Cassazione Penale, Sez. 4, 09 settembre 2015, n. 36474

Caduta di un pannello di cemento e infortunio mortale. Interferenze.


 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 11/06/2015

Fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha parzialmente riformato quella emessa dal Tribunale di Roma, con la quale A.A., C.S., DS.M.e P.F. erano stati giudicati responsabili del mortale infortunio sul lavoro occorso a F.B. e condannati alla pena ritenuta equa per la contravvenzione rispettivamente contestata ed il delitto, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
La Corte di Appello ha infatti mandato assolti il P.F. ed il C.S. da tutti i reati rispettivamente ascritti per non aver commesso il fatto, dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’A.A. e del DS.M. in relazione alla contravvenzione loro rispettivamente attribuita e confermato la pronuncia di condanna emessa nei confronti dei medesimi per il delitto, riducendo la pena a mesi otto di reclusione ciascuno, con la conferma delle statuizioni civili.
La vicenda che chiama in causa gli odierni ricorrenti ebbe a svolgersi nel cantiere attivo per l’esecuzione di lavori sul Grande raccordo anulare di Roma, in rapporto ai quali l’ANAS aveva commissionato ad una prima associazione temporanea di imprese l’ampliamento a tre corsie del tratto stradale tra il km. 17,440 e il km. 18,800. Il movimento terra, la demolizione di opere stradali già esistenti, le pavimentazioni stradali e le sistemazioni idrauliche e stradali erano poi state appaltate da quella ad una ulteriore ATI, costituita dalla A.A. s.r.l, dalla STIM s.r.l. e dalla VE.MA s.r.l.
Il 13 giugno 2005 si stavano eseguendo due distinte lavorazioni: la realizzazione di un muro di terra armata per ottenere una rampa di accesso al GRA e la sistemazione ad area carrabile della zona sottostante al muro medesimo. Il muro di terra armata veniva realizzato mediante la posa in opera di pannelli in cemento con sagoma ad incastro, ancorati da funi di acciaio e bandelle. I lavori nell’area sottostante quel 13 giugno consistevano nella realizzazione di una cunetta ‘alla francese’ per lo scolo delle acque meteoriche. A questi ultimi attendeva la squadra di operai della quale faceva parte il F.B., comandata dal DS.M.. Nel corso dei lavori, il mezzo d’opera condotto da G.P., che operava per la posa dei pannelli nel livello superiore della costruenda rampa, urtava un pannello di cemento che cadeva sul F.B., intento al lavoro nella zona sottostante il muro armato, cagionandone il decesso.
I giudici di merito hanno ritenuto che nell’occasione non si fosse tenuto conto della interferenza tra lavorazioni diverse e dei conseguenti rischi per i lavoratori, e quindi che del sinistro dovesse rispondere il DS.M., che in qualità di caposquadra presente sul posto per conto della società A.A., a conoscenza del concomitante svolgimento delle due lavorazioni (entrambi facenti capo alla predetta A.A.) e della assenza di misure prevenzionistiche, avrebbe dovuto dare ogni disposizione necessaria. Quanto all’A.A., al medesimo, nella qualità di legale rappresentante della A.A. s.r.l., i giudici di merito hanno attribuito l’omessa valutazione nell’ambito del POS del rischio derivante dall’interferenza, non considerata accidentale, delle due lavorazioni, entrambe ad essa affidate.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione DS.M., a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis.
3.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale e violazione dell’art. 41, co. 2 cod. pen. Sostiene l’esponente che la Corte di Appello ha erroneamente affermato che le lavorazioni erano interferenti tra loro perché svolgentesi l’una, la posa dei pannelli, nello spazio soprastante l’area nella quale si svolgeva l’altra.
Vizio motivazionale si rinviene anche in relazione all’affermazione del nesso causale, non avendo la Corte di appello tenuto conto che il G.P. si portò sull’area in asse a quella ove si trovava il F.B. per corrispondere ad una disposizione data da tale C. in contraddizione con le disposizioni del DS.M. e per svolgere una non prescritta lavorazione di spianamento a soli sette metri dal muro di terra armata. I giudici di secondo grado hanno ritenuto di dover parlare al riguardo di un mero errore nello svolgimento dell’attività lavorativa, laddove trattasi di comportamento idoneo ad interrompere il nesso causale.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta ancora vizio motivazionale con riferimento alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
3.3. Con un terzo motivo si prospettano vizio motivazionale e violazione di legge, in relazione alla identificazione degli obblighi gravanti sul preposto, essendo stato posto a carico del DS.M. il sinistro nonostante egli fosse mero esecutore di ordini impossibilitato a sindacare le scelte operate da altri.
