Infortunio con la macchina perforatrice. Responsabilità di un datore di lavoro, nessun comportamento abnorme della vittima.
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO
Data Udienza: 09/06/2015
Fatto
1. Con sentenza resa in data 17/11/2014, la corte d’appello di Milano ha confermato la pronuncia in data 1/4/2014 con la quale il tribunale di Como ha condannato G.B. alla pena di un mese di reclusione (sostituita con quella pecuniaria d’importo corrispondente), in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, ai danni di P.Z., in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in Cernobbio, il 17/7/2009.
All’imputato era stata originariamente contestata la violazione delle norme di colpa specifica espressamente richiamate nel capo d’imputazione poiché, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della ditta S.G.B. Perforazioni s.r.l., datore di lavoro di P.Z., aveva omesso di adottare adeguate misure tecniche e organizzative per evitare che la macchina perforatrice in dotazione all’azienda potesse essere utilizzata per operazioni e secondo condizioni per le quali era inadatta, con la conseguenza che il lavoratore P.Z., nell’eseguire le operazioni di rimozione di detriti che causavano il mancato funzionamento delle morse di bloccaggio della suddetta macchina, nell’occasione manovrata dal G.B., si provocava gravi lesioni alla mano destra a causa dell’azionamento delle morse della macchina da parte dell’imputato.
2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale, sulla scia della decisione del primo giudice, erroneamente ricostruito le premesse della responsabilità dell’imputato sulla base delle scarne e contraddittorie dichiarazioni rese dalla persona offesa.
In particolare, la corte territoriale avrebbe omesso di rilevare la piena rispondenza delle caratteristiche della macchina perforatrice in esame ai requisiti normativamente richiesti per la relativa sicurezza, e la relativa utilizzazione, da parte di personale esperto, nel rispetto delle prescrizioni dettate dal costruttore.
Nel caso di specie, nel corso delle operazioni di manutenzione della macchina correttamente tenuta ferma, il lavoratore infortunato ebbe a compiere, senza alcuna necessità, l’improvvida e abnorme manovra di inserimento della propria mano nella morsa senza che l’imputato potesse avvertirne l’intenzione, essendo voltato di spalle al lavoratore infortunato e con indosso le cuffie di protezione.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale omesso di assumere i mezzi di prova decisivi (ai sensi dell’art. 606, lett. d), c.p.p.) consistenti in una più ampia testimonianza della persona offesa sui fatti concretamente contestati e nell’ammissione di una perizia tecnica per la verifica, tanto della conformità della macchina alle norme vigenti, quanto dell’adeguamento della condotta dei protagonisti della vicenda alle regole di sicurezza formalmente prescritte.
Diritto
3. Il ricorso è infondato.
Dev’essere preliminarmente rimarcata l’irrilevanza della censura sollevata dal ricorrente in relazione all’astratta conformità del macchinario utilizzato dal lavoratore ai requisiti normativamente richiesti per la relativa sicurezza, nonché per la relativa utilizzazione, da parte di personale esperto, nel rispetto delle prescrizioni dettate dal costruttore, valendo al riguardo il principio che impone in ogni caso al datore di lavoro l’obbligo di “ridurre al minimo” il rischio di infortuni sul lavoro (art. 71, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), con la conseguente necessità di verificare e garantire la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei propri dipendenti (art. 71, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), non essendo sufficiente, per ritenere adempiuto l’obbligo di legge, il rilascio, da parte di un organismo certificatore munito di autorizzazione ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di sicurezza (Sez. 3, Sentenza n. 46784 del 10/11/2011, Rv. 251620).
In particolare, grava sul datore di lavoro l’obbligo di eliminare ogni possibile fonte di pericolo per i lavoratori dipendenti chiamati a utilizzare macchinari posti a loro disposizione, dovendo egli adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori, salvo che l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza (Sez. 4, Sentenza n. 26247 del 30/05/2013, Rv. 256948).
Nel caso di specie, l’odierno imputato – lungi dall’allegare l’eventuale impossibilità dell’accertamento di elementi di pericolo o di vizi di progettazione o di costruzione del macchinario consegnato al lavoratore infortunato – ha inteso ricondurre la responsabilità dell’infortunio occorso a quest’ultimo al preteso compimento, da parte dello stesso, di una condotta abnorme, di per sé sola a causare l’evento e a risolverne ogni possibile legame causale con eventuali condotte omissive dell’imputato.
