La circostanza che la lavoratrice V.C. si fosse spinta, nel corso delle attività di pulizia cui la stessa era stata adibita, all’interno dell’area di circolazione dei carrelli elevatori procedenti ‘alla cieca’ (cd. magazzino “prodotti finiti”) (zona alla stessa interdetta, pur essendo fisicamente contigua ad uno spazio dello stabilimento che la stessa aveva il dovere di visitare per l’esecuzione delle ordinarie mansioni attribuitele), non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l’ambito delle responsabilità di quest’ultimo, l’obbligo di prevenire anche l’ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all’ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d’esame.
Al riguardo, del tutto correttamente i giudici del merito hanno evidenziato (sulla base di una congrua interpretazione degli elementi di prova richiamati in motivazione) l’assoluta inescusabilità del comportamento del G.B. (delegato del datore di lavoro) per aver omesso di adottare tutte le iniziative o le misure idonee a scongiurare ogni possibilità di verificazione di fatti dannosi connessi alla circolazione dei mezzi all’interno del cd. magazzino ‘prodotti finiti’, avendo lo stesso irragionevolmente consentito che, nell’ambito di detta area, avessero a circolare veicoli condotti da soggetti del tutto privi di visibilità frontale (e dunque ‘alla cieca’) all’atto della movimentazione dei cd. “big bags”, ossia dei carichi di peso pari a 1.000/1.100 kg., senza impedire che ciò avvenisse o – a tutto voler concedere – che ciò potesse avvenire in presenza della (tanto rigorosa, quanto ineccepibile) esclusione che qualunque altro soggetto frequentante lo stabilimento, procedendo a piedi, potesse in ogni caso trovarsi, sia pure per un’accidentale (benché pur sempre prevedibile) imprudenza o negligenza, a transitare per questa zona (così singolarmente esposta a gravissimi rischi di collisione).
Quanto alla posizione del lavoratore alla guida del mezzo, la Corte afferma che “in tema di infortuni sul lavoro, deve ritenersi concorrente nel delitto, per la violazione delle norme di prudenza, diligenza e di prevenzione degli infortuni, il lavoratore dipendente che – alla guida di un mezzo privo di idoneo posto di manovra e senza la presenza di incaricati alle segnalazioni, in condizioni di precaria visibilità e, quindi, di estrema pericolosità – investe una persona causandogli lesioni. Il lavoratore dipendente, infatti, pur non potendo ingerirsi nell’organizzazione aziendale, ha l’obbligo di rifiutarsi di operare in simili condizioni di estremo rischio per la sicurezza collettiva, con la conseguenza che l’accettazione del rischio connesso all’esecuzione, in tali condizioni, della propria prestazione comporta l’inevitabile associazione dello stesso lavoratore alla responsabilità per gli eventi lesivi in concreto provocati.”
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO
Data Udienza: 28/05/2015
Fatto
1. Con sentenza resa in data 15/6/2012, il tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, ha condannato G.B. e P.P. alle pene, rispettivamente, di tre mesi e di due mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, in relazione al reato di lesioni colpose commesso, ai danni di V.C., in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in Marano Lagunare il 12/3/2008.
Ai due imputati era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica e delle norme di colpa specifica espressamente richiamate nei capi d’imputazione, per avere il G.B., in qualità di dirigente con delega antinfortunistica della ditta A. Italia s.p.a., omesso di individuare e di attuare adeguate misure di prevenzione e protezione idonee a impedire che il P.P. (dipendente della medesima ditta A. Italia S.p.A.) investisse la lavoratrice V.C. con il carrello elevatore elettrico dallo stesso condotto, in modo tale che detta lavoratrice vi rimanesse incastrata con la gamba, riportando l’amputazione del quinto dito del piede sinistro e l’amputazione della gamba destra al livello della coscia.
Con sentenza resa in data 21/5/2014, la corte d’appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, sostituita la pena inflitta agli imputati con la pena pecuniaria d’importo corrispondente e assegnata alla parte civile, a titolo di provvisionale, la somma di euro 100.000,00, ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, sulla base di quattro motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione e violazione di legge, per avere la corte territoriale erroneamente proceduto alla ricostruzione del nesso di causalità tra le condotte ascritte agli imputati e la lesione patita dalla persona offesa, attesa la riconducibilità dell’evento dannoso all’esclusiva responsabilità della lavoratrice infortunata, V.C., dipendente della ditta I. incaricata delle pulizie, per essersi avventurata in modo gravemente imprudente all’interno di una zona dello stabilimento (il cd. magazzino “prodotti finiti”) a lei espressamente interdetta, volontariamente esponendosi al rischio di contatto con i mezzi in movimento ivi esistenti, nella specie puntualmente concretizzatosi.
