Caduta al suolo da una scala a pioli. Responsabilità di un preposto.
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE
Data Udienza: 04/06/2015
Fatto
1. Il Tribunale di Como, con sentenza del 13/6/2014, condannò, insieme ad altri, L.A.M., quale preposto in materia antinfortunistica della V. Costruzioni s.r.l., alla pena stimata di giustizia, per il reato di lesioni personali colpose gravi ai danni del lavoratore dipendente R.S., il quale, caduto al suolo da una scala a pioli, precariamente assicurata da un fil di ferro, nel mentre era intento a riversare all’interno dell’impalcatura di un pilastro edificando le benne cariche di cemento, aveva patito lesioni gravi. In particolare si rimproverava all’imputato sia la colpa generica, che quella specifica per non avere «sovrinteso e vigilato sull’osservanza da parte del lavoratore degli obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione; in particolare con riferimento all’esecuzione dei lavori di “getto” del calcestruzzo per la realizzazione di “pilastri rettangolari”, che prevedevano operazioni da effettuarsi ad altezza maggiore di 2 metri (circa 3 metri) e la necessità di posizionare manualmente la “benna” della gru contenente il calcestruzzo, manovrata da altro lavoratore (art. 19, comma 1, lett. a D.L.vo 81/08)».
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 12/11/2014, confermò la statuizione di primo grado.
2. L’imputato propone ricorso per cassazione avverso quest’ultima decisione, corredato da unitaria censura, con la quale denunzia violazione di legge. Assume il ricorrente che l’infortunio era da addebitarsi in via esclusiva all’infortunato, il quale aveva inosservato le norme precauzionali, così facendo venir meno la propria collaborazione (art. 2087, cc). La p.o. avrebbe dovuto opporre legittimo rifiuto a fronte della richiesta del L.A.M. (il quale, secondo la ricostruzione di cui in sentenza gli aveva ordinato di avvalersi del precario strumento per operare dall’alto).
Diritto
3. Il ricorso deve essere disatteso con declaratoria d’inammissibilità a cagione della sua aspecificità, e, ad un tempo, manifesta infondatezza.
Il L.A.M., come si è anticipato, ipotizza che l’evento, in quanto frutto di condotta abnorme del lavoratore, non era prevedibile e prevenibile dal garante.
Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. Sez. IV, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. IV, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. IV, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. IV, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. IV, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. IV, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. IV, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti. Pur non potendosi in astratto escludere che possa riscontrarsi abnormità anche in ipotesi nelle quali la condotta del lavoratore rientri nelle mansioni che gli sono proprie, ove la stessa sia consistito in un’azione radicalmente ed ontologicamente lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, qui la detta ipotesi, comunque, residuale, non ricorre.
Incombe sul garante il precipuo obbligo d’impedire prevedibili imprudenti condotte dei lavoratori e, comunque, di coloro che si trovino legittimamente all’interno dell’area di lavoro.
E’ utile, poi, ricordare che questa Corte ha avuto modo di affermare reiteratamente l’estrema rarità dell’ipotesi in cui possa configurarsi condotta abnorme anche nello svolgimento proprio dell’attività lavorativa, escludendola tutte le volte in cui il lavoratore commetta imprudenza affidandosi a procedura meno sicura, ma apparentemente più rapida o semplice, che non gli venga efficacemente preclusa dal datore di lavoro (Sez. IV, n. 952 del 27/11/1996; Sez. IV, n. 40164 del 3/6/2004; Sez. IV, n. 2614/07 del 26/10/2006).
Peraltro, qui, la vittima (come rievoca la Corte territoriale), ben lungi dal “gravarsi in attività pericolose per inopinata decisione, fu ruvidamente invitata a dar corso alla lavorazione, nella totale violazione della normativa antinfortunistica proprio dal L.A.M., il quale gli aveva intimato di non tergiversare e che .
Di conseguenza deve considerarsi un mero irragionevole paradosso l’affermazione impugnatoria secondo la quale il lavoratore infortunato aveva dato luogo a condotta abnorme per non essersi rifiutato di obbedire all’ordine illegale.
4. All’epilogo consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché a quello della sanzione pecuniaria, nella misura stimata equa di cui in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.