Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 11 dicembre 2015, n. 103

Insufficienti presidi elettronici di sicurezza della pressa.


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: BELLINI UGO
Data Udienza: 11/12/2015

Fatto

1. La Corte di Appello di L’Aquila con sentenza pronunciata in data 9 Ottobre 2014 confermava la sentenza in data 12.3.2013 del Tribunale di Lanciano, sez.dist. di Atessa con la quale l’imputato F.A. era stato ritenuto colpevole, in cooperazione colposa con S.A., di lesioni colpose con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni ai danni dell’operaio G.S.F.. In particolare al F.A., direttore dello stabilimento TS. s.r.l., era stato contestato di non avere munito la pressa di idonei ripari e dispositivi atti ad evitare che le mani e le altre parti del corpo del lavoratore potessero venire in contatto con gli organi della macchina durante il ciclo della lavorazione dal momento che il G.S.F. era entrato nella macchina per pulire gli sfridi e aveva appoggiato la mano destra sulla boccola dello stampo inferiore, tanto che la stessa veniva attinta dal pistone dello stampo superiore con conseguente amputazione del III e del IV dito.
2. Avverso la suddetta pronuncia interponeva ricorso per Cassazione la difesa di F.A. proponendo un unico motivo di ricorso nel quale era dedotta mancanza o comunque manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per omessa valutazione degli elementi probatori anche documentali acquisiti nel giudizio di primo grado e per travisamento della prova. In particolare evidenziava come il macchinario in questione fosse dotato di vari dispositivi di sicurezza e che l’infortunio si era realizzato soltanto perché il lavoratore li aveva volontariamente elusi inserendosi all’interno della zona operativa senza raccordarsi con l’altro operatore ad esso addetto compiendo scelte operative abnormi rispetto alla prassi lavorativa. Si doleva inoltre del fatto che il giudice di appello avesse del tutto omesso di considerare la documentazione tecnica prodotta dalla difesa del F.A. dalla quale emergeva che la ditta TS. all’inizio dell’anno 2008 aveva commissionato a ditta specializzata in materia di sicurezza rilevanti interventi per la integrazione delle protezioni di sicurezza apponendole nelle aree mancanti; evidenziava infine che sulla base delle sommarie informazioni testimoniali rese dal G.S.F., acquisite agli atti di causa, e della testimonianza del DS., era emerso che la persona offesa era entrata nell’area operativa della pressa quando la stessa si trovava in fase di arresto senza dare alcun avviso all’operatore addetto alla accensione, il quale la aveva riattivata ignaro che il G.S.F. fosse intento alla pulizia degli sfridi. Chiedeva pertanto che venisse disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rimessione degli atti al giudice competente.

