Cassazione Penale, Sez. 3, ud. 27 ottobre 2015, n. 50440

Mancata pulizia dei locali di un’officina meccanica. Categoria omogenea di requisiti di sicurezza relativi ai luoghi di lavoro: concorso materiale di illeciti o violazione unica?


Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: DI NICOLA VITO
Data Udienza: 27/10/2015

Fatto

1. A.C. ricorre per cassazione impugnando la sentenza con la quale il tribunale di Benevento lo ha condannato alla pena di € 4000 di ammenda per il reato previsto dall’articolo 64 decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 per avere, quale esercente di un’officina meccanica e datore di lavoro, omesso di provvedere affinché i luoghi di lavoro fossero conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 in quanto ometteva di mantenere puliti i locali di lavoro, facendo eseguire la pulizia, per quanto possibile, fuori dell’orario di lavoro e in modo da ridurre al minimo il sollevamento della polvere dell’ambiente, oppure mediante aspiratori; in quanto nelle adiacenze dei locali di lavoro e delle loro dipendenze, il datore di lavoro consentiva che fossero tenuti depositi di immondizie o di rifiuti e di altri materiali solidi o liquidi capaci di svolgere emanazioni insalubri, a meno che non fossero adottati mezzi efficaci per evitare le molestie o i danni che tale depositi potevano arrecare ai lavoratori ed al vicinato; in quanto ometteva di provvedere che le vie e le uscite di emergenza rimanessero sgombre e consentissero di raggiungere il più rapidamente possibile un luogo sicuro. In Benevento, accertato il 20 maggio 2011.
2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il difensore, articola i seguenti sei motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione dell’articolo 133 codice penale e l’illegittimità nonché la carenza di motivazione in relazione alla determinazione della pena (articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), codice di procedura penale), sul rilievo che, trattandosi di una piccola società a responsabilità limitata e gestendo il ricorrente una officina meccanica situata in un piccolo capannone, il giudice avrebbe dovuto ritenere il fatto non grave sotto tutti i profili di cui all’articolo 133 codice penale.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge con riferimento agli aumenti nella determinazione della pena in relazione agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione (articolo 606, comma 1, lettera d), codice di procedura penale).
Assume che gli aumenti di pena sono stati effettuati in chiara violazione di legge in quanto le diverse violazioni contestate con il capo di imputazione, essendo riconducibili alla categoria omogenea dei requisiti di sicurezza relativi ai luoghi di lavoro; andavano perciò considerate come un’unica violazione, con conseguente ridimensionamento del trattamento sanzionatorio.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione degli articoli 516,517,518, 519,520,522 codice di procedura penale in relazione agli articoli 3,24 e 111
Costituzione, sul rilievo che “sulle nuove pene applicate, esse sono state applicate su nuove violazioni, quindi andavano contestate all’imputato, che peraltro era assente”.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della mancata assunzione di una prova decisiva nonché della carenza di motivazione in ordine alla prova offerta dalla difesa (articolo 606, comma 1, lettera d), codice di procedura penale) lamentando che il giudice non avrebbe valutato le prove offerte in udienza e neppure ritenuto di chiamare i verbalizzanti per verificare se, dopo la stesura del verbale che indicava la mancata ottemperanza alle prescrizioni e l’accertamento effettuato anni addietro, l’imputato avesse ottemperato o meno e se i luoghi erano così come riprodotti dalle foto esibite a discarico.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione di legge in ordine alla richiesta di oblazione nonché la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alle negate attenuanti generiche.
Si sostiene che all’imputato doveva essere consentito l’accesso alla oblazione in quanto aveva regolarmente adempiuto alle prescrizioni e quindi non vi era alcun impedimento in tal senso. Peraltro se il giudice avesse dato importanza probatoria al documento offerto dalla difesa si sarebbe reso conto che l’imputato aveva adempiuto alle prescrizioni e quindi che allo stesso potevano essere riconosciute le attenuanti generiche.
2.6. Con il sesto motivo lamenta la mancata esclusione di un teste decisivo che avrebbe dovuto deporre sulla gravità delle contestazioni e sull’ottemperanza alle stesse alla data del processo, tanto sul rilievo che il teste geometra Pomaro, operante presso il Dipartimento di prevenzione ambiente del lavoro dell’ASL di Benevento, teste indicato dal pubblico ministero, era stato ammesso e non escusso in carenza di una rinuncia espressa da parte del pubblico ministero e delle altre parti processuali.

Diritto

1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione sulla base del secondo motivo.
I restanti motivi di gravame sono inammissibili per manifesta infondatezza o perché presentati nei casi non consentiti.
2. Il primo motivo (sulla determinazione della pena) è manifestamente infondato avendo il Giudice del merito richiamato i criteri ex art. 133 cod. pen. ed applicato, in alternativa alla pena detentiva, quella pecuniaria e peraltro in misura ampiamente inferiore alla media edittale.
Questa Corte – con orientamento non recente e tuttora valido, al quale occorre dare continuità perché condivisibile e mai contraddetto da contrarie pronunce – ha affermato che l’irrogazione di una pena vicina a quella media non deve essere motivata in modo specifico o particolarmente ampio, essendo sufficiente il richiamo ai criteri fissati dall’art. 133 cod. pen., tanto sul rilievo che l’applicazione della pena rappresenta infatti il frutto di una valutazione intuitiva e globale, operata dal giudice in rapporto alla complessiva considerazione del fatto ed alla personalità dell’imputato (Sez. 3, n. 1571 del 10/01/1986, Ronzan, Rv. 171948).
Nel caso di specie, l’applicazione della pena pecuniaria depotenzia intrinsecamente la doglianza rendendola ictu oculi infondata.
3. Il terzo motivo, di difficile comprensione, è parimenti inammissibile, posto che la contestazione, come cristallizzata nel capo d’imputazione, non ha subito modifiche e la sentenza è correlata agli addebiti, laddove la doglianza solo in maniera apodittica denuncia il contrario.
4. Il quarto ed il sesto motivo, che denunciano violazioni del procedimento di istruzione probatoria, possono essere congiuntamente esaminati perché affetti dal medesimo vizio.
Essi sono parimenti inammissibili perché aspecifici.
Il tribunale ha tratto il convincimento della colpevolezza dell’imputato sulla base di elementi documentali, ritenuti sufficienti per la formulazione del giudizio di responsabilità, in ordine ai quali il ricorrente, con i motivi di ricorso, non si è minimamente confrontato.
Ne consegue che la doglianza circa la mancata assunzione di prove assertivamente ritenute decisive non può trovare ingresso quando dette prove potevano essere assunte, come si evince dal motivo di ricorso, d’ufficio nella misura in cui esse non sono state ritenute, come nella specie, necessarie per la decisione.
Né il ricorrente specifica quali prove o documenti, allegati dalla difesa, il giudice non abbia valutato, né la ragione della decisività delle stesse rispetto alla ratio decidendi.
5. E’ inammissibile anche il quinto motivo di gravame circa la mancata ammissione all’oblazione ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il tribunale ha affermato che l’imputato aveva provveduto solo parzialmente all’eliminazione delle irregolarità contestate e ciò è stato ritenuto, con congrua motivazione, indice del fatto che perdurassero le conseguenze dannose e pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore (condizione perciò ostativa all’ammissione all’oblazione) e dell’insensibilità e dell’indifferenza dimostrata dal ricorrente, ritenuto per questo non meritevole della concessione delle attenuanti generiche.
Per il cui diniego non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
6. E’ invece fondato il secondo motivo di gravame nei limiti di seguito indicati.
Al ricorrente è contestato l’art. 64 d.lgs. n. 81 del 2008 il quale (rubricato obblighi del datore di lavoro) dispone:
<<1. Il datore di lavoro provvede affinché:
a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, commi 1, 2 e 3;
b) le vie di circolazione interne o all’aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l’utilizzazione in ogni evenienza;
c) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;
d) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate;
e) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all’eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento>>.
La violazione dei precetti contenuti dall’art. 64 è sanzionata dall’art. 68 dello stesso decreto (rubricato “sanzioni per il datore di lavoro”) che, nella formulazione ratione temporis vigente, dispone:
<<1. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti:
a) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro per la violazione dell’articolo 66;
b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.096,00 a 5.260,80 euro per la violazione degli articoli 64, comma 1, e 65, commi 1 e 2;
c) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 548,00 a 1.972.80 euro per la violazione dell’articolo 67, commi 1 e 2.
2. La violazione di più precetti riconducibili alla categoria omogenea di requisiti di sicurezza relativi ai luoghi di lavoro di cui all’allegato IV, punti 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6, 1.7, 1.8, 1.9, 1.10, 1.11, 1.12, 1.13, 1.14, 2.1, 2.2, 3, 4, 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, e 6.6, è considerata una unica violazione ed è punita con la pena prevista dal comma 1, lettera b). L’organo di vigilanza è tenuto a precisare in ogni caso, in sede di contestazione, i diversi precetti violati>>.
