Fonte: https://clb.org.hk/en/content/migrant-workers-and-their-children
Il primo settembre del 2021 è entrata in vigore nella Repubblica Popolare cinese una nuova legge sulla sicurezza sul lavoro. Sono passati 4 anni dalla nuova regolamentazione, cosa è cambiato? Come la nuova legge ha modificato la vita dei lavoratori cinesi?
La legge rafforza le responsabilità dei datori di lavoro, introduce sanzioni più severe per le violazioni delle norme di sicurezza e detta misure più rigorose per la valutazione dei rischi e la formazione del personale. Le nuove disposizioni prevedono inoltre l’implementazione di “liste nere” per le imprese ripetutamente rinvenute a violare le norme, impedendo loro l’accesso al credito e al mercato pubblico.
Secondo i dati ufficiali i maggiori controlli hanno ridotto gli incidenti mortali, soprattutto nelle miniere, anche se c’è ancora molta strada da fare.
La prassi cinese è di tipo top-down, con le ispezioni gestite dal Ministero per la Gestione delle Emergenze e le direttive che partono dalla struttura statale. Questa modalità si è rivelata efficace ma con gravi limiti, soprattutto a causa della corruzione, contro cui il governo di Xi-jinping ha lanciato una campagna che ha dato luogo a indagini e arresti
Il tema però più importante è quello dei nóngmíngōng (农民工), i lavoratori migranti. Dal tempo del balzo in avanti di Mao, e soprattutto con la rapida crescita economica degli anni ‘80, la Cina ha visto sviluppare flussi migratori sempre più intensi verso le città industrializzate dalle zone più remote e rurali del paese. Questi lavoratori, stimati 295,62 milioni[1] nel 2022, che lasciano le campagne in cerca di opportunità di lavoro, sono stati per lungo tempo invisibili a causa del loro status. Lavorano soprattutto nei settori dell’edilizia e della manifattura così come nei servizi (di norma in posizioni poco qualificate) o come lavoratori stagionali nell’agricoltura.
A causa del sistema di registrazione residenziale (Hukuo) è per molti migranti difficile avere accesso ai servizi pubblici urbani, come l’istruzione per i figli, l’assistenza sanitaria e l’alloggio sovvenzionato. Tutto ciò è una conseguenza dell’elevato numero di assunzioni in nero fatte ai danni proprio di questi lavoratori, i quali sono spesso ospitati in grossi capannoni a ridosso della fabbrica in cui lavorano durante il giorno, in condizioni salariali e di sicurezza decisamente non a norma.
I nóngmíngōng sono stati per la Cina fondamentali per la crescita economica che la nazione ha avuto negli ultimi 60 anni. Ma come è possibile che questa condizione di cittadini di seconda classe possa continuare a sussistere? La risposta è la corruzione. Un efficace sistema di mazzette e clientelismo rischia di rendere completamente inutile qualunque norma per la prevenzione dei rischi.
Per questo motivo Xi-jinping ha lanciato la più grande Campagna anticorruzione della storia del Paese, nel tentativo di schiacciare le collusioni, tra l’apparato statale e le imprese, che vanificano le ispezioni a sorpresa.
Il processo però è ancora lungo e la pandemia di Covid ha soltanto peggiorato le condizioni di questi lavoratori di “serie B”, a causa di licenziamenti e limitazioni agli spostamenti, bloccando molti lavoratori lontani da casa molti chilometri, impossibilitati a tornare dalle loro famiglie.
La Cina è un paese estremamente dinamico e di recente industrializzazione e la legge del 2021, per quanto rappresenti un passo fondamentale, non è riuscita ad affrontare tutti i problemi del Paese dimostrando l’inefficacia, in un contesto così variegato ed esteso, di un approccio top–down che non sempre è in grado di adeguarsi alle condizioni locali.
NOTE
[1] China Labour Bulletin, Hong Kong, 2022.