Repertorio Salute

Tutela della salute: l’attività della commissione nazionale per la lotta all’AIDS e la Circolare interministeriale del 12.04.2013 su AIDS e lavoro.

Ancora oggi si assiste a molti casi di discriminazione sui posti di lavoro legati all’essere sieropositivi. Ci si dimentica che, già dal 2013, il Ministero della Salute inviò una Circolare Ministeriale sul tema. La vogliamo ricordare in occasione dell’uscita della relazione Parlamentare.

È ancora poco dibattuta la Circolare 12.4.2013 emanata congiuntamente dai Ministeri del Lavoro e della Salute sulle Condizioni di esclusione del divieto di effettuazione degli accertamenti per sieropositività HIV emanata a seguito della Sentenza 218 DEL 2.6.1994 della Corte Costituzionale che ha sancito l’illeggittimità dei commi  3 e 4  dell’art 5 della Legge 135/90 nella parte in cui veniva esclusa la possibilità di accertamenti sanitari per verificare l’assenza di sieropositività per l’espletamento di attività comportanti rischio per la salute di terzi.

La Circolare, oggetto di dibattito in un recente Convegno sul rischio biologico presso l’Università di Tor Vergata, ha stablito che alcune norme specifiche di settore che richiedono l’accertamento preliminare della condizione di sieronegatività come condizione necessaria perché il lavoratore risulti idoneo ad uno specifico servizio (es. polizia, militari, ecc.) hanno una loro legittimazione esclusivamente nella sussistenza di una effettiva condizione di rischio (e cioè) che dall’esercizio dell’attività vi sia per terzi un concreto e reale rischio di contagio in occasione ed in ragione dell’esercizio dell’attività. Nella pratica i riferimento principale – prosegue la Circolare – “è rappresentato dal Documento di Valutazione dei Rischi dal quale, per evitare possibili abusi,deve risultare in modo chiaro ….il criterio utilizzato per accertare che nello specifico contesto è presente il rischio di trasmissione di HIV anche in relazione alla qualifica ed alle condizioni di salute del singolo lavoratore.” La Circolare precisa che “nell’ambito della sorveglianza sanitaria (l’indagine) non potrà essere effettuata indiscriminatamente su tutti i lavoratori  …né trova valida motivazione l’esecuzione del test  per accertare condizioni di sieronegatività dal momento che  in ogni caso un accertamento di sieropositività non può costituire un motivo di discriminazione nell’accesso al lavoro”.

È stata poi recentemente pubblicata anche una relazione, inviata al Parlamento il 2 febbraio 2015, che illustra le attività svolte dal Ministero nell’ambito dell’informazione, prevenzione, assistenza e attuazione di progetti relativi all’ Hiv/Aids. La relazione riporta una serie di attività svolte dalla Commissione nazionale per la lotta contro l’Aids e quelle svolte dall’Istituto superiore di sanità, in particolare le iniziative in tema di sorveglianza dell’infezione da Hiv e dell’Aids e lo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l’infezione da HIV nell‟anno 2013 (articolo 8, comma 3, legge 5 giugno 1990, n. 135).

La relazione è estremamente interessante in quanto analizza in dettaglio non solo le attività svolte dal Ministero ma anche lo stato di attuazione di vari progetti di studio ed epidemiologici che in sostanza indicano la necessità di non abbassare la guardia sul tema dell’HIV.

Per esempio, tra le ricerche effettuate viene confermato un aumento della proporzione di stranieri tra le nuove diagnosi di infezione da HIV, che passa dall‟11% nel 1992 al 31,5% nel 2011. Le condizioni socio-economiche, i differenti approcci culturali verso le malattie infettive e le maggiori difficoltà ad accedere ad adeguati trattamenti terapeutici, sono fattori che tendono ulteriormente ad isolare la persona migrante con infezione da HIV che  possono anche provenire da paesi altamente endemici per l‟infezione e dove circolano sottotipi  del virus che non  comuni in Italia. In particolare, alcuni studi indicano che i sottotipi D e C di HIV-1, diffusi nell‟area africana ed indiana, siano più virulenti ed infettivi degli altri anche perché poi  i diversi sottotipi possono essere più o meno suscettibili alle varie terapie antiretrovirali e presentare una diversa sensibilità ai test diagnostici.

In definitiva  nuovi sottotipi e forme ricombinanti di HIV possono essere introdotti nella popolazione generale  come conseguenza dell‟evoluzione dei flussi migratori (ma anche del miglioramento delle comunicazioni internazionali). Con conseguente  possibile differente sensibilità alla terapia ed alla diagnosi. Uno studio presso l’Isst.S.Gallicano a Roma  nella comunità di MSM ha mostrato come la sifilide sembra essersi comportata da acceleratore epidemico per l‟infezione da HIV, probabilmente a causa del sinergismo tra le relazioni epidemiologiche (stesse modalità di trasmissione) e le ragioni biologiche, visto che la sifilide, in qualità di infezione ulcerativa, aumenta il rischio di acquisizione di HIV nel suscettibile e quello di trasmissione da paziente sieropositivo, già infetto.

La diagnosi tardiva dell‟infezione da HIV rappresenta uno dei principali ostacoli sulla via del controllo di questa infezione nel nostro paese cosi come a livello globale. Questo fenomeno determina infatti diverse conseguenze negative.

In primo luogo, la persona con HIV diagnosticata tardivamente non ha l‟opportunità di iniziare nei tempi ottimali la terapia antiretrovirale ed ha, da una parte, un rischio più elevato di giungere ad una fase conclamata della malattia e dall‟altra una ridotta probabilità di un pieno recupero immunologico una volta iniziato il trattamento farmacologico.

In secondo luogo, la mancanza di consapevolezza dello stato di infezione può favorire un‟ulteriore diffusione del contagio. È stato, infatti, dimostrato che le persone con infezione da HIV riducono, in parte o completamente, i comportamenti a rischio di trasmissione dell‟infezione una volta informati del loro stato. Inoltre, vi sono evidenze di un‟efficacia di interventi di prevenzione della diffusione del contagio indirizzati alle persone con infezione da HIV nota.

In terzo luogo, la terapia antiretrovirale, riducendo sensibilmente la carica virale può anche contribuire a limitare la diffusione del contagio. Infatti, una persona consapevole del proprio stato sierologico che assume una terapia efficace ha un rischio molto ridotto di trasmettere l‟infezione agli altri. Dati di programmi di sorveglianza sull’incidenza di nuove infezioni in paesi, sia occidentali che in via di sviluppo, hanno mostrato una tendenza alla riduzione delle infezioni proporzionale all’incremento delle diagnosi e di trattamento dell’infezione.

Si è poi documentata una elevata accettabilità del test rapido su fluido orale, tuttavia questo test presenta un periodo finestra più lungo del test rapido eseguito su sangue, che potrebbe essere comunque eseguito in alcuni contesti con caratteristiche sanitarie.

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> scarica la Circolare Interministeriale del 12.04.2013 (pdf, 960kb08)

 

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> scarica la Relazione (pdf, 1Mb)

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