Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. 6, 08 settembre 2015, n. 17803

Accertamento della natura professionale della malattia (lombosciatalgia bilaterale funzionale).


 

Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO
Data pubblicazione: 08/09/2015

ORDINANZA

“Con sentenza del 5 febbraio 2013 la Corte di Appello di Roma confermava la decisione del Tribunale di Cassino di rigetto della domanda proposta da P.G. nei confronti dell’INAIL ed intesa all’accertamento della natura professionale della malattia da cui era affetto (lombosciatalgia bilaterale funzionale) con condanna del convenuto istituto alla costituzione della corrispondente rendita in misura pari al 20% o in misura inferiore, ma, comunque, superiore al 15%.
La Corte di merito fondava la propria decisione sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio nuovamente disposta in appello secondo cui la malattia lamentata dall’appellante comportava una inabilità pari al 3% , quindi inferiore alla soglia indennizzabile.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il P.G. affidato a due motivi.
L’INAIL resiste con controricorso.
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto al Corte di Appello non si era pronunciata sulla domanda intesa all’accertamento della natura professionale della malattia lamentata dal ricorrente.
Con il secondo motivo viene denunciato omesso esame di un fatto decisivo per non avere il giudice del gravame svolto alcuna valutazione delle risultanze istruttorie riportandosi pedissequamente alle risultanze della CTU espletata che nulla aveva detto in merito alla natura professionale o meno della malattia lamentata.
Entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
Vale ricordare il principio più volte affermato da questa Corte, in tema di infortuni e malattie professionali, e che va qui ribadito secondo cui è inammissibile, per difetto di interesse ad agire, l’azione diretta ad accertare il nesso di causalità tra infortunio e prestazione di lavoro, senza che sia residuata un’inabilità permanente indennizzabile, atteso che il processo può essere utilizzato solo a tutela di diritti sostanziali e deve concludersi (salvo casi eccezionali) con il raggiungimento dell’effetto giuridico tipico, cioè con l’affermazione o la negazione del diritto dedotto in giudizio, onde i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé e per gli effetti possibili e futuri che da tale accertamento si vorrebbero ricavare, dovendosi rilevare che la natura lavorativa dell’infortunio, o l’eziologia professionale della malattia, non costituisce una questione pregiudiziale alla prestazione economica, come tale suscettibile, a norma dell’art. 34 cod. proc. civ., di accertamento incidentale con efficacia di giudicato separatamente dall’esame della domanda principale, essendo invece uno degli elementi costitutivi del diritto medesimo (v., ex multis, Cass. nn. 3480/2013, 17971/2010, 17165/2006, 17788/2003, cfr. in materia di malattia professionale 19838/2003)”.
Orbene, nel caso in esame correttamente la Corte di Appello non essendo residuata al P.G. una inabilità indennizzabile ha confermato la decisione del primo giudice di rigetto della domanda stante la inammissibilità di una sentenza di mero accertamento della natura professionale della malattia.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5.”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
Il Collegio ritiene pienamente condivisibile la riportata relazione e, dunque, rigetta il ricorso.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, il 9 luglio 2015

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