Amianto.
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO
Data pubblicazione: 13/10/2015
FattoDiritto
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9 luglio 2015, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza n. 371/2006 del 12.10.2006 la Corte di Appello di Bologna, per quello che qui rileva, rigettava la domanda proposta da F.A. e da L.T. (già accolta in primo grado) intesa al riconoscimento dei benefici contributivi di cui all’art. 13, comma 8°, della legge n. 257 del 1992 non avendo ritenuto adeguatamente provata – avuto riguardo alle mansioni dai predetti svolte (rispettivamente capo-officina e magazziniere addetti all’officina dell’A.T.M. di Ravenna) – l’esposizione ultradecennale all’ amianto in misura pari o superiore alla soglia delle 100 fibre/litro, considerata necessaria ai sensi di legge.
Avverso tale sentenza veniva proposto ricorso per cassazione, rigettato con decisione del 26 marzo 2010 n. 7352.
Il F.A. ed il L.T. hanno, quindi, chiesto la revocazione della sentenza n. 371/2006 della Corte di Appello ai sensi dell’art. 395, commi 1° n. 3, c.p.c. assumendo di essere venuti a conoscenza in data 3.6.2011, tramite comunicazione loro inviata dall’Associazione Esposti Amianto, del documento redatto dal Dipartimento di Sanità Pubblica – Servizio Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro dell’Ausl di Ravenna e datato 23.9.2010 con cui veniva reso noto: che non risultavano casi di mesotelioma tra i lavoratori della ditta A.T.M. di Ravenna e che era stato rilevato un caso di neoplasia polmonare occorso ad un lavoratore meccanico-motorista (addetto alla officina della A.T.M.) dopo oltre 20 anni di anzianità lavorativa in quella mansione che prevedeva numerose operazioni comportanti la manipolazione diretta di pezzi di automezzo costituiti da amianto o contenenti tale minerale, in particolare freni e frizioni; che “.. il soggetto era risultato forte fumatore, in rapporto al noto ruolo causale di questa abitudine nel determinismo della neoplasie polmonari, che diviene più che additivo e non sinergico in caso di contemporanea esposizione all’amianto.
Nel corso del giudizio veniva depositato altro documento di provenienza INAIL attestante denuncia di malattia professionale nonché il decesso in data 8.11.2012 in un altro collega di lavoro dei ricorrenti relazionabile alla incontestata presenza nei locali ATM di “fibre libere” di amianto nell’aria in misura tre volte superiore al limite di legge.
Con sentenza del 21 febbraio 2013 la Corte di Appello di Bologna ha rigettato il ricorso avendo rilevato: che l’ipotesi di revocazione ex art. 395, comma 1° n. 3 c.p.c. presuppone che il documento decisivo, non potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, preesista alla decisione impugnata, mentre è del tutto insufficiente che anteriore alla decisione sia il fatto nel documento rappresentato; che, essendo pacifico che il documento proveniente dall’Ausl ( redatto il 23.9.2010) era ampiamente posteriore alla decisione revocanda, il ricorso era infondato, pur prescindendosi dalla evidente mancata decisività del documento stesso.
Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso il F.A. ed il L.T. affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso l’INPS.
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 395, comma 1° n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ammissibilità e decisività della documentazione prodotta.
Si assume che il documento proveniente dall’Ausl e quello di provenienza INAIL erano ammissibili in quanto, sebbene posteriori alla data dell’udienza in cui la causa era stata assunta in decisione ed alla sentenza della Corte di Appello, si riferivano a fatti — rilevanti e decisivi — verificatisi successivamente ( il decesso di due colleghi di lavoro dei ricorrenti). Di tale circostanza la Corte territoriale non aveva tenuto conto e, sulla scorta di una interpretazione restrittiva del concetto di “forza maggiore”, aveva ritenuto la documentazione non idonea a giustificare la chiesta revocazione.
Viene, inoltre, denunciata l’omessa pronuncia in merito alla decisività dei documenti. Il motivo è infondato.
Vale ricordare che, per costante orientamento di questa Corte, l’ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell’art. 395, comma 1°, cod. proc. civ. presuppone che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto produrre a suo tempo per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione; quindi non può essere utilmente invocata facendo riferimento a un documento formato dopo la decisione ( ex multis. Cass. n. 15860 del 20 settembre 2012; Cass. n. 4067 del 18 febbraio 2011; Cass. 14114 del 20 giugno 2006 ).
E chiaro, quindi, che deve trattarsi di documenti già esistenti al momento del giudizio, la cui produzione era rimasta ostacolata per una delle specifiche ragioni indicate dalla norma.
Orbene, l’impugnata sentenza ha fatto corretta applicazione di tale principio avendo rilevato che, nel caso de quo, è stato posto fondamento della richiesta di revocazione un documento pacificamente formatosi in epoca ampiamente successiva alla decisione della Corte di Appello ( e posteriore anche alla sentenza del 26 marzo 2006 n.7352 di questa Corte).
In siffatta situazione resta del tutto assorbita la valutazione della decisività di detta documentazione che pure la Corte territoriale, sia pure per inciso, ha ritenuto non sussistente.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5.”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
L’INPS ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c, adesiva alle conclusioni della relazione che il Collegio ritiene pienamente condivisibili.
Il ricorso, pertanto, va rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico dei ricorrenti e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell1 art. 13, comma 1 quater; del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art.l, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2015