Spesso su ReS pubblichiamo articoli, linee guida, manuali scritti da enti italiani o europei che si occupano di salute sui luoghi di lavoro. Spesso vi leggiamo del ruolo che ha la salute dei lavoratori nel processo produttivo e del valore della partecipazione nelle politiche di prevenzione.
Nell’ultima Relazione annuale europea 2014 (anch’essa da noi pubblicata con le news del 9 Settembre scorso) basata sull’indagine nei Paesi a 28, la Esener-2, si legge che la collaborazione è per il 56% delle aziende sopra i 250 dipendenti con le rappresentanze dei lavoratori, mentre è direttamente con i dipendenti, nel 41% dei casi, nelle aziende sotto quella soglia.
La differenza sostanziale è che nei primi ci si confronta sulla valutazione dei rischi e sulle misure da adottare, mentre negli altri sui singoli problemi che di volta in volta emergono. Comunque un livello partecipativo mediamente ancora insufficiente.
Le indagini ci dicono poco sui motivi di questo basso coinvolgimento. Non è chiaro per fare un esempio qual è l’impostazione organizzativa aziendale, in particolare sui criteri e i valori che guidano le aziende.
Quelle poche inchieste che si focalizzano su questi aspetti ci indicano che il nodo è qui.
Il passaggio storico avvenuto con la prima rivoluzione industriale è stato quello che ha trasformato delle imprese sostanzialmente artigiane con lavoratori che arrivavano all’interno dei capannoni con i propri strumenti di lavoro e le proprie metodologie, in imprese industriali che fornivano la strumentazione e organizzavano, in linee via via più omogenee, la lavorazione. Si passò dai 2000 lavoratori addetti alla lavorazione di carrozze nell’Italia del 1860 ai 15mila della sola Ford del 1915, agli oltre 80mila nell’Ansaldo alla fine della prima guerra mondiale.
Con quali criteri organizzare una massa così imponente di lavoratori?
Nel 1911 uscì Principi di organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, mentre Ford organizzava la produzione istituendo la catena di montaggio. Ciò su cui si puntava era la quantità della produzione e quindi la produttività del fattore lavoro. La frase che illustra questo processo la scrisse Henry Ford nella sua autobiografia:
Any customer can have a car (Ford T) painted any colour that he wants so long as it is black
ovvero, “ogni cliente può ottenere una Ford T colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero”.
Oggi il rapporto produttore (o fornitore di servizi) e il cliente si è rovesciata. Il processo nasce già negli anni ’50 con l’introduzione della Qualità totale inizialmente per migliorare il processo produttivo diminuendo gli scarti, poi via via cercando di vincere la competizione migliorando qualitativamente il prodotto offrendo alla clientela diverse scelte quasi in tempo reale. L’azienda non pensa più solo ad abbattere i costi, ma anche ad adattare l’organizzazione interna alla richiesta del mercato. E subentra un’altra esigenza quella di procedere velocemente anche diminuendo i passaggi burocratici interni e snellendo la struttura gerarchica. Questi cambiamenti ne richiedono, infine, un terzo e cioé l’impegno sempre più professionalmente qualificato dei lavoratori.
La secca frase “l’operaio non deve pensare” di Taylor un secolo dopo si è trasformata nella lunga frase scritta nella norma ISO 8402:1994:
Il Total Quality Management è un approccio organizzativo, centrato sulla Qualità, che si basa sulla partecipazione di tutti i membri di un’organizzazione per ottenere un successo a lungo termine, basato sulla soddisfazione del cliente, e benefici per tutti i membri dell’organizzazione stessa e della società.
Siamo quindi arrivati al punto. Può una organizzazione aziendale moderna prescindere dal benessere del lavoratore? Oppure: può un lavoratore raggiungere un livello qualitativamente soddisfacente per l’azienda attraverso una prestazione gratificante per lui se si trascura il benessere aziendale?
Non so quale risposta daranno i nostri lettori. Possiamo anticipare però che se la risposta fosse “no, non può”, questo modificherebbe il modo di guardare al tema del benessere lavorativo. La salute e la sicurezza diverrebbero non più obblighi istituzionali, ma obbiettivi aziendali. La partecipazione non più una formalità in più da adempiere, ma una costante da inseguire nel processo produttivo.
Linee guida e sentenze diminuirebbero di numero, mentre aumenterebbero le segnalazione di buone prassi utili a incrementare un processo innovativo e qualitativamente efficace.