3.4. Con un quarto motivo si deduce la carenza della motivazione relativa al rigetto della richiesta di sospensione della provvisoria esecutorietà della condanna al pagamento di una provvisionale.
4. Ricorre per cassazione anche l’A.A., a mezzo dei difensori avv. Omissis, articolando tre motivi.
4.1. Con un primo si lamenta la violazione dell’art. 40, cpv. cod. pen. per aver la Corte di appello malamente individuato nell’A.A. il soggetto tenuto, nella qualità, a regolamentare l’interferenza tra i lavori di livellamento del terreno (eseguiti dalla ditta Stim) e quelli di realizzazione del muro armato e della sottostante cunetta (in carico alla società A.A.), laddove tal’era la società affidataria Tiber, secondo quanto previsto dall’art. 97 d.lgs. n. 81/2008.
4.2. Con un secondo motivo si deduce vizio motivazionale per aver la Corte distrettuale affermato sia che i lavori che si svolgevano sull’area soprastante facevano capo all’ATI, sia che essi erano eseguiti dalla A.A.. Diversità essenziale perché conducente a diverse conclusioni in punto di responsabilità. Si osserva, infatti, che la Corte é caduta in errore quando ha affermato che i lavori vennero subappaltati dalla Tiber alla A.A., essendo pacifico che subappaltante fu l’ATI, con l’effetto che tutte le imprese esecutrici in essa riunite erano gravate dell’obbligo di redigere il POS. Inoltre la Corte ha travisato la prova che conduce a ritenere che l’area superiore al muro ospitava il cantiere della Stim.
4.3. Analogo motivo si eleva a riguardo della affermazione di responsabilità per omessa previsione originaria del rischio di interferenza in relazione ad un rischio insorto non ab origine ma solo in corso d’opera. La Corte di appello avrebbe dovuto indicare gli specifici elementi di prova dai quali dedurre che le lavorazioni fossero programmate in regime di interferenza.

Diritto

5.1. In primo luogo va rilevato che il reato per cui si procede risulta estinto per essere decorsi i termini di prescrizione. Poiché commesso in epoca anteriore alla legge n. 251/2005, che ha modificato la disciplina della prescrizione, per quel che qui occupa, eliminando l’incidenza sui relativi termini del giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 cod. pen., al fatto per cui é processo va applicata la disciplina previgente; sicché, essendo state riconosciute le attenuanti generiche con valutazione di equivalenza rispetto alla aggravante della commissione del reato con violazione di norme prevenzionistiche, il termine massimo di prescrizione é pari a sette anni e mezzo; il quale risulta decorso, tenuto conto anche dei periodi di sospensione del termine medesimo verificatisi nel corso dei diversi gradi di giudizio, con il trascorrere del 4.12.2013.
Come noto, tanto importa che un eventuale annullamento ai fini penali della sentenza può essere pronunciato solo ove risulti la prova evidente dell’innocenza dell’imputato, evidenza che la Corte d’appello abbia mancato di cogliere, così violando la previsione dell’articolo 129 cod. proc. pen.
Orbene, le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata, delle quali si scriverà a breve, escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito.
5.2. Per quanto attiene alla pronuncia di condanna degli imputati al risarcimento dei danni in favore della parte civile, é parimenti noto che l’art. 578 cod. proc. pen. prevede che il giudice d’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta “condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati”, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall’art. 129, co. 2 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).
Orbene, sotto lo specifico profilo ora menzionato le doglianze proposte dagli odierni ricorrenti sono infondate.