Ciò posto, osserva il collegio come la corte territoriale (sulla scia delle linee argomentative fatte proprie dal giudice di primo grado) abbia del tutto correttamente escluso il rilievo causale del comportamento del lavoratore infortunato nella produzione dell’evento lesivo, evidenziando come detto comportamento non presentasse alcun aspetto specifico suscettibile di giustificarne un’eventuale sua considerazione nei termini dell’abnormità.
Al riguardo, varrà sottolineare come, secondo l’argomentata e plausibile ricostruzione dei giudici di merito, l’evento infortunistico in esame ebbe a verificarsi nel corso delle ordinarie mansioni cui il lavoratore era stato adibito, e che l’infortunio in concreto occorso, lungi dal costituire un’ipotesi del tutto imprevedibile, doveva ritenersi ex ante un’evenienza icto oculi pienamente compatibile con il regolare sviluppo delle lavorazioni in esame.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365).
Con particolare riguardo ai fatti oggetto dell’odierno procedimento, la circostanza che il lavoratore P.Z., al fine di rimuovere taluni detriti dalla macchina allo stesso consegnata, avesse inserito la propria mano all’interno di detta macchina, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l’ambito delle responsabilità di quest’ultimo, l’obbligo di prevenire anche l’ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all’ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d’esame.
Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente e ontologicamente diverso dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267/2009, Rv. 246695).
In tema, questa corte ha di recente avuto modo di sottolineare come l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell’infortunio, sia a titolo di colpa diretta (per non aver negligentemente impedito l’evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio), che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).
Al riguardo, del tutto correttamente i giudici del merito hanno evidenziato (sulla base di una congrua interpretazione degli elementi di prova richiamati in motivazione) l’assoluta inescusabilita del comportamento del G.B., per aver omesso di adottare tutte le iniziative o le misure idonee a scongiurare ogni possibilità di verificazione di fatti dannosi connessi al contatto tra le mani dell’operatore e la macchina de qua, così gestendo in modo insufficiente e inadeguato l’area di rischio definita dalla prestazione del lavoratore infortunato: premessa che vale a giustificare il riconoscimento della colpa correttamente ascritta a carico dell’imputato, trattandosi di una scelta organizzativa incongrua e foriera di gravi rischi come quello nella specie puntualmente concretizzatosi.
4. Quanto infine alla doglianza relativa alla mancata assunzione della (asseritamente decisiva) prova testimoniale e di quella peritale rivendicata dal ricorrente, osserva il collegio come la corte territoriale abbia correttamente sottolineato trattarsi, nell’un caso, di una prova già compiutamente assunta in primo grado (come tale non utilmente rinnovabile in sede di gravame) e, nell’altro, di uno strumento di lettura tecnica dei fatti probatori acquisiti al processo, che la stessa corte d’appello – con motivazione immune da vizi di indole logica o giuridica – ha ritenuto non indispensabile ai fini della decisione.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale deve ritenersi ‘prova decisiva’, ai sensi dell’art. 606 lett. d) c.p.p., quella sola prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Cass., Sez. 2, n. 16354/2006, Rv. 234752; Cass., Sez. 6, n. 14916/2010, Rv. 246667), ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Cass., Sez. 3, n. 27581/2010, Rv. 248105).
Con particolare riguardo al procedimento peritale, peraltro, questa stessa corte di legittimità ha ripetutamente statuito il principio, consolidatosi nel tempo, in forza del quale la perizia non può farsi rientrare nel concetto di ‘prova decisiva’, giacché la sua disposizione, da parte del giudice, in quanto legata alla manifestazione di un giudizio di fatto, ove assistito da adeguata motivazione, è insindacabile ai sensi dell’articolo 606, lett. d) c.p.p. (v. Cass., Sez. 5, n. 12027/1999, Rv. 214873 e successive conformi fino a Cass., Sez. 4, n. 14130/2007, Rv. 236191).
5. Sulla base di tali premesse, rilevata l’infondatezza di tutte le censure sollevate dall’odierno ricorrente, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso con la conseguente condanna del G.B. al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9/6/2015.