Cassazione Penale, Sez. 4, 27 gennaio 2016, n. 3616

Esplosione di un compressore durante le operazioni di carico delle autocisterne aziendali con GPL. Massima sicurezza tecnologica esigibile dal datore di lavoro.

> articolo collegato: Il principio di massima sicurezza tecnologicamente fattibile nella sentenza n. 3616 del 27 gennaio 2016


Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 14/01/2016

Fatto

1. La Corte di Appello di Genova, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente A.G., con sentenza del 9.12.2014, confermava la sentenza del Tribunale di La Spezia, emessa in data 11.2.2013, con condanna al pagamento delle spese processuali e di quelle di assistenza e difesa delle parti civili costituite, liquidate in € 5.000,00 per onorari oltre IVA e cpa, come per legge.
Il Tribunale di La Spezia aveva giudicato A.G. per i seguenti reati: A) delitto p, e p. dall’ art. 589, primo, secondo e terzo comma cod. pen., per avere, nella qualità di amministratore unico della s.r.l. BP Gas, per colpa specifica, consistita nella violazione della disciplina antinfortunistica di cui al capo c), cagionato l’esplosione di un compressore verticale duplex marea Worthington, tipo VSA 4×4; a causa della quale C.M., operaio dipendente della stessa società, che stava provvedendo ad operazioni di carico delle autocisterne aziendali con GPL, riportava lesioni personali che lo traevano a morte;
B) del delitto p. e p. dall’art. 590, primo, secondo e terzo comma cod. pen., per avere, nella qualità e nelle circostanze di cui al capo a), per colpa specifica., consistita nella violazione della disciplina antinfortunistica di cui al capo e), cagionato l’esplosione di un compressore verticale duplex marca Worthington, tipo VSA. 4×4, a causa della quale Z.P., operaio dipendente della stessa società, che stava provvedendo ad operazioni di carico delle autocisterne aziendali con GPL, riportava lesioni personali guarite oltre il quarantesimo giorno, con indebolimento permanente dell’organo dell’udito;
C) del reato p. e p. dal combinato disposto degli artt. 4, quinto comma lett. h), 3 primo comma lett. b), 89, terzo comma lett. a) D.Leg.vo 19/9/94 n. 626, per avere omesso, nella qualità di cui al capo a), di adottare le misure di prevenzione essenziali per garantire la sicurezza dei lavoratori e più precisamente per non avere aggiornato le misure preventive in relazione al grado di evoluzione delle tecnica della prevenzione e della protezione, non avendo provveduto alla predisposizione di dispositivi per evitare l’ingresso della fase liquida all’interno del compressore di cui al capo a), che così esplodeva cagionando gli eventi di cui ai capi precedenti;
Accaduto alla Spezia, l’8/8/2007.
Il Tribunale dichiarava non doversi procedere in ordine al reato ascritto al capo B) dell’imputazione, in quanto l’azione penale non poteva esercitarsi per difetto di querela nonché per il reato di cui al capo C), per estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
L’imputato veniva, pertanto, dichiarato responsabile del solo reato di cui al capo A) e, concessegli le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti contestate, veniva condannato alla pena di mesi 6 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali con pena sospesa, con restituzione all’avente diritto, in persona del legittimo proprietario di quanto in sequestro. L’imputato, veniva, altresì, condannato al risarcimento del danno in favore delle parti civili, D.A., C.A., L.I. e C.Al., da liquidarsi in separata sede, con una provvisionale immediatamente esecutiva, pari ad € 50.000, per ciascuna parte.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, A.G., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 589 e 43, comma 3 c.p., con riferimento agli artt. 4, comma 5, lett. b), 3, comma 1, lett. b), 89, comma 3, lett. a) D. Lgs. 626/94, nonché insufficienza, mancanza o contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen, rilevabile dal testo del provvedimento impugnato, nonché da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
Si rileva che la sentenza impugnata ha dichiarato la responsabilità dell’imputato per la violazione degli artt. 4, comma 5, lett. b), 3, comma 1, lett. b), 89, comma 3, lett. a) D. Lgs. 626/94, per aver omesso di adottare le necessarie misure di prevenzione e per non aver aggiornato le misure preventive, mediante l’adozione di dispositivi atti ad evitare l’ingresso della fase liquida all’interno del compressore. Precisamente sarebbe stata valutata negativamente per l’imputato l’omessa adozione del meccanismo di sicurezza detto “barilotto- trappola”, utilizzato in altre aziende, come accertato dalla ASL 5 di La Spezia nel corso delle indagini.