Diritto

1. In primo luogo va escluso che il termine prescrizionale, astrattamente maturato in data 11.10.2015 si sia in realtà compiuto, essendosi verificati nel corso della udienza dibattimentale periodi di sospensione che devono essere computati ai sensi dell’art.159 c.p.p., dilatando lo spostamento della scadenza alla data del 12.12.2015 essendosi
cumulati nella misura di mesi due e giorni due in ragione di differimento di udienza di primo grado determinato da specifica richiesta del difensore dell’imputato.
1.1 Passando ad esaminare il merito della impugnazione va preliminarmente osservato che in ossequio a principi ripetutamente affermati da questa Corte, in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell’ambito di una adeguata opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus: Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06); pertanto non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più corretta valutazione delle risultanze processuali. È stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU n. 47289/03 rv 226074).
1.2 Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad “altri atti del processo”, ed ha quindi, ampliato il perimetro d’intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto “al testo del provvedimento impugnato”. La nuova previsione legislativa, invero, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica e la coerenza strutturale della decisione. Precisazione, quella appena svolta, necessaria, avendo il ricorrente denunciato, con il primo motivo di ricorso, anche il vizio di travisamento della prova. Così come sembra opportuno precisare che il travisamento, per assumere rilievo nella sede di legittimità, deve, da un lato, immediatamente emergere dall’obiettivo e semplice esame dell’atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall’altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l’atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo
idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito
1.3 Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che l’articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità dell’imputato.
2 – Invero il primo motivo di impugnazione opera una ricostruzione delle cause del sinistro volte a escludere qualsivoglia profilo di responsabilità dell’infortunio in capo al direttore dello stabilimento, responsabile pertanto della sicurezza su luogo di lavoro, e a porre l’accento sulla condotta dell’operaio G.S.F., da sola idonea a determinare l’evento, in quanto assolutamente elusiva dei sistemi di sicurezza del macchinario utilizzato, pure presenti e, addirittura, implementati in epoca immediatamente precedente al fatto, nonché realizzata al di fuori delle prassi aziendali che imponevano all’operaio che intendesse intervenire nell’area operativa della pressa, di coordinarsi con l’operatore addetto alla attivazione-disattivazione della macchina, così da concordare i tempi e i modi della ripresa dei lavori, cosa che nel caso in specie non era avvenuta per fatto addebitabile allo stesso infortunato G.S.F., circostanza che risultava pacificamente ammessa da quest’ultimo, assunto a sommarie informazioni acquisite agli atti del giudizio e da teste DS..
2.1 Tanto necessariamente indicato, osserva la Corte che i giudici del merito hanno tratto il proprio convincimento, circa la riconducibilità delle lesioni riportate dal G.S.F. ad una condotta negligente dell’imputato nella fase della predisposizione dei sistemi di prevenzione degli infortuni e di sicurezza sul luogo di lavoro, da una serie di elementi probatori, la cui avvenuta valutazione in termini di affidabilità delle fonti e di conducenza del dato rappresentato si sottrae alle censure motivazionali denunciate dal ricorrente.
Invero la Corte di Appello di L’Aquila evidenzia in più punti della motivazione che la condotta del G.S.F. concorse nel determinismo causale che condusse all’Infortunio avendo questo operato in assenza di coordinamento con l’altro operatore addetto alla macchina e in condizione di palese inosservanza di regole di prudenza e ha pure riconosciuto che la pressa fosse dotata di sistemi di sicurezza mediante cellule fotoelettriche poste ad una altezza di cm 133 da terra, ma nondimeno ha riconosciuto la responsabilità dell’imputato sulla base di considerazioni che superano il vaglio critico dei motivi di ricorso, argomentando sotto un primo profilo che le barriere elettroniche erano posizionate in modo tale da consentire l’ingresso anche con la macchina in funzione, e sotto un diverso profilo che una volta l’operaio vi si fosse introdotto con la pressa spenta avrebbe potuto rimanervi all’interno anche dopo il ripristino del funzionamento.
2.2 In sostanza il giudice con ragionamento assolutamente coerente e privo di vizi logici, riscontrava una palese lacuna nella adozione di misure di sicurezza a prescindere dalla ricorrenza di cellule fotoelettriche poste ad una certa altezza dal suolo, atteso che è stato considerato il fatto che non solo l’operaio avrebbe potuto eluderle abbassandosi sotto il raggio del loro rilevamento (ipotesi che non rileva nel caso in specie), ma avrebbe potuto accedere all’area pericolosa quando la macchina era disattivata senza che nessuno strumento di sicurezza rivelasse la sua presenza e quindi impedisse l’operatività della macchina una volta che fosse tentata la riattivazione dall’esterno. Inoltre la Corte di Appello, con ragionamento logico ugualmente ineccepibile, escludeva che la condotta dell’operaio potesse definirsi come abnorme e come tale idonea, secondo i principi espressi nella giurisprudenza – di questa sezione – richiamata, a escludere la relazione causale tra la violazione dei sistemi di sicurezza e l’evento lesivo in quanto posta al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni, trattandosi di azione che rientrava pur sempre nelle mansioni affidate all’operaio nell’ambito del ciclo produttivo cui era assegnato, ciclo produttivo che richiedeva altresì periodici interventi per la pulizia della pressa, dovendo pertanto ritenersi prevedibile che lo stesso entrasse nell’area di operatività della macchina per eliminare i residui di lavorazione.
3 A fronte di tali argomentazioni sorrette da iter motivazionale privo di lacune o contraddizioni, le censure del ricorrente non sono idonee a cogliere nel segno, in quanto da un lato dirette a mettere in risalto la presenza di presidi elettronici di sicurezza della macchina, i quali sono stati al contrario ritenuti insufficienti o comunque non operativi dalla Corte di Appello in presenza di una manovra come quella compiuta dall’operaio, e dall’altra a evidenziare la abnormità della condotta del G.S.F., idonea a interrompere il rapporto eziologico tra la carente attività di messa in sicurezza del macchinario e l’evento, laddove il giudice di merito ha motivatamente enunciato le ragioni per le quali la azione dell’operaio G.S.F. non presentasse profili di assoluta imprevedibilità e stranezza, tali da determinare l’interruzione del nesso causale suddetto.
3.1 Date tali emergenze probatorie, perfettamente coerente si presenta la conclusione cui sono pervenuti i giudici del gravame, e cioè, che l’odierno ricorrente, doveva ritenersi corresponsabile delle lesioni personali riportate dal G.S.F., in ragione di una palese violazione di specifiche disposizioni cautelari, come evidenziato dal giudice di appello. In conclusione la sentenza espone in maniera piena e coerente le ragioni sui quali la decisione è stata fondata, con l’indicazione delle prove poste alla base di essa. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il giorno 11.12.2015

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