Infarto e morte: nessun ruolo causale (o concausale) dell’attività lavorativa.
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA
Data pubblicazione: 21/09/2015
FattoDiritto
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 6 maggio 2015, ai .sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis cod. proc. dv. : “Omissis adiva il giudice del lavoro chiedendo la condanna dell’INAIL a corrisponderle l’assegno funerario nonché la rendita ai superstiti in conseguenza del decesso del coniuge, A.M., colpito da infarto dopo avere interrotto, per il dolore accusato al dorso, lo svolgimento dell’attività lavorativa consistita nello scarico di lastre di marmo del peso di circa 8 Kg , trasportate tre alla volta da un camion sino al primo piano di un edificio .
Il Tribunale riconosceva fondata la pretesa. La decisione era riformata dalla Corte di appello di Ancona che, sulla base della consulenza di ufficio disposta in seconde cure, respingeva la originaria domanda disconoscendo che l’attività espletata dal A.M. potesse avere avuto il ruolo di concausa, in termini probabilistici, nel prodursi dell’evento infortunistico.
Per la cassazione della decisione propone ricorso Omissis sulla base di tre motivi .
L’INAIL resiste con tempestivo controricorso.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.P.R. n. 1124 del 1965, censura la decisione per non avere fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte in tema di ruolo concausale da attribuirsi all’attività lavorativa, pur in presenza di pregressa patologia, ove tale attività abbia comportato una sia pur minima accelerazione della patologia pregressa
Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.P.R. n. 1124 del 1965, censura la decisione per essersi questa limitata all’esame atomistico dei singoli dati istruttori “laddove, invece il giudizio sull’idoneità dello sforzo stesso a rivelarsi diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente — e quindi così a configurare i presupposti ex Art. 2 del D.P.R. n° 1124/65 — deve essere condotto in senso sintetico giungendo ad apprezzare la sussistenza o meno delle possibili interazioni tra gli elementi di fatto ricostruiti in esito agli accertamenti di merito condotti”.
Con il terzo motivo, deducendo vizio di motivazione, censura la decisione per omesso esame del fatto decisivo e discusso tra le parti costituito dalla presenza di patologia pregressa di aterosclerosi coronarica in capo al lavoratore e del ruolo svolto da tale patologia nel rendere rilevante lo sforzo concretamente posto in essere ai fini della minima accelerazione di tale “ pregressa patologia”
I motivi di ricorso, che per l’evidente connessione, sono esaminati congiuntamente risultano manifestamente infondati.
Si premette che la Corte territoriale, nel ritenere infondata la originaria domanda, non si è limitata a rinviare agli esiti della consulenza tecnica di ufficio di secondo grado ma ha diffusamente argomentato in ordine alle ragioni per le quali era da escludersi qualsiasi ruolo causale (o concausale) al prodursi dell’evento dell’attività lavorativa espletata dal de cuius, respingendo puntualmente le deduzioni a riguardo formulate dalla parte appellata – odierna ricorrente. In particolare, richiamate le conclusioni del consulente di secondo grado in ordine al collegamento tra l’infarto e le preesistenti condizioni del lavoratore, ha ritenuto che sia le condizioni climatiche che lo sforzo affrontato, considerate le caratteristiche fisiche del A.M., non consentivano, secondo un criterio probabilistico, di porre in relazione, l’infarto – cui era seguito il decesso – e lo svolgimento dell’attività nella quale era impegnato il A.M. al momento in cui aveva cominciato ad avvertire dolore.
Tale ricostruzione non risulta inficiata dalle censure della odierna ricorrente. Invero, quanto al primo motivo è da evidenziare il difetto di autosufficienza dello stesso laddove, nel contrastare la esclusione del ruolo concausale dell’espletamento di attività lavorativa, non riproduce il brano della relazione peritale di secondo grado posto a fondamento dell’assunto sul punto del giudice di appello. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte infatti, la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l’ha recepita) ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamento ed alle conclusioni del consulente d’ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono pertanto possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso.”(Cass. n. 13845 del 2007 ). Né parte ricorrente contrasta specificamente la ricostruzione del giudice di appello in ordine alla inidoneità delle condizioni metereologiche e dello sforzo affrontato a determinare, secondo un criterio probabilistico di ’accelerazione” della pregressa patologia sofferta dal de cuius . Quanto al secondo motivo di ricorso lo stesso risulta assolutamente generico in quanto si limita a dedurre la necessità di una ricostruzione non atomistica della vicenda sulla base delle acquisizione istruttorie, senza evidenziare rispetto alle stesse lo specifico errore ascritto al giudice di secondo grado.