Sul punto, i ricorrenti si dolgono dell’erronea valutazione operata dai giudici d’appello circa le dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa, avendo quest’ultima identificato in modo largamente implausibile il luogo del contatto con il carrello elevatore, collocandolo a una distanza di ben undici metri da quello dove la stessa fu soccorsa, senza avvedersi dell’inverosimiglianza dell’ipotesi che la vittima potesse essere trascinata per diversi metri dal muletto senza lasciare alcun segno di investimento.
Ciò posto, la corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di riconoscere il carattere del tutto abnorme del comportamento della lavoratrice (come tale idoneo a interrompere ogni legame causale tra le condotte degli imputati e l’evento di lesivo agli stessi addebitato) essendosi la lavoratrice sottratta al rispetto delle direttive organizzative ricevute concernenti il divieto di accesso alla zona dove l’infortunio ebbe a verificarsi.
Peraltro, la corte territoriale avrebbe inspiegabilmente sottovalutato le censure dell’appellante circa il riparto di competenze in materia d’informazione sulla sicurezza tra la ditta A. e la cooperativa I., incorrendo in un indubbio travisamento delle prove complessivamente acquisite, dalle quali era emerso come i dipendenti della I. non avevano ricevuto alcuna adeguata informazione, da parte della propria azienda, circa le modalità di svolgimento delle mansioni all’interno dei locali della ditta A.; informazione nella specie affidata a un banale “passaparola” tra i dipendenti, senza che all’impresa committente potesse fondatamente contestarsi l’ipotetica violazione di un inesistente dovere di sostituzione o di supplenza del datore di lavoro della lavoratrice infortunata, una volta adempiuto – a dispetto del travisamento della prova sul punto ascrivibile alla corte territoriale – all’obbligo di segnalazione del divieto di accesso presso il magazzino “prodotti finiti” mediante l’apposizione dei corrispondenti cartelloni.
2.2 Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale erroneamente proceduto (anche attraverso l’omesso esame di talune censure sollevate in sede di appello) all’accertamento dell’elemento psicologico della colpa in capo a ciascun imputato.
Sul punto, la corte territoriale si sarebbe limitata all’affermazione di rilievi puramente congetturali circa l’eventuale efficacia di misure alternative asseritamente idonee a scongiurare l’evento verificatosi, trascurando come la dirigenza aziendale avesse provveduto ad analizzare in modo concreto i rischi interferenziali connessi alla movimentazione dei carrelli, predisponendo un’idonea cartellonistica per la circoscrizione delle zone più pericolose, ponendo a disposizione del personale mezzi che, all’epoca del fatto, apparivano del tutto all’avanguardia dal punto di vista tecnico (con particolare riguardo al rispetto delle misure di sicurezza connesse alla circolazione), affidandone la guida a personale altamente specializzato, come lo stesso P.P. che, nell’occasione de qua, aveva condotto il proprio mezzo procedendo a bassissima velocità.
Nessun rimprovero, pertanto, avrebbe potuto fondatamente sollevarsi nei confronti degli imputati, avuto riguardo all’assoluta imprevedibilità e inevitabilità dell’evento, nella specie verificatosi per l’abnormità della condotta della persona offesa, senza che nessun eventuale comportamento alternativo concretamente esigibile dagli odierni imputati ne avrebbe potuto scongiurare l’accadimento, tenuto altresì conto dell’inevitabile margine di rischio (consentito) connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale de qua e alla ragionevole invocazione, da parte dei due imputati, del principio di affidamento circa l’adozione di condotte prudenziali da parte di tutti i soggetti coinvolti nell’ambito dell’attività produttiva in esame.
2.3. Con il terzo e il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale illogicamente proceduto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo alla scelta della natura e dell’entità della pena e all’esecuzione del giudizio di bilanciamento tra le circostanze, nonché per essersi pronunciata sulla domanda risarcitoria (mediante la liquidazione della provvisionale in concreto riconosciuta) oltre il limite del devolutum, in assenza di specifica impugnazione della parte civile, con particolare riguardo alla valutazione della concreta entità del concorso di colpa della persona offesa, in palese violazione del principio della reformatio in peius.
Diritto
3. I primi due motivi d’impugnazione illustrati dai ricorrenti – riferiti all’esame del nesso di causalità tra le condotte contestate agli imputati e l’evento lesivo occorso ai danni della lavoratrice, V.C., e al riscontro dell’elemento soggettivo della colpa nella causazione di detto evento – possono essere trattati congiuntamente, in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte.
