Cattivo funzionamento del dispositivo di sicurezza della macchina. Responsabilità del delegato alla sicurezza.
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: IZZO FAUSTO
Data Udienza: 03/06/2015
Fatto
1. Con sentenza del 10\5\2013 la Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva T.A. e T.C. dal delitto di lesioni colpose in danno del lavoratore G.G. per non aver commesso il fatto; con la medesima sentenza veniva confermata, invece, la condanna di T.S..
Agli imputati era stato addebitato di avere, in qualità presidente del c.d.a. della s.r.l. “F.P.T. T.” T.A., di componente del c.d.a. T.C. e di componente del consiglio di amministrazione, delegato alla prevenzione e sicurezza sul lavoro il T.S., cagionato al dipendente G.G. lesioni personali gravi consistite in trauma all’emivolto destro e ustioni di II e III grado al volto e collo, lesioni guarite in complessivi giorni 48. In particolare, mentre il lavoratore, al fine di effettuare alcune regolazioni, si trovava all’interno dell’area di azione del braccio robotico collegato alla pressa orizzontale marca “Idra” 225T (area perimetrata da una difesa in rete metallica cui si accedeva attraverso un cancelletto), dopo aver messo in modalità “manuale” l’operatività della macchina e dopo aver aperto il cancelletto di ingresso, veniva colpito dal movimento improvviso del braccio robotico a causa del cattivo funzionamento del dispositivo di sicurezza artigianalmente assemblato e installato, volto ad impedire i movimenti del robot in caso di cancelletto aperto. Gli imputati, secondo l’accusa, avevano violato per negligenza, imprudenza, imperizia le norme per la prevenzione sugli infortuni del lavoro, in particolare gli artt. 2087 c.c. e 70, 71, co. 2 e 3 e 4 T.U. 81/2008 (già art. 43, 35 l. 626 del 1994) perchè avevano omesso di mettere a disposizione del lavoratore una attrezzatura conforme ai requisiti di sicurezza e idonea ai fini della salute dello stesso (in Gavardo il 30/5/2008).
Riteneva la corte di merito che, ferma restando la dinamica del sinistro come ricostruita nel capo di imputazione, era stato accertato dall’istruttoria svolta che il meccanismo di blocco automatico di operatività del macchinario, collegato all’apertura del cancelletto, non aveva funzionato in ragione del fatto che il meccanismo suddetto era posticcio e non efficiente.
Di tale omissione e del mancato rispetto delle misure di prevenzione, doveva rispondere il solo T.S. (ingegnere, qualificato professionalmente), che aveva una specifica delega in ordine alle problematiche di sicurezza; peraltro avrebbe potuto agevolmente adempiere agli obblighi, in ragione della modestia dell’impegno economico di spesa per garantire la funzionalità del sistema di sicurezza.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando :
2.1. il difetto di motivazione in ordine alla durata della malattia, 41 giorni, valutata sulla base di un “referto di infortunio” senza alcun ulteriore approfondimento specifico;
2.2. il difetto di motivazione sulla sussistenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, tenuto conto che l’incidente era accaduto ad un operaio esperto che da tempo lavorava presso lo stesso macchinario. La qualità di consigliere delegato da sola non poteva costituire ragione per ritenere l’esistenza del rapporto causale.
2.3. la omessa valutazione della possibilità che l’incidente fosse riconducibile ad una condotta gravemente imprudente della vittima, idonea ad interrompere il nesso causale.
Diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. In ordine alla durata della malattia va ricordato che questa corte di legittimità ha affermato che, in tema di lesioni personali, la durata della malattia, che i giudici abbiano valutato in base alle regole della pratica medica, costituisce accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 12035 del 21/10/1982 Ud. (dep. 17/12/1982), Rv. 156699; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1700 del 18/12/1968 Ud. (dep. 28/03/1969), Rv. 110830).
Nel caso in esame il giudice di merito hanno valutato i plurimi certificati medici acquisiti agli atti desumendone, dalla successione cronologica, la esatta durata della malattia.
La censura proposta sul punto, pertanto, si risolve in un’inammissibile rilettura del merito della vicenda, non consentita in questa sede di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che non palesa contraddittorietà o manifesta illogicità.
3. Quanto alla posizione di garanzia dell’imputato, le sentenze di condanna la ancorano non solo alla qualità di membro del consiglio di amministrazione, ma anche alla specifica qualità di delegato alla sicurezza aziendale.
Sul punto questa Corte di legittimità ha statuito che in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014 Ud. (dep. 18/09/2014), Rv. 261108).
Nel caso in esame, il ricorrente era titolare di una formale delega in relazione alle esigenze di sicurezza aziendale (v. pag. 4 sent. Tribunale) connotata da tutte le caratteristiche a renderla idonea a radicare in capo al Tappare Stefano la posizione di garanzìa e, quindi, di gestore dei rischi per la sicurezza dei lavoratori.
Inoltre la sua qualificazione professionale lo rendeva idoneo a valutare la pericolosità di un macchinario dotato di un insufficiente sistema di sicurezza.
Le omissioni consumate, pertanto hanno consentito il concretizzarsi del rischio infortunio, dal che la corretta valutazione da parte dei giudici di merito della sussistenza del nesso causale e della colpa integranti il delitto contestato.
4. Infine, con esaustiva motivazione il giudice di merito non ha inteso attribuire l’origine dell’infortunio ad una condotta negligente della vittima. Infatti, come questa Corte ha più volte ribadito, in materia di infortuni sul lavoro, la condotta incauta del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionaiità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute [ex plurimis, Cass. Sez. 4, Sentenza n. 21587 del 23/03/2007 Ud. (dep. 01/06/2007), Rv. 236721; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 22249 del 14/03/2014 Ud. (dep. 29/05/2014), Rv. 259227; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 7267 del 10/11/2009 Ud. (dep. 23/02/2010), Rv. 246695].
Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il G.G. ha patito l’infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso la macchina che gli ha procurato l’infortunio e che era priva di adeguati dispositivi di protezione sulla cui presenza egli, invece, faceva affidamento. Pertanto le modalità con cui ha iniziato la regolazione del macchinario, non costituiscono comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva dell’imputato e l’evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che le cautele omesse, come detto, erano proprio preordinate ad evitare il rischio specifico che poi concretamente si è materializzato nell’infortunio in danno del G.G..
Alla declaratoria di infondatezza del ricorso, segue, per legge ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 3 giugno 2015