Nell’azienda dell’hinterland romano i macchinari erano fermi dal mattino. L’azienda era aperta ma tutti i lavoratori erano stati mandati a casa e non c’era nessuno in quel pomeriggio piovoso, salvo, sul pavimento, steso morto un lavoratore romeno. Era stato incaricato, dalla ditta che svolgeva in appalto manutenzione e pulizie, di passare una lucidatrice per migliorare l’estetica della superficie della sala lavoro.
Il giovane era al suo primo lavoro e svolgeva da poche ore quella semplice incombenza quando, verso le 12, una dispersione di corrente della macchina l’aveva colpito. Si era accasciato al suolo e nessuno l’aveva immediatamente soccorso… c’era stato qualche minuto di panico, sufficiente però a determinare il decesso del rumeno.
Gli altri lavoratori, tra cui molti stranieri, sembra non sapessero come intervenire; un filo di fumo ed un intenso odore di bruciato li aveva impauriti, finchè uno di loro, staccato l’interruttore generale di corrente, aveva soccorso il malcapitato… anche se forse troppo tardi.
Un infortunio – tutto sommato – come spesso ne accadono altri. Salvo che il giovane rumeno era povero, appena giunto in Italia su uno scassato camion dalla città di Pitesti, lavorava con indosso gli abiti con cui era arrivato in Italia e indossava scarpe di gomma con un grosso buco. Questo era stato sufficiente a chiudere il contatto con terra e fare scaricare la corrente che passando dalla lucidatrice al cuore del lavoratore e poi a terra gli aveva causato una fibrillazione ventricolare e la morte.
Insomma, era morto secondo alcuni “perché povero”… Certo, se le scarpe fossero state integre, essendo di gomma, avrebbero assicurato l’isolamento e forse si sarebbe salvato. Tale considerazione – neppure tanto velata – di alcuni colleghi di lavoro sentiti dagli inquirenti il giorno successivo, forse derivava “anche” dalla assoluta “sfiducia” nella efficacia delle misure di formazione e di prevenzione previste all’epoca (1995) specie in caso di assunzione “in nero” di stranieri.
L’indagine penale che successivamente ne è derivata ha ritenuto ovviamente assurda tale considerazione. Si è osservato invece che la fornitura dei DPI non si era realizzata, così pure la formazione (in considerazione della tempistica dell’evento avvenuto il giorno della “asserita” assunzione presso la ditta appaltatrice) e comunque vi era stata incongrua manutenzione della lucidatrice da parte dell’azienda appaltatrice sia pure con il dubbio della inadeguatezza delle procedure di emergenza. Ma la colpa è stata attribuita, in epoca antecedente al DUVRI, per la maggior parte al titolare della ditta che aveva avuto in appalto i lavori, costituita – tra l’altro – da un collega romeno del deceduto, resosi poi irreperibile.
Quando gli imprenditori – accade spesso – si lamentano della farraginosità, burocraticità ed inutilità del DUVRI, ricordo questo episodio…
L’immagine di copertina è un particolare da: Lewis Hine Power house mechanic working on steam pump, di Lewis Hine