In via preliminare, osserva il collegio come i giudici d’appello abbiano correttamente confermato la riconducibilità, al G.B. (quale dirigente con delega antinfortunistica della ditta A. Italia s.p.a.), della posizione di garanzia riferibile all’incolumità della dipendente della ditta I. (incaricata delle pulizie all’interno dello stabilimento della A.) sotto il duplice profilo: 1) della persistente responsabilità del datore di lavoro per la sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro (segnatamente nei casi di accentuata pericolosità degli stessi) anche nei confronti di soggetti/terzi rispetto ai lavoratori dallo stesso dipendenti; nonché 2) degli specifici obblighi che insistono in capo al datore di lavoro appaltante in relazione alla gestione dei rischi (cd. interferenziali) connessi alla sovrapposizione (o, appunto, all’interferenza) delle ordinarie attività d’impresa con le lavorazioni affidate in appalto (come nel caso di specie, in relazione alle incombenze relative alla pulizia dei locali di lavoro).
Ciò posto, con immediato riguardo al tema concernente il nesso di causalità, occorre rimarcare come la corte territoriale (sulla scia delle linee argomentative fatte proprie dal giudice di primo grado) abbia del tutto correttamente escluso il rilievo causale del comportamento della lavoratrice infortunata nella produzione dell’evento lesivo, evidenziando come detto comportamento non presentasse alcun aspetto specifico suscettibile di giustificarne un’eventuale sua considerazione nei termini dell’abnormità.
Al riguardo, varrà sottolineare come l’evento infortunistico in esame ebbe a verificarsi nel corso delle ordinarie mansioni cui la lavoratrice era stata adibita, e che l’infortunio in concreto occorso, lungi dal costituire un’ipotesi del tutto imprevedibile, doveva ritenersi ex ante un’evenienza icto oculi pienamente compatibile con il regolare sviluppo delle lavorazioni in esame.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro (o i soggetti da esso legittimamente delegati), in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365).
Con particolare riguardo ai fatti oggetto dell’odierno procedimento, la circostanza che la lavoratrice V.C. si fosse spinta, nel corso delle attività di pulizia cui la stessa era stata adibita, all’interno dell’area di circolazione dei carrelli elevatori procedenti ‘alla cieca’ (cd. magazzino “prodotti finiti”) (zona alla stessa interdetta, pur essendo fisicamente contigua ad uno spazio dello stabilimento che la stessa aveva il dovere di visitare per l’esecuzione delle ordinarie mansioni attribuitele), non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l’ambito delle responsabilità di quest’ultimo, l’obbligo di prevenire anche l’ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all’ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d’esame.
Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente e ontologicamente diverso dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267/2009, Rv. 246695).
In tema, questa corte ha di recente avuto modo di sottolineare come l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell’infortunio, sia a titolo di colpa diretta (per non aver negligentemente impedito l’evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio), che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).
Al riguardo, del tutto correttamente i giudici del merito hanno evidenziato (sulla base di una congrua interpretazione degli elementi di prova richiamati in motivazione) l’assoluta inescusabilità del comportamento del G.B. (delegato del datore di lavoro) per aver omesso di adottare tutte le iniziative o le misure idonee a scongiurare ogni possibilità di verificazione di fatti dannosi connessi alla circolazione dei mezzi all’interno del cd. magazzino ‘prodotti finiti’, avendo lo stesso irragionevolmente consentito che, nell’ambito di detta area, avessero a circolare veicoli condotti da soggetti del tutto privi di visibilità frontale (e dunque ‘alla cieca’) all’atto della movimentazione dei cd. “big bags”, ossia dei carichi di peso pari a 1.000/1.100 kg., senza impedire che ciò avvenisse o – a tutto voler concedere – che ciò potesse avvenire in presenza della (tanto rigorosa, quanto ineccepibile) esclusione che qualunque altro soggetto frequentante lo stabilimento, procedendo a piedi, potesse in ogni caso trovarsi, sia pure per un’accidentale (benché pur sempre prevedibile) imprudenza o negligenza, a transitare per questa zona (così singolarmente esposta a gravissimi rischi di collisione).
In breve, del tutto correttamente i giudici del merito hanno giudicato a tal fine radicalmente inidonei gli scarni presidi escogitati e messi a punto dall’imputato, essendosi quest’ultimo limitato all’apposizione di generici cartelli indicanti il divieto di accesso all’area, o alla diffusione, affidata a un insicuro ‘passaparola’, della proibizione di detto accesso, senza provvedere materialmente a segregare in modo rigoroso la zona interessata alla circolazione ‘alla cieca’ dei carrelli, in modo da escludere, senza alcun prevedibile rischio, che chiunque potesse trovarsi ad accedere a detta area in modo accidentale, per mera distrazione, dimenticanza o imprudenza, come drammaticamente accaduto nel caso di specie.
