2000/54/CE del 18 settembre 2000 disciplina la protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro.

La Direttiva (UE) 2019/1833, successivamente, ne aveva modificato gli allegati I, III, V e VI, e ora con DIRETTIVA (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020 è stato ulteriormente modificato l’allegato III per quanto riguarda l’inserimento del SARS-CoV-2 nell’elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell’uomo.

Il Coronavirus SARS-CoV-2 (Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2) è stato classificato come patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3.

La Direttiva, data la pericolosità dimostrata dal virus, dovrà essere recepita entro breve tempo e precisamente entro il 24 novembre 2020.
Al punto 9 delle Considerazioni iniziali, si richiamano in particolare i lavoratori esposti per la loro attività lavorativa quali i laboratori, i servizi veterinari e l’industria. La priorità è naturalmente data ai lavoratori che più possono essere esposti al rischio di incontrare il virus svolgendo la loro normale attività lavorativa. Però al punto precedente, l’8, si dice

Alla luce della gravità della pandemia di Covid‐19 a livello mondiale e in considerazione del fatto che ogni lavoratore ha diritto a un ambiente di lavoro sano, sicuro e adeguato, come previsto dal principio 10 del pilastro europeo dei diritti sociali, la presente direttiva dovrebbe prevedere un periodo di recepimento breve.

Il riferimento è importante perché richiama, e armonizza, gli indirizzi che sono dietro la produzione legislativa dell’Unione.

Cosa dice il punto 10? Sotto il titolo: Ambiente di lavoro sano, sicuro e adeguato e protezione dei dati, dice:

I lavoratori hanno diritto a un elevato livello di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.

Le Considerazioni ai punti 8 e 9 rischiano però di riaprire il dibattito, mai esauritosi in realtà, se il rischio biologico, per i posti di lavoro che non rientrano nell’allegato XLIV (un elenco a titolo esemplificativo) vada considerato all’interno del DVR. Mettendo in contrasto il tema specifico, la salute di quei lavoratori che hanno come rischio insito nella loro attività lavorativa il rischio biologico, con i lavoratori che non ce l’hanno normalmente, ma occasionalmente o potenzialmente. I quali però rientrano, come tutti, nel diritto di avere un “elevato livello di tutela della salute”.

Alcune considerazioni sono state già pubblicate nell’Angolo Acuto dello scorso Uno spettro si aggira per l’Italia nell’epoca del Coronavirus: l’aggiornamento del Dvr, che ha sollevato tanti apprezzamenti quanto osservazioni puntigliose. Prendendo spunto da questa nuova indicazione della UE possiamo aggiungere un ulteriore elemento al dibattito, la risposta n. 11/2016 del 25.10.2016 fornita a un interpello dall’apposita Commissione per gli Interpelli prevista all’art. 12 del D.Lgs. 81/2008. La domanda riguardava un lavoratore inviato a lavorare all’estero in un Paese con particolari rischi di sicurezza e di contagio.

Risponde dunque la Commissione Interpelli:

L’art. 28, comma 1, del D.Lgs. 81/2008 prevede, per il datore di lavoro, l’obbligo di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari e adottare, conseguentemente, le misure di prevenzione e protezione che reputi idonee allo scopo. Sulla base di quanto espresso in premessa, la Commissione ritiene che il datore di lavoro debba valutare tutti i rischi compresi i potenziali e peculiari rischi ambientali legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta, quali a titolo esemplificativo, i cosiddetti «rischi generici aggravati», legati alla situazione geopolitica del Paese (es. guerre civili, attentati, ecc.) e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento non considerati astrattamente, ma che abbiano la ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi in correlazione all’attività lavorativa svolta.

Sembra chiaro che la Commissione non stia ragionando sui meri rischi professionali, ma piuttosto risponda considerando i rischi ambientali, estranei alla specifica mansione lavorativa, ma presenti, anzi aggravati “nel contesto in cui il lavoro si svolge”. A questo punto tutti ci dovremmo porre la domanda: ma perché mai il DdL deve considerare questi rischi all’estero, ma non in patria? Perché le condizioni sanitarie che “abbiano ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi” vanno valutate nelle aziende che si trovano ad operare in Africa, in America o in Asia, ma non in Europa, anzi meglio in Italia? Stiamo parlando di un agente patogeno infettivo il Sars CoV 2 che si è diffuso nell’intero pianeta provocando 391 mila decessi fino a ora. Per avere un paragone la Sars Cov 1, che destò uguale preoccupazione nel mondo e nelle aziende estere fino a che non fu chiaro che interessava solo una parte del continente asiatico, nel Giugno del 2003, al momento del calo aveva registrato 801 decessi.

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