6.1. Con riferimento al ricorso proposto nell’interesse del DS.M. va rammentato che secondo l’esponente l’errore della Corte di Appello in merito alla esistenza di una interferenza tra le lavorazioni é derivato da una errata valutazione dell’esame dell’imputato e delle dichiarazioni del G.P., del C., del T., e del PSC dell’Anas, perché da tali prove si trarrebbe che il DS.M. aveva dato disposizioni a che le lavorazioni non venissero a svolgersi in sovrapposizione spaziale, in quanto tra esse si sarebbe dovuta mantenere una distanza di rispetto non inferiore a quaranta metri. Inoltre la stessa Corte distrettuale ha affermato che al momento dell’incidente i lavori sulla parte superiore del muro si stavano svolgendo su un punto che in verticale non corrispondeva a quello dove la squadra del F.B. stava lavorando. I rumori percepiti dai lavoratori – ai quali ha fatto riferimento il Collegio territoriale – non indicavano che nella parte soprastante i mezzi d’opera si muovessero sul muro, perché la zona di cantiere aveva una profondità di duecento metri e quella ove si svolgevano i lavori di movimentazione del terreno era ad almeno cento metri arretrata rispetto al muro armato e separata da rete di delimitazione.
Come si vede si tratta di censure alla valutazione della prova, che la Corte distrettuale non avrebbe ben compreso e nemmeno correttamente interpretato. Censure che contrappongono a quella dei giudici una diversa valutazione, senza neppure denunciare un travisamento del significante [se é vero che il vizio di travisamento della prova non può essere rilevato in presenza di una ed. ‘doppia conforme’ é parimenti vero che tale preclusione non ricorre quando il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 – dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007 – dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007 – dep. 07/02/2007, Medina ed altri, Rv. 236130),  o entrambi i giudici di merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 44756 del 22.10.2013, Buonfine ed altri, n.m.)].
Vale ricordare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Il solo passaggio motivazionale che viene indicato come intrinsecamente contraddittorio é quello nel quale la Corte di Appello giustapporrebbe l’affermazione che l’apposizione dei pannelli si svolgeva nella zona soprastante al fronte di realizzazione della cunetta a quella che al momento dell’incidente i pannelli si stavano disponendo in una parte di muro non corrispondente in verticale alla zona ove operava la squadra diretta dal DS.M.. Ma, in realtà, non vi é alcuna contraddizione. Per meglio comprendere il passo, occorre recuperare quanto spiegato nella sentenza di primo grado – e non posto in discussione da alcuno -, ovvero che, a seguito del ritardo prodottosi nell’esecuzione dei lavori tanto nella parte superiore della rampa che in quella inferiore, tali lavorazioni, che erano state previste non concomitanti, si stavano svolgendo contestualmente; e che il 13 giugno il G.P. stava posizionando i pannelli in un luogo distante da quello ove si sarebbe poi verificato l’incidente quando era stato chiamato ad operare in tale zona perché un camion aveva scaricato terra ove si dovevano stendere ancora le bandelle ed era quindi necessario rimuoverla. Nell’attendere a tale compito il mezzo del G.P. si era sbilanciato, era andato a sbattere contro il pannello, che si era staccato ed era precipitato sul povero F.B.. E’ quindi evidente, specie se si svolge la integrale lettura del passo dedicato al tema (cfr. pg. 9), che la Corte di Appello fa da un canto riferimento alle zone complessivamente dedicate alle lavorazioni e dall’altro alle zone ove si stavano svolgendo nel particolare momento dell’incidente il posizionamento dei pannelli e le attività dei dipendenti della società A.A..
L’assunto di fondo della Corte territoriale é che le aree interessate alle lavorazioni erano verticalmente corrispondenti e che queste erano contestualmente in esecuzione; mentre costituiva evenienza non incidente sulla identificazione di un rapporto di interferenza tra le lavorazioni la posizione di volta in volta assunta lungo i fronti di lavoro da coloro che attendevano alle operazioni di posizionamento del muro e da coloro che attendevano alla realizzazione della cunetta. L’affermazione coglie certamente il segno: nei suoi presupposti fattuali, perché si é già rammentato (e lo afferma anche il ricorrente) che il G.P. in quella giornata, prima di essere chiamato a rimuovere il terreno, stava effettivamente attendendo al posizionamento dei pannelli e che i lavori non erano terminati neppure in prossimità del pannello poi caduto, non essendo state ancora disposte le bandelle; nella sua consonanza a diritto, atteso che di lavorazioni interferenti deve parlarsi ogni volta che lo svolgimento di più lavorazioni faccia emergere per ciò stesso un rischio aggiuntivo, il quale può derivare anche da fattori diversi dalla contestualità delle operazioni, come ben evidenzia, nell’ambito della disciplina dei cantieri temporanei o mobili e a riguardo di quello che potrebbe definirsi come rischio interferenziale in senso proprio’ (si veda infra, paragrafo 7.1.), la previsione dell’art. 90, co. 4 d.lgs. n. 81/2008, che impone la nomina dei coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione anche nel caso di lavori assegnati ad imprese esecutrici la cui presenza non é prevista come contemporanea.
