Decesso dell’autista del camion per annegamento durante le operazioni di scarico. Plurime posizioni di garanzia.
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MENICHETTI CARLA
Data Udienza 12.11.2015
Fatto
1. Con sentenza in data 10.11.2014 la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino, Sezione distaccata di Moncalieri, emessa il 6.7.2011, di condanna di C.E.M. alla pena di giustizia quale responsabile del reato di omicidio colposo commesso in violazione di norme antinfortunistiche ai danni di R.P., in cooperazione con DF.V.C. giudicata separatamente con rito abbreviato, concedeva all’imputato, che aveva già usufruito delle attenuanti generiche, dell’avvenuto risarcimento del danno e della sospensione condizionale della pena, il beneficio della non menzione della condanna.
2. Al C.E.M., quale datore di lavoro della società Cave Germaire s.p.a. e direttore responsabile della cava di sabbia e ghiaia in località Germaire, era stato contestato un profilo di colpa generica e la violazione di legge (segnatamente degli artt.374 d.p.r. n.547/55; 4, 21 e 22 d.lgs. n.626/94; 4, 9, 10, 14 e 20 d.lgs. n.624/96), perché, omettendo di indicare nel DSSC il rischio della caduta in acqua del mezzo durante l’operazione di scarico nel lago di cava e conseguentemente di prescrivere procedure adeguate, omettendo di inviare il detto DSSC coordinato all’autorità di vigilanza (art.6 c.4 d.lgs. n.624/96); omettendo il controllo sul rispetto delle norme indicate del DSS coordinato che prescrivevano in particolare di dotare le pale caricatrici semoventi e gli autocarri circolanti nel comprensorio della cava di radio ricetrasmittente a bordo e di avvisatori acustici per le manovre di retromarcia, dispositivi di cui non era dotato l’autocarro condotto dal R.P., di non svolgere nel cantiere attività simultanee tra lavoratori della ditta Cave Germaire s.p.a. e quelli della ditta esecutrice dei lavori, come invece avvenuto il giorni del fatto (6.2.2008), di utilizzare da parte dell’impresa mezzi efficienti, mentre l’autocarro condotto dal R.P., dipendente della Ephemere s.r.l. della DF.V.C., era in condizioni di manutenzione assolutamente carenti con totale usura dei pneumatici e delle sospensioni, in particolare della balestra dell’assale posteriore, la cui lama inferiore era rotta; omettendo altresì di provvedere affinché R.P. ricevesse un’adeguata informazione sui rischi specifici a cui era esposto in relazione in particolare all’attività di scarico nel lago di cava nonché una sufficiente ed adeguata formazione in materia di sicurezza, con particolare riferimento alle proprie mansioni ed omettendo di fornire disposizioni specifiche sulle modalità di scarico in sicurezza del materiale nel lago di cava, cagionava la morte di R.P., il quale, alla guida dell’autocarro Renault 400 Van tg. AT906DC, dopo aver effettuato il caricamento di materiale naturale con residuo limoso, estratto in un’area posta a sud ovest del lago in coltivazione, si era recato verso la sponda del lago di cava per scaricarlo, in una zona in cui il dislivello tra lo specchio d’acqua e la sponda era di una decina di centimetri; al momento del sollevamento del cassone il baricentro di spostava verso la coppia di assali posteriori, con improvviso cedimento della sospensione posteriore a causa dell’usura e conseguente concentrazione del carico sul secondo assale, non frenato dal freno di stazionamento e non controllabile dal freno di esercizio a causa del pessimo stato di manutenzione dei pneumatici, con spostamento del mezzo verso la sponda ed immediato inabissamento del veicolo, in cui il R.P. rimaneva intrappolato e decedeva per asfissia da annegamento. Con riferimento a tale manovra e al rischio per la sicurezza dei lavoratori in relazione allo scarico, il DSSC prevedeva di “fare retromarcia con il proprio autocarro a velocità moderata e arrestare le ruote ad almeno un metro dal ciglio prima di ribaltare”, procedura ritenuta errata sia perché non teneva conto della difficoltà per un autista, nel corso di una manovra di retromarcia, di stabilire il punto esatto di arresto del mezzo in assenza di un segnalatore, sia perché l’arresto di un metro dal ciglio del lago comportava che la parte terminale del cassone si veniva a trovare al confine del ciglio stesso, in posizione pericolosa. Secondo la ipotesi accusatoria contenuta nel capo di imputazione, era stato invece omesso di inserire nel DSSC una delle seguenti misure precauzionali: scaricare il materiale sul piazzale a distanza di sicurezza dal ciglio (4-5 metri), da spingere poi da una pala gommata o escavatore cingolato; predisposizione di un idoneo cordolo continuo in materiale litoide, posto a distanza di sicurezza dal ciglio, in modo da segnalare all’autista il punto di arresto del mezzo prima di procedere al ribaltamento del cassone; presenza di un secondo dipendente per indicare all’autista il punto di arresto del mezzo a distanza di sicurezza (art.4 d.lgs. n.626/94 e artt.9 e 10 d.lgs. n.624/96).
3. Ripercorrendo le motivazioni del primo giudice, la Corte di Torino riteneva evidente la mancata adozione da parte dell’imputato, nella sua posizione di garante della sicurezza, di misure idonee ad ovviare la prevedibile situazione di pericolo correlata allo stato dei luoghi ed al tipo di manovra (scarico di materiale), pericolo concretizzatosi nell’evento morte oggetto del presente procedimento.
