Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 09 ottobre 2015, n. 40710

Decesso per folgorazione. Responsabilità di dirigente e preposto.


 

Presidente: BRUSCO CARLO G.
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 14/04/2015

Fatto 

1. Con l’impugnata sentenza resa in data 6 febbraio 2014 la Corte d’Appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Salerno,sezione distaccata di Eboli, in data 6 febbraio 2009, appellata dagli imputati, in relazione alla posizione degli odierni ricorrenti, confermava l’appellata sentenza.
I summenzionati imputati, unitamente a Z.S., deceduto nelle more e nei cui confronti la Corte territoriale emetteva sentenza di n.d.p. per morte dell’imputato, erano stati ritenuti responsabili dei reati di cui all’art. 35 d,l.vo n. 626/1994 in relazione all’art. 89 comma 2 lett. a) stesso decreto nonché del reato di cui agli artt. 113, 589 cod. pen., perché, in cooperazione tra loro, ognuno nelle rispettive qualità, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed inosservanza delle norme dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionavano la morte dell’operaio C.L. che, mentre provvedeva a sostituire i poli nel cavo prese che alimentava il motore del nastro trasportatore di una pressa all’interno dello stabilimento della ditta veniva in contatto con i conduttori nudi della presa che ne determinavano il decesso per folgorazione.
In particolare al V.- dirigente con mansioni di responsabile dello stabilimento- veniva contestato di aver istallato sulla macchina oggetto dell’infortunio un quadro prese non fornito dalla ditta costruttrice e non idoneo all’uso cui era destinato, atteso che lo stesso deviava i cavi di alimentazione direttamente dall’ingresso dell’interruttore di sezionamento della macchina e pertanto rimaneva in tensione anche dopo l’apertura dell’interruttore e l’eliminazione della tensione su tutti gli altri circuiti alimentati senza che ciò fosse peraltro adeguatamente evidenziato da segnalazioni luminose della macchina nonché nell’aver omesso di effettuare la valutazione del rischio correlato all’istallazione del quadro prese di cui sopra e nell’aver omesso di affidare l’incarico di istallazione a persone in possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente; all’A. in qualità di preposto alla funzione di capoturno espressamente consentito al C.L. di eseguire l’attività di inversione dei conduttori di fase di cui sopra, nonostante tale lavoro non fosse di competenza dell’operaio e la ditta avesse appositamente assunto per tale attività un elettricista.
2. Avverso tale decisione ricorrono:
2.1 A.D., a mezzo del difensore, lamentando la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 41 e 589 cod. pen. ; la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 41 e 43 cod. pen.;
2.2 V. G. a mezzo del difensore, lamentando la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’ art. 589 cod. pen. ; la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 41 e 43 cod. pen.

Diritto

3. I ricorsi sono infondati e vanno pertanto disattesi.
Le modalità dell’infortunio sono evidenziate nel surriportato capo di imputazione e la sua dinamica non è oggetto di specifiche contestazioni.
I giudici di merito hanno concordemente affermato la penale responsabilità degli imputati, escludendo da un lato che la condotta della vittima fosse stata di tale abnormità ed imprevedibilità da interrompere il nesso causale tra le condotte degli imputati e l’evento verificatosi; dall’altro ritenendo la sussistenza in capo agli imputati dei profili di colpa in contestazione.
L’A.D. pone motivi di ricorso relativamente al nesso di causalità, sostenendo che gli interventi in materia di elettricità erano demandati ad un operaio specializzato ed, in sua assenza, al capo turno; che al momento dell’avaria esso ricorrente non era presente, né tanto meno aveva ordinato al C.L. di eseguire l’intervento. Per cui- si sostiene ancora- il C.L., senza raccordarsi con chicchessia, senza avere nessuna specifica competenza, essendo addetto a lavoro diverso e obliterando l’ordine di rivolgersi al capo turno, ha assunto un comportamento che da solo ha determinato l’evento mortale. Si sostiene ancora che tutti i testi avrebbero affermato e ribadito che l’imperizia e la negligenza del C.L. furono assurde e fuori dell’ordinario.
La gravata sentenza ed ancor prima il giudice di prime cure, pur riconoscendo la sussistenza di profili colposi nella condotta della vittima, ha ritenuto che gli stessi non fossero comunque tali da interrompere il nesso causale e che comunque era imputabile all’A.D. la mancata sorveglianza e vigilanza sull’operato della vittima. Osserva il collegio come la corte territoriale, con motivazione completa ed esauriente, immune da vizi d’indole logica o giuridica, abbia correttamente escluso il ricorso, nella specie, di un comportamento abnorme del prestatore di lavoro infortunato.
La decisione è peraltro coerente con le indicazioni di questa Corte., atteso che l’evento lesivo in esame ebbe a verificarsi al di fuori di un’ipotesi del tutto eccezionale e imprevedibile, dovendo ritenersi ex ante un’evenienza ictu oculi pienamente compatibile con le eventuali occorrenze connesse allo sviluppo della prestazione lavorativa, segnatamente in presenza di un’avaria improvvisa. Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro e gli altri soggetti titolari di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, hanno il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la loro responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionaiità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr., tra le molte, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365). Al riguardo, la circostanza che il lavoratore avesse imprudentemente, o in modo negligente, provveduto all’intervento non vale a escludere la responsabilità dell’A.D., dovendo ritenersi ricompreso, entro l’ambito delle responsabilità di questi, l’obbligo di prevenire anche l’ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili a tutte le possibili modalità attraverso le quali il lavoratore avrebbe potuto cercare di effettuare l’intervento.
Deve pertanto escludersi che il comportamento del C.L. fosse assolutamente abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente diverso dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267/2009, Rv. 246695). In tema, questa stessa corte ha avuto recentemente modo di sottolineare come l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte di coloro i quali, per la loro posizione di garanzia, rispondono dell’infortunio, sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l’evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio, che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).
Quanto al V., oltre a proporre motivi di ricorso analoghi a quelli deN’A.D. ed alla cui relativa trattazione si rinvia, quest’ultimo sostiene in particolare di essere stato nominato responsabile dello stabilimento agli inizi del gennaio 2006, dopo un anno e dieci mesi dalla installazione della pressa per cui non gli poteva essere imputata l’installazione di una macchina non idonea. Il motivo è parimenti infondato considerato che l’imputazione non è quella relativa alla installazione di una macchina non idonea, bensì quella di aver installato sulla stessa un quadro prese non fornito dalla ditta costruttrice ed avendo comunque i giudici di merito chiarito che al V. è riconducibile la condotta colposa di aver omesso di effettuare la valutazione del rischio collegato alla installazione del suddetto quadro prese e di aver omesso di affidare l’incarico a persona in possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente, come è desumibile dal fatto che veniva accertata la mancanza della dichiarazione di conformità, elemento da cui gli ispettori dell’ASL desumevano la irrituale modifica della macchina.
In ogni caso quale dirigente il V. aveva l’obbligo di vigilare sull’attività lavorativa, essendogli rimesso l’onere di organizzare in modo adeguato e sicuro le strutture e i mezzi messi a disposizione dal datore di lavoro, condividendo con il datore di lavoro
oneri e responsabilità in materia di sicurezza del lavoro (cfr. art. 18 D.lgs. n. 81/2008).
4. Segue al rigetto dei ricorsi, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 14 aprile 2015

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