Infine, quanto al terzo motivo, con il quale si denunzia vizio di motivazione, è da premettere che in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata — il 10 dicembre 2012- si applica l’art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ., nella riformulazione operata dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134. Le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che tale disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ”minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. “Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. ( Cass. ss.uu. n.8053 del 2014)
In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni .di cui agli artt. 366, primo comma , n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.
Parte ricorrente non ha sviluppato il motivo di ricorso in termini coerenti con tali prescrizioni . Invero il fatto del quale si denunzia l’omesso esame e cioè la pregressa patologia coronarica deve ritenersi preso in considerazione dal giudice di appello laddove richiama (pag 2 della motivazione), sia pure genericamente, “le preesistenti condizioni del lavoratore”. In ogni caso non è offerto alcun elemento idoneo a dimostrare la decisività del fatto stesso, limitandosi parte ricorrente a contrapporre la propria valutazione a riguardo a quella dell’ausiliare di secondo grado condivisa dalla Corte .
Formulato in questi termini il motivo di ricorso si rivela privo dei requisiti minimi, come identificati dalla richiamata pronuncia a sezioni unite, idonei a sollecitare il sindacato del Collegio sul dedotto vizio motivazionale.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso risulta , nel suo complesso, manifestamente infondato .
Si chiede che il presidente voglia fissare la data per l’Adunanza in camera di consiglio.
Ritiene il Collegio di condividere la proposta formulata nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., coerente con la giurisprudenza consolidata di questa Corte.
Le deduzioni difensive formulate nella memoria depositata dalla parte ricorrente non offrono elementi per una rimeditazione di tale proposta Occorre infatti ribadire che il principio dell’equivalenza causale invocato dalla parte ricorrente può trovare applicazione solo in presenza di un accertamento di fatto che stabilisca che una determinata circostanza ha influito (anche solo nel senso dell’accelerazione) sul prodursi dell’evento. Ove, come nel caso di specie, sia stato in radice escluso, con accertamento di fatto, rispetto al quale il giudice di legittimità può effettuare solo una verifica sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica., qualunque nesso tra l’attività lavorativa espletata e l’evento infortunistico, non sussistono i presupposti per l’invocata applicazione del principio dell’equivalenza causale.
In merito poi alla valutazione del ruolo della patologia sofferta dal de cuius, la stessa risulta presa in considerazione dal giudice di appello laddove fa riferimento alle pregresse condizioni del lavoratore, per cui, anche sotto questo profilo, non vi sono i presupposti per denunziare l’omesso esame di un fatto decisivo. In ogni caso, posto che l’accertamento del giudice di appello è dichiaratamente fondato sulla consulenza di ufficio disposta in secondo grado, era onere della parte ricorrente dimostrare, trascrivendo il brano della relazione peritale investito dalla censura, che era stato pretermesso l’esame di un fatto che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti e che tale fatto aveva carattere decisivo.
In base alle considerazioni che precedono è da escludere la violazione dei parametri di legittimità ex art. 111 Cost. e ex art. 6 comma 1 CEDU, fondata in memoria sul rilievo che ” non risponde a tali requisiti, dunque, il giudizio di secondo grado, che pronunciando in senso contrario al Giudice di Prime Cure, privi la parte appellata degli esiti positivi della sentenza, non affrontando il punto su cui la medesima sentenza era basata, poiché tale esito si traduce in assenza di motivazione del provvedimento pregiudizievole per la parte appellata” In base alle considerazioni che precedono non si ravvisano i presupposti per disporre la remissione degli atti al Primo Presidente in accoglimento della istanza formulata dalla ricorrente.
In conclusione il ricorso deve essere respinto per manifesta infondatezza.
Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese ravvisabili nella circostanza che il ricorso è stato proposto a distanza pochi mesi dalla modifica dell’art 360 n. 5 cod. proc. civ., operata dall’art 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, prima dell’intervento chiarificatore di Sezioni unite n. 8053 del 2014 che ha riguardato anche la corretta modalità di deduzione del vizio di motivazione alla luce della richiamata novella .
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a nonna del comma 1 bis dello stesso articolo 13 .
Roma, 6 maggio 2015