L’insufficiente e inadeguata gestione del rilevantissimo rischio indotto dalla circolazione di carrelli circolanti ‘alla cieca’ all’interno di un’area aziendale non materialmente segregata dalle zone circostanti, al fine di scongiurare l’eventuale contatto con altri lavoratori, vale dunque a giustificare il riconoscimento della colpa correttamente ascritta dai giudici di merito a carico del G.B., trattandosi di una scelta organizzativa incongrua e foriera di gravi rischi come quello nella specie puntualmente concretizzatosi.
Quanto alla posizione dell’imputato P.P., osserva il collegio come, al fine di confermare la rimproverabilità dello stesso per il comportamento immediatamente causativo delle lesioni sofferte dalla lavoratrice infortunata, valga l’affermazione del principio (già peraltro in precedenza statuito da questa corte di legittimità in un caso consimile: cfr. Sez. 4, Sentenza n. 14429 del 05/07/1990, Rv. 185672) ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, deve ritenersi concorrente nel delitto, per la violazione delle norme di prudenza, diligenza e di prevenzione degli infortuni, il lavoratore dipendente che – alla guida di un mezzo privo di idoneo posto di manovra e senza la presenza di incaricati alle segnalazioni, in condizioni di precaria visibilità e, quindi, di estrema pericolosità – investe una persona causandogli lesioni. Il lavoratore dipendente, infatti, pur non potendo ingerirsi nell’organizzazione aziendale, ha l’obbligo di rifiutarsi di operare in simili condizioni di estremo rischio per la sicurezza collettiva, con la conseguenza che l’accettazione del rischio connesso all’esecuzione, in tali condizioni, della propria prestazione comporta l’inevitabile associazione dello stesso lavoratore alla responsabilità per gli eventi lesivi in concreto provocati.
4. Del tutto prive di fondamento devono ritenersi le doglianze avanzate dai ricorrenti con riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio da parte della corte territoriale, avendo i giudici d’appello espressamente sottolineato, al fine di giustificare la scelta della natura e della severità della pena inflitta, l’estrema gravità del fatto commesso (con particolare riguardo all’entità del danno alla persona causato e alla straordinaria rilevanza del rischio assunto attraverso la messa in circolazione di carrelli elevatori in totale assenza di visuale) e la circostanza che tale danno non fosse stato ancora interamente risarcito: si tratta di considerazioni dotate di coerente adeguatezza logica, che le censure in fatto sul punto inammissibilmente sollevate dai ricorrenti non valgono a scalfire.
5. Da ultimo, al fine di disattendere il corrispondente motivo d’impugnazione illustrato dagli imputati, osserva il collegio come il sottolineato contrasto di giurisprudenza evocato dai ricorrenti, sul tema relativo alla liquidabilità, da parte dei giudici d’appello, della provvisionale non concessa dal giudice di primo grado in assenza di impugnazione della parte civile, pena la violazione del principio del divieto della reformatio in peius (per la liquidabilità v., ex plurimis, Sez. 1, Sentenza n. 17240 del 02/02/2011, Rv. 249961; contra Sez. 1, Sentenza n. 13545 del 04/02/2009, Rv. 243132), si presti ad essere agevolmente superato, ad avviso del collegio, in forza della considerazione – da ritenersi ineludibile sul piano dei meccanismi d’indole processuale – secondo cui l’istanza rivolta al conseguimento di una somma di danaro a titolo di provvisionale non vale a integrare gli estremi per la proposizione di una domanda autonoma (in particolare sotto il profilo di un’autosufficiente considerazione dei requisiti della causa petendi e del petitum indipendenti dalla proposizione della principale domanda risarcitoria estesa all’an e al quantum), essendosi il legislatore del codice di rito limitato alla prevista formulazione, ad opera dell’interessato, di un’istanza per la concessione di una somma a titolo di provvisionale nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova (art. 539 c.p.p.).
Proprio il rilievo della mancata integrazione degli estremi per la proposizione di un’autonoma domanda vale ad assicurare la proponibilità di detta istanza in ogni momento, da parte dell’interessato, e pertanto per la prima volta anche in appello, senza che il relativo accoglimento, da parte del giudice di secondo grado (sulla premessa della già avvenuta condanna dell’imputato al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede), valga ad integrare la violazione del principio del divieto della reformatio in peius.
6. All’accertamento dell’infondatezza dei motivi d’impugnazione segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/5/2015.