La pronuncia di conferma della sentenza di primo grado sarebbe, tuttavia, basata – ci si duole in ricorso- su un’erronea valutazione ed interpretazione delle norme. Sarebbe stato attribuito valore determinante ad un elemento insignificante, quale l’omessa adozione del dispositivo di sicurezza, sia ai fini della prognosi sulla verificabilità dell’evento mortale che ai fini della sussistenza dei profili di responsabilità penale.
La statuizione della Corte di Appello sull’obbligatorietà di munire il compressore del GPL del dispositivo di sicurezza “barilotto trappola” sarebbe priva di qualsiasi valore scientifico e deriverebbe unicamente da una ricerca empirica condotta dalla ASL, che ne avrebbe appurato l’uso in altre aziende.
La sentenza inoltre sarebbe contraddittoria laddove, dapprima, afferma che la presenza del dispositivo, sopra richiamato, avrebbe impedito l’infortunio come verificatosi, in quanto avrebbe impedito l’arrivo del GPL liquido al compressore e comunque avrebbe impedito l’avvio della compressione e, poi, sostiene che se anche il barilotto fosse scoppiato non sarebbe stato possibile conoscere la dinamica dell’incidente e se lo stesso avesse causato la morte della vittima.
Il ricorrente richiama la sentenza di questa sezione n. 41944 del 19.10.2006, con riferimento alla massima sicurezza tecnologica esigibile dal datore di lavoro. L’esatta applicazione delle prescrizione tecniche non esimerebbe il datore di lavoro da responsabilità laddove l’evoluzione tecnologica le abbia di fatto superate. Nel caso di specie, però, sostiene il ricorrente il compressore in uso era perfettamente funzionante, così come il dispositivo di sicurezza installato, consistente in una testata mobile o elastica per la captazione del liquido, sistema della stessa natura del “barilotto-trappola”.
Il concetto di massima sicurezza tecnologica, andrebbe inteso, nella pratica, in massima sicurezza tecnologicamente fattibile, in virtù del principio della reasonable practicability e dei principi di tassatività e determinatezza della legge penale. Altrimenti l’obbligo a carico del datore di lavoro, nella predisposizione delle misure di prevenzione e nel successivo aggiornamento delle stesse, sarebbe impossibile da assolvere, con il rischio di non poter mai sapere di aver assolto gli obblighi normativi di sicurezza, in quanto in concreto potrebbero esservi delle misure cautelari sconosciute al datore di lavoro, ma attivabili in base al progresso tecnico.
Si sostiene, perciò, che nessun addebito sarebbe configurabile a carico dell’A.G., in quanto il macchinario era funzionante e munito di un sistema di sicurezza del tutto idoneo. Non può venirgli contestato di non aver adottato un sistema di sicurezza difforme, ma del tutto analogo nei fini a quello di cui era effettivamente munito il macchinario oggetto dell’incidente.
b. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 41, comma 2 cod. pen., nonché insufficienza, mancanza o contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., rilevabile dal testo del provvedimento impugnato, nonché da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
Il ricorrente riporta il principio stabilito dalla sentenza di questa sezione della S.C. con la sentenza n. 7364 del 14.1.2014, in tema di comportamento negligente del lavoratore infortunato.
Nel caso di specie, si sostiene in ricorso che le cautele poste in essere dal datore di lavoro, impedirebbero l’applicazione del principio stabilito dalla sentenza sopra richiamata, che prevede la responsabilità dello stesso datore di lavoro allorquando l’applicazione delle dovute cautele avrebbe neutralizzato il rischio derivante dal comportamento imprudente.
I comportamenti tenuti dai lavoratori dell’azienda escluderebbero la responsabilità per colpa dell’imputato. Gli stessi avrebbero erroneamente caricato, per oltre l’80%, l’autocisterna il giorno precedente l’incidente e, poi, avrebbero posto in essere una pericolosa operazione di svuotamento del tubo della fase gas che portava al compressore, con l’accensione del compressore che, dopo pochi secondi scoppiava. Detti comