Con specifico riferimento alle controversie in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, è stato affermato che il difetto di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi. Al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico- formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (v., tra le altre, Cass. n. 4570/2013, n. 26558/11, n. 9988/2009 e n. 8654/2008).
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA
Data pubblicazione: 13/01/2016
FattoDiritto
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 19 novembre 2015, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: “La Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la decisione di primo grado di rigetto della domanda di G.P. intesa al riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 13 l. n. 38 del 2000., per postumi scaturiti da infortunio sul lavoro.
Il giudice di appello ha ritenuto che le conclusioni della indagine peritale di primo grado, la quale aveva escluso la sussistenza di un nesso di causalità tra i postumi permanenti di trombosi venosa retinica riportati dal G.P. ed il riferito infortunio lavorativo verificatosi il 10.10.2005, non risultavano confutate dai rilievi critici formulati nell’atto di appello in cui si evidenziavano patologie già prese in adeguata considerazione dall’ausiliare di primo grado e si esprimevano valutazioni soggettive non supportate da elementi diagnostici degni di rilievo.
Per la cassazione della decisione propone ricorso G.P. sulla base di un unico motivo. L’INAIL resiste con tempestivo controricorso.
Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo ai sensi dell’art. 360 comma 5 cod. proc. civ. omessa ed insufficiente motivazione con riguardo alla relazione peritale di primo grado, censura la sentenza di appello per avere escluso, in palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, il nesso di causalità tra il trauma infortunistico del 10.10.2005 e la patologia invalidante (trombosi retinica) diagnosticata.
Il motivo è da respingere in quanto inammissibile per una pluralità di profili.
In primo luogo esso è sviluppato in termini non coerenti con l’esigenza di autosufficienza del ricorso per cassazione.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l’ha recepita) ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamento ed alle conclusioni del consulente d’ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono pertanto possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso. (v. ,tra le altre, Cass. n. 16368 del 2014, n. 13845 del 2007 ). E’ stato poi chiarito che in sede di legittimità la denuncia di un vizio consistente in acritica adesione alla consulenza di primo grado, pur in presenza di elementi richiedenti specifico esame, non può limitarsi alla generica espressione della doglianza di motivazione inadeguata, essendo, invece, onere della parte, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso e del carattere limitato del mezzo di impugnazione, di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto ai quali si invoca il controllo di logicità sub specie dell’apprezzamento della “causalità dell’errore”, ossia della decisività di tali circostanze ( ex plurìmis: Cass n: 7078 del 2006 ).
Con specifico riferimento alle controversie in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, è stato affermato che il difetto di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi. Al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico- formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (v., tra le altre, Cass. n. 4570/2013, n. 26558/11, n. 9988/2009 e n. 8654/2008).
Parte ricorrente non ha osservato tali prescrizioni. In particolare non ha riprodotto i brani oggetto di censura della relazione di primo grado condivisa dal giudice di appello né gli specifici rilievi critici alle stessa svolti, che sono stati solo genericamente evocati in ricorso.
In secondo luogo il motivo non è articolato in maniera conforme alla nuova configurazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione – 30 settembre 2013 – della decisione impugnata.
Con riferimento alla nuova configurazione del motivo afferente al vizio di motivazione le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. ( Cass. ss.uu. n.8053 del 2014)
In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma , n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extra testuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.
Nel caso di specie, ricordato che alla luce della nuova formulazione dell’art. art. 360 n. 5 cod. proc. civ., non possono trovare ingresso censure attinenti alla insufficienza e contraddittorietà di motivazione, si rileva che l’odierno ricorrente non ha individuato il fatto storico, avente carattere di decisività, che ha costituito oggetto di discussione fra le parti, il cui esame è stato omesso dal giudice di appello.
In base alle considerazioni che precedono il ricorso risulta manifestamente infondato.
Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l’Adunanza in camera di consiglio”.
Ritiene il Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia di talché sussiste il presupposto dell’art. 375, comma 1°, n. 5 cod. proc. civ. , per la definizione camerale.
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15 % oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 .
Roma , 19 novembre 2015