4. Propone ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo come unico motivo, ampiamente articolato, la nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale (art.606, comma 1, lett.b c.p.p.) e per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (lett.e).
4.1. Argomenta al riguardo che la Corte territoriale aveva del tutto correttamente ritenuto provato che, così come accertato con sentenza passata in giudicato nei confronti della coimputata DF.V.C., anche le pessime condizioni dell’autocarro assegnato al R.P. per lo svolgimento delle sue mansioni avevano giocato un ruolo nella causazione dell’infortunio, ma ciò nonostante, in contraddizione con quanto rilevato circa la carenza di manutenzione, aveva considerato l’evento come il risultato dell’interazione anche delle omissioni del C.E.M., affermando che l’evento non si sarebbe verificato se l’autocarro fosse stato manovrato a distanza di sicurezza dalla sdrucciolevole riva del lago di cava, individuata in 4-5 metri dal ciglio. Secondo il ricorrente tali enunciati contrastanti comprometterebbero l’assetto e la tenuta della sentenza. Inoltre, anche all’esito dell’enunciato controfattuale, se cioè fosse stata compiuta la condotta che si assume omessa ed il materiale scaricato a distanza di sicurezza, l’assenza di un impianto fren
efficiente avrebbe determinato il ripetersi di una dinamica dei fatti identica a quella effettivamente occorsa, in ragione della massa e del peso del veicolo; così come sarebbe accaduto vagliando le altre ipotesi di cautele omesse, cioè la predisposizione di un cordolo in materiale litoide e l’assistenza all’autista da parte di un uomo a terra.
Di qui la nullità dell’impugnata sentenza in ragione della erronea applicazione del giudizio controfattuale nei reati omissivi.
Diritto
5. Il ricorso è inammissibile in quanto propone censure in fatto non decisive rispetto alla ricostruzione del nesso di causalità, che, come correttamente rilevato ed argomentato dalla Corte territoriale, lega la condotta omissiva dell’imputato all’evento.
5.1. Si richiama sul punto la univoca giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui in tema di motivi di ricorso per cassazione non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono “inammissibili” tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (così Sez.VI, 31.3.2015, n.13809).
5.2. Ciò posto, se è vero che in separato giudizio è stato riconosciuto a carico della coimputata, datrice di lavoro del R.P., un profilo di colpa consistita nell’aver fornito al proprio autista un mezzo inefficiente, la Corte di Torino – rispondendo allo specifico motivo di gravame con cui l’appellante aveva già denunciato il contrasto tra detta pronuncia e la condanna del C.E.M. – ha correttamente ritenuto tale contrasto solo apparente, versandosi in un’ipotesi di cooperazione colposa, in cui interagisce una concatenazione di cause, indissolubilmente intrecciate tra loro e con i profili di colpa generica e specifica addebitati vuoi ad entrambi gli imputati, vuoi a ciascuno di essi.
Giova infatti ribadire che in tema di omicidio colposo, allorquando l’obbligo di impedire l’evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano anche in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva (o commissiva) del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del mancato intervento da parte di un altro soggetto, parimenti destinatario dell’obbligo di impedire l’evento, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell’alt.41, comma primo, c.p., di talché allorquando il decesso della vittima sia determinato dalla sommatoria delle condotte omissive ascrivibili a diversi garanti è configurabile il nesso causale tra l’evento letale e ciascuna delle riscontrate omissioni, essendo ognuna di esse essenziale alla sua produzione (in tal senso Sez.IV, 1.10.2012, n.37992; 14.1.2014, n.1194; 8.6.2015, n.24455).
Ed è proprio il ragionamento seguito dai giudici di merito laddove evidenziano, nell’impugnata sentenza, come il G.U.P. nel pronunciare la condanna della DF.V.C., non avesse affatto attribuito rilevanza esclusiva alle condizioni di manutenzione dell’autocarro nella causazione del sinistro mortale, dato che le cause dirette dell’inabissamento erano state individuate, non solo nel cedimento della seconda lama della balestra destra posteriore (essendo la prima rotta da tempo) e nelle pessime condizioni del secondo assale, ma anche nella mancanza di barriere fisiche sulla sponda del lago di cava (non previste dal DSSC) e nelle ulteriori violazioni alle prescrizioni del documento di sicurezza esplicitate nel capo di imputazione: nessuna censura può pertanto essere mossa alla Corte di Torino per aver ritenuto pacificamente dimostrato che l’evento non si sarebbe verificato se l’autocarro fosse stato manovrato a distanza di sicurezza dalla sdrucciolevole riva del lago di cava, il che avrebbe garantito anche da possibili errori di valutazione da parte dell’autista del camion, che si stava accingendo a scaricare il materiale contenuto nel cassone ribaltabile in prossimità dello specchio d’acqua, a distanza di appena un metro, in assenza di protezioni fisse e in completa solitudine, mancando la previsione della presenza di un secondo addetto che lo coadiuvasse durante al manovra in retromarcia per segnalargli il punto dove procedere al ribaltamento del cassone senza correre rischi.
5.3. L’affermazione contenuta nel ricorso secondo cui anche nel rispetto di tali prescrizioni l’inabissamento sarebbe ugualmente avvenuto è pertanto una mera supposizione apodittica, indimostrata ed anzi smentita dalle acquisizioni probatorie di cui ha ben dato conto la Corte di merito
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte Suprema di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 novembre 2015