Si tratta di interpretare il concetto di “violazione di più precetti riconducibili alla categoria omogenea sul rilievo che l’inosservanza di precetti riconducibili alla predetta nozione di “categoria omogenea” dà luogo ad “una unica violazione”.
L’allegato IV del d.lgs. N. 81 del 2008, richiamato dal comma 2 dell’art. 68, elenca i “requisiti dei luoghi di lavoro” e al punto 1. disciplina gli “ambienti di lavoro”, occupandosi al punto 1.1. della “stabilità e solidità” dei detti luoghi stabilendo al punto 1.1.6. (prima contestazione elevata nei confronti del ricorrente) che “il datore di lavoro deve mantenere puliti i locali di lavoro, facendo eseguire la pulizia, per quanto è possibile, fuori dell’orario di lavoro e in modo da ridurre ai minimo il sollevamento della polvere dell’ambiente, oppure mediante aspiratori” ed al punto 1.1.7. (seconda contestazione elevata nei confronti del ricorrente) che “nelle adiacenze dei locali di lavoro e delle loro dipendenze, il datore di lavoro non può tenere depositi di immondizie o di rifiuti e di altri materiali solidi o liquidi capaci di svolgere emanazioni insalubri, a meno che non vengano adottati mezzi efficaci per evitare le molestie o i danni che tali depositi possono arrecare ai lavoratori ed al vicinato”.
Inoltre, al punto 1.5. l’allegato IV del d.lgs. N. 81 del 2008 si occupa di disciplinare nei luoghi di lavoro le “vie e uscite di emergenza” stabilendo al punto 1.5.2. (terza contestazione elevata nei confronti del ricorrente) che “le vie e le uscite di emergenza devono rimanere sgombre e consentire di raggiungere il più rapidamente possibile un luogo sicuro”.
Ciò posto, siccome ogni punto dell’allegato (per punto si intende ogni singolo contrassegno numerico ossia 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6, 1.7, 1.8, 1.9, 1.10, 1.11, 1.12, 1.13, 1.14, 2.1, 2.2, 3, 4, 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, e 6.6 perché così tipizzato nell’art. 68) disciplina i requisiti di sicurezza con riferimento ad una classe di interessi riguardanti l’ambiente di lavoro (Stabilità e solidità = punto 1.1; Altezza, cubatura e superficie = punto 1.2; Pavimenti, muri, soffitti, finestre e lucernari dei locali scale e marciapiedi mobili, banchina e rampe di carico = punto 1.3 ecc.), tutti i precetti che sono ricompresi in ogni singola classe di riferimento, in quanto raggruppati sulla base di un criterio selettivo finalizzato alla tutela di un comune interesse specifico o requisito di sicurezza (la stabilità e la solidità oppure le vie di uscita e di emergenza oppure le porte e portoni ecc.), rientrano nella stessa categoria omogenea.
Ne consegue che sono riconducibili alla nozione di “categoria omogenea” i precetti contenuti in singoli punti dell’allegato IV oppure, ove specificati, nei singoli sottopunti.
In tal modo, tutti i precetti contenuti nel punto 1.1 (stabilità e solidità) dal precetto 1.1.1 al precetto 1.1.7 (sottopunti) appartengono ad una categoria omogenea e la violazione di più precetti rientranti in tale categoria non dà luogo ad un concorso materiale di illeciti ma ad una violazione unica.
Ne deriva che erroneamente il tribunale ha considerato la violazione dei precetti 1.1.6 e 1.1.7 come autonome violazioni, laddove esse andavano considerate come una violazione unica perché riconducibili ad una categoria omogenea di requisiti di sicurezza relativi ai luoghi di lavoro di cui all’allegato IV.
Correttamente invece è stato ritenuto il concorso di reati, unificati dal vincolo della continuazione, con il precetto 1.5.2, appartenendo la norma violata ad una categoria disomogenea (1.5 e non 1.1) rispetto alla precedente in quanto contenuta in un punto dell’allegato relativo alla tutela di un interesse non attinente ad un requisito di sicurezza inerente alla stabilità e solidità dell’ambiente di lavoro ma alla predisposizione e alla regolare tenuta delle uscite di emergenza per consentire ai lavoratori di raggiungere il più rapidamente possibile un luogo sicuro in caso di pericolo incombente nel luogo di lavoro.
7. La sentenza impugnata va tuttavia annullata senza rinvio in parte qua potendo la Corte di cassazione porre rimedio all’errore evidenziato emanando, ex art. 620, comma 1, lettera I), cod. proc. pen., i provvedimenti necessari con l’eliminazione della relativa pena di euro 1.000,00 di ammenda comminata, in continuazione, per una delle due violazioni erroneamente ritenuta concorrente, cosicché la pena finale va determinata in euro 3.000,00 di ammenda.
Il ricorso va invece rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta continuazione tra le ipotesi di cui ai punti 1.1.6 e 1.1.7 di cui all’allegato IV del decreto legislativo n. 81 del 2008, da considerarsi unica violazione, ed elimina il relativo aumento di pena di euro 1000,00 di ammenda.
Rigetta del resto ricorso.
Così deciso il 27/10/2015

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