Quanto alla incidenza dell’errore di conduzione della terna da parte del G.P. sull’imputazione causale dell’evento al DS.M., le affermazioni del ricorrente sono manifestamente infondate, sia perché la Corte di Appello non ha mancato di motivare sul punto (cfr. pg. 9 e s.), sia perché un errore di esecuzione di una qualsiasi operazione condotta sull’area soprastante era tutt’altro che imprevedibile, essendo all’inverso alla base della emersione di un rischio interferenziale.
6.2. Il vizio motivazionale che si denuncia a riguardo del rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale trae origine dalla ritenuta erroneità della ricostruzione fattuale; esclusa tale erroneità, come si é mostrato nel precedente paragrafo, non v’é altra argomentazione a sostegno della censura, risultando privo di pertinenza al caso che occupa il richiamo della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo a riguardo delle condizioni che rendono necessaria quella rinnovazione in sede di appello.
6.3. Alcun vizio si rinviene nella identificazione e nell’argomentazione degli obblighi derivanti al DS.M. dalle mansioni svolte nel contesto dei lavori, la cui violazione é risultata causalmente efficiente rispetto al tragico evento.
I giudici di merito hanno ascritto all’imputato in parola non già di non aver adempiuto obblighi che non possono essere riferiti ad un ‘mero esecutore’ di disposizioni da altri dettate; bensì di non aver assunto alcuna misura pur disponibile di fronte all’incombere del rischio interferenziale direttamente conosciuto anche quello stesso 13 giugno.
In tema di prevenzione degli infortuni, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l’esecuzione sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Sez. 4, n. 9491 del 10/01/2013 – dep. 27/02/2013, Ridenti, Rv. 254403). Il DS.M., afferma la Corte di Appello, pur pienamente a conoscenza della situazione di fatto esistente, ed a conoscenza del fatto che non era stata adottata in concreto alcuna cautela a tutela dei lavoratori da lui stesso condotti sul cantiere, non diede alcuna disposizione per la loro sicurezza.
6.4. L’ultimo motivo é inammissibile. Non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015 – dep. 06/05/2015, D. G., Rv. 263486).
A fortiori ciò vale per la statuizione relativa a diniego di sospensione della provvisoria esecutorietà della condanna al pagamento della provvisionale.
7.1. Relativamente al ricorso proposto nell’interesse dell’A.A., il primo motivo si edifica su un’affermazione erronea, ovvero che risulterebbe “dato acquisito che l’unica lavorazione concomitante in atto sul rilevato dell’evento é quella di livellamento del rilevato stesso attraverso l’uso della terna meccanica”. Invero, si é già scritto che risulta processualmente accertato che il 13 giugno si stavano svolgendo contestualmente i lavori di posizionamento dei pannelli e quelli di sistemazione delle cunette; inoltre, in una posizione più arretrata rispetto al versante della rampa erano in atti lavori di movimento terra, sbancamento e similari. Pertanto, é errato asserire che l’interferenza della quale va individuato il gestore era quella tra ì lavori di movimentazione della terra e quelli in svolgimento alla base della rampa; e non coglie il segno la censura che ascrive alla Corte di Appello di aver considerato l’interferenza come un fenomeno complessivo. All’inverso, come si é ampiamente esposto al superiore paragrafo 6.1., la Corte distrettuale ha identificato l’interferenza tra il posizionamento dei pannelli e le attività al piede della rampa; e poiché é stato accertato nei gradi di merito che entrambe le lavorazioni facevano capo alla società A.A., non vi é alcun dubbio che del rischio derivante dalla contestuale esecuzione dovesse farsi carico l’imputato in parola, nella qualità. Il DUVRI, al quale si richiamano gli esponenti per ricondurre all’impresa affidataria l’obbligo di predisporre le misure dirette a fronteggiare il rischio interferenziale, é impropriamente evocato, perché esse concerne rischi che derivano dalla presenza di imprese diverse (rischio interferenziale ‘in senso proprio’) e non già, come nel caso, il rischio connesso allo svolgimento di lavorazioni distinte da parte della medesima impresa, da governarsi nello specifico attraverso il POS, come in via di ipotesi riconosce lo stesso ricorrente.
In tale quadro la circostanza che il G.P. abbia urtato il pannello mentre rimuoveva del terreno non muta la identificazione della natura della interferenza (tra lavorazioni, piuttosto che tra imprese), come ben evidenzia l’osservazione che il correlato rischio per i lavoratori attivi nella zona sottostante non derivava dalle caratteristiche della lavorazione ‘movimento terra’ ma dalla localizzazione di maestranze e/o di mezzi d’opera nella zona di posizionamento dei pannelli.
7.2. Con il secondo motivo si investe la motivazione in forza della quale si é giustificata l’affermazione dell’essere stata la società A.A. l’impresa che attendeva tanto ai lavori di posizionamento dei pannelli che a quelli al piede della rampa. Ma tanto si fa utilizzando in termini impropri la presenza di un cantiere facente capo alla Stim. Infatti, sulla scorta di tale pacifico dato e asserendo che la lavorazione interferente era quella di movimento terra e che l’area sovrastante era affidata alla Stim, si conclude che la Corte distrettuale ha errato nel sostenere che entrambe le lavorazioni che rilevano facevano capo alla A.A.. In realtà la Corte territoriale ha svolto affermazioni chiare, non contraddittorie né contraddette dai materiali di causa: i lavori nella parte soprastante facevano capo all’Ati tra A.A. s.r.l., Stim s.r.l. e Verna s.r.l.; in particolare i lavori sui pannelli del muro armato e sulla zona sottostante della rampa erano svolti dalla A.A.. L’utilizzo eclettico che si rinviene nel ricorso del concetto di ‘lavori dell’area soprastante’, pacificamente divisi tra la Stim (movimento terra) e la A.A. (lavori di posizionamento dei pannelli), non può trovare eco in questa sede.
Quanto alle ragioni che hanno condotto ad identificare nella A.A. l’impresa esecutrice dei lavori di posizionamento dei pannelli, già la sentenza di primo grado (che, trattandosi di ‘doppia conforme’ sulle posizioni del DS.M. e dell’A.A., si integra con quella di appello) asserisce che tale società aveva il subappalto per il muro in terra armata (pg. 21); tale affermazione é ribadita dalla Corte di Appello (pg. 13). E che tale impresa avesse sottoscritto il contratto con la Tiber quale mandataria dell’ATI cd. minor non contraddice di per sé quell’affermazione.
7.3. Il terzo motivo assume a caposaldo la ricorrenza nella fattispecie di un’ipotesi non già di mancanza originaria della valutazione del rischio di interferenza tra lavorazioni – poiché essa presuppone una conformazione delle lavorazioni che già lascia emergere il rischio – ma di mancato adeguamento del POS all’insorgere di tale rischio. Da tanto si vorrebbe dedurre che la sentenza impugnata sarebbe carente sul piano motivazionale perché non spiega quali elementi di prova ha assunto per ritenere che le lavorazioni erano ab origine programmate in regime di interferenza.
Orbene, anche ad ammettere che la Corte di Appello abbia errato nel ritenere carente ab origine il POS della A.A. s.r.l. piuttosto che ascrivere all’imputato il mancato aggiornamento del medesimo di fronte al profilarsi della necessità di procedere contestualmente nelle lavorazioni, diversamente da quanto previsto inizialmente, non si vede quale interesse sostenga il motivo, posto che la contestazione rivolta all’A.A. gli ascrive di non aver previsto nel POS l’interferenza in parola, senza alcuna indicazione temporale; che nei giudizi di merito oggetto di prova é stata la compiutezza del POS in relazione alla situazione di fatto esistente al 13 giugno 2005; che non è configurabile alcuna nullità della sentenza, quando rimanendo immutato il fatto contestato sia stato erroneamente indicata la norma penale violata (Sez. 3, n. 10963 del 14/10/1992 – dep. 13/11/1992, Ragaldi, Rv. 192342), che peraltro qui vale unicamente quale fonte della cautela doverosa non adempiuta.
8. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ai fini civili.

P.Q.M.

annulla senza rinvio, ai fini penali, la sentenza impugnata perché il reato é estinto per prescrizione. Rigetta i ricorsi ai fini civili.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11/6/2015.

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