Lucernari privi di solide coperture e responsabilità di un committente.
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 07/01/2015
Fatto
Con l’impugnata sentenza resa in data 7 aprile 2014 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano in data 27 settembre 2012 appellata, per quel che rileva in questa sede da F.S., sostituiva la pena detentiva a quest’ultimo inflitta con la corrispondente pena pecuniaria di € 3.420,00 e concedeva il beneficio della non menzione della condanna.
Il F.S. era stato tratto a giudizio, unitamente a C.A., assolto dalla Corte territoriale e M.C. (non ricorrente), per rispondere del reato di cui all’art. 590, commi 1 e 3, 583 comma 1 n. 1 per il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme sulla disciplina degli infortuni e della sicurezza sul lavoro, in danno di G.O..
Avverso tale decisione ricorre a mezzo del difensore di fiducia il F.S. deducendo la erronea applicazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza della responsabilità penale dell’imputato quale legale rappresentante della committente in relazione all’evento in concreto verificatosi nonché la condotta abnorme del lavoratore ed il suo ingresso invito domino, nei luoghi dell’infortunio, da soli sufficienti a cagionare l’evento.
Diritto
Il ricorso è infondato. Osserva la Corte come non sia dubitabile, la posizione di garanzia in cui si trovava il F.S., nella qualità di committente. La responsabilità dell’appaltatore non esclude, infatti, in caso di infortunio, la configurabilità della responsabilità anche del committente. Questi, infatti, in termini generali, è corresponsabile qualora l’evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando i lavori si svolgano in presenza di situazioni di fatto pericolose, come nel caso in esame, in cui i lucernari erano privi di solide coperture, né erano dotati di opere atte a scongiurare gli infortuni. Inoltre, il committente può essere chiamato a rispondere dell’infortunio qualora l’omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile cosicché il committente medesimo sia in grado di accorgersi dell’inadeguatezza delle stesse senza particolari indagini; mentre, in questa evenienza, ad escludere la responsabilità del committente, non sarebbe sufficiente che questi abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza (v. Sezione 4, 18 aprile 2013, Dho, Rv. 256427; Sezione 4, 29 aprile 2008, n. 22622, Barzagli ed altro, non massimata sul punto). Deve, pertanto, affermarsi che, in caso di infortunio, è sempre stato ammesso che possano aversi “intrecci di responsabilità” coinvolgenti anche il committente (v. sul punto, Sezione 4, 17 gennaio 2008, n. 13917, Cigalotti ed i riferimenti in essa contenuti, Rv. 239590, 239591) come può desumersi dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, laddove si pongono gli specifici obblighi del datore di lavoro in caso di affidamento dei lavori, all’interno dell’azienda, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi. Il datore di lavoro, in tal caso, è tra l’altro tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione ed a fornire alle imprese appaltatrici ed ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro. Può anzi ben dirsi che tali obblighi comportamentali determinano a carico del datore di lavoro una posizione di garanzia e di controllo dell’integrità fisica anche del lavoratore dipendente dell’appaltatore e, a fortiori, del lavoratore autonomo operante nell’impresa (cfr. la citata sentenza Cigalotti). Si tratta, come si vede, di una normativa molto rigorosa, che dimostra con chiarezza l’intendimento di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente “estensione” dei soggetti onerati della relativa “posizione di garanzia” nella materia prevenzionale allorquando l’omessa adozione delle misure antinfortunistiche prescritte risulti la conseguenza del rilevato omesso coordinamento. La sentenza impugnata ha applicato correttamente i suddetti principi e resta pertanto esente da censure.
Parimenti infondato è anche il secondo motivo di gravame. La sentenza di merito appare infatti, congruamente motivata in relazione a tutti i profili di interesse, con corretta applicazione dei principi in tema di nesso di causalità. In particolare, a base dell’affermato giudizio di colpevolezza i giudici d’appello hanno escluso il comportamento abnorme della persona offesa.
Osserva a riguardo la Corte: è principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, che il sistema prevenzionistico mira a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, per cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi,prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (tra le altre, Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011. Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n.7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Fani, Rv. 232421). Più recentemente questa Corte ha avuto modo di rilevare che in tema di infortuni sul lavoro, non integra il “comportamento abnorme” idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest’ultimo di un’operazione che, seppure imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, Rv. 259313).
4. Il ricorso per cassazione proposto dal F.S. va, per le ragioni sin qui esposte, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso nella camera di consiglio del 7 gennaio 2015