Esiste in capo al datore di lavoro una posizione di garanzia che gli impone di apprestare tutti gli accorgimenti, i comportamenti e le cautele necessari a garantire la massima protezione del bene protetto, la salute e l’incolumità del lavoratore appunto, posizione che esclude che il datore di lavoro possa fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali, essendo invece suo compito non solo apprestare tutti gli accorgimenti che la migliore tecnica consente per garantire la sicurezza degli impianti o macchinari utilizzati ma anche di adoperarsi perché la concreta esecuzione del lavoro avvenga nel rispetto di quelle modalità. In particolare secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez.IV 27.11.96 n.952 m.u.206990; sez. IV 3.6.2004 n. 40164, Giustiniani rv 229564) è possibile definire abnorme il comportamento imprudente del lavoratore solo quando sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, situazione di cui, per quanto sopra detto, si è esclusa la ricorrenza nel presente caso.
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BIANCHI LUISA
Data Udienza: 05/06/2015
Fatto
1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del tribunale di Lecco con cui L.P. e V.O. sono stati ritenuti responsabili, nella qualità di datori di lavoro e legali rappresentanti della SNC Elite montaggi, di lesioni colpose cagionate al dipendente Z.L.. Quest’ultimo, mentre era intento ad effettuare la ripulitura del tetto in eternit posto a copertura di un capannone, cadeva di sotto attraverso un lucernario non visibile perché coperto d’erba e si procurava lesioni personali gravissime; il fatto avveniva in data 24 gennaio 2011. Si accertava che lo Z.L. al momento della caduta si era sganciato dalla imbragatura che fino a poco prima aveva tenuto allacciata perché, avendo terminato il proprio turno di lavoro, si stava avviando su una passerella per scendere dal tetto; accortosi che una fune si era aggrovigliata, nell’intento di aiutare i compagni di lavoro a rimuoverla, tornava sui suoi passi e inavvertitamente appoggiava il piede su un lucernario nascosto che si rompeva, facendolo precipitare al suolo. Entrambi i giudici di merito ritenevano responsabili i due imputati in quanto si era accertato che non erano state allestite idonee misure di protezione collettive ed in particolare reti anticaduta, cioè delle reti poste sotto la superficie pericolosa per proteggere i lavoratori da cadute accidentali.
2. Ha presentato ricorso per cassazione il difensore degli imputati, avv.to Omissis. Con un primo motivo deduce difetto di motivazione per non essersi tenuto conto del fatto che esistevano ed erano utilizzati dai lavoratori, anche in occasione del’incidente in esame, i dispositivi di protezione individuale, in particolare specifiche imbragature collegate agli arrotolatori che permettono di agganciarsi alla cd linea vita. L’incidente si è verificato alla fine del turno di lavoro quando Z.L. , che già stava abbandonando il tetto accompagnato dal compagno di lavoro, decideva di tornare indietro, senza riagganciarsi al cavo della linea vita, ponendo i piedi proprio sul lucernaio che i suoi colleghi stavano cercando di interdire all’accesso; le modalità del’incidente sono state riconosciute dallo stesso infortunato. Con un secondo motivo deduce violazione di legge, artt. 40 e 41 cod.pen. e 2087 cc. Si sostiene che l’incidente non era prevedibile ed è avvenuto per il comportamento del tutto anomalo e imprevedibile dello Z.L.. Si lamenta che non sia stata esclusa la responsabilità del L.P. in virtù della delega in materia di sicurezza conferita al V.O., delega che presentava tutti i requisiti di legge in quanto il L.P. e il V.O. erano entrambi soci amministratori della società.
3. Si è costituita in giudizio l’INAIL depositando memoria con la quale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato.
Diritto
l. Il ricorso non merita accoglimento risultando infondati i motivi proposti.
1.1. Quanto al primo, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto la responsabilità degli imputati per l’infortunio avvenuto al dipendente Z.L., la cui caduta è stata resa possibile dalla riscontrata assenza delle reti di protezione. La Corte ha puntualmente dato atto delle modalità di svolgimento dell’incidente ed ha riferito che esistevano nel cantiere ed erano stati utilizzati anche nel contesto dell’attuale incidente i dispositivi di protezione individuale rappresentati da apposite cinture munite di fermastop, che però il dipendente aveva slacciato accingendosi a scendere dal tetto e non aveva provveduto a riallacciare prima di tornare indietro per aiutare i compagni; ha ritenuto tuttavia sussistente la responsabilità degli imputati per la mancanza di reti anticaduta. La motivazione è del tutto corretta e conforme alla pacifica giurisprudenza di questa Corte. Esiste infatti in capo al datore di lavoro una posizione di garanzia che gli impone di apprestare tutti gli accorgimenti, i comportamenti e le cautele necessari a garantire la massima protezione del bene protetto, la salute e l’incolumità del lavoratore appunto, posizione che esclude che il datore di lavoro possa fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali, essendo invece suo compito non solo apprestare tutti gli accorgimenti che la migliore tecnica consente per garantire la sicurezza degli impianti o macchinari utilizzati ma anche di adoperarsi perché la concreta esecuzione del lavoro avvenga nel rispetto di quelle modalità. In particolare secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez.IV 27.11.96 n.952 m.u.206990; sez. IV 3.6.2004 n. 40164, Giustiniani rv 229564) è possibile definire abnorme il comportamento imprudente del lavoratore solo quando sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, situazione di cui, per quanto sopra detto, si è esclusa la ricorrenza nel presente caso.
1.2. Quanto alla eventuale delega al co-amministrare, sentenza impugnata ha escluso i presupposti per la validità di una tale delega e la questione non può trovare ingresso in questa sede; infatti la circostanza che entrambi gli imputati fossero soci amministratori è proprio quella che comporta la responsabilità di entrambi, laddove l’esistenza di una delega non risulta essere stata dimostrata ed anche nel presente ricorso si fa riferimento unicamente alla dichiarazione di un teste.
2. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dall’Inail per questo giudizio di Cassazione liquidate come al dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dall’Inail per questo giudizio di Cassazione liquidate in euro 2500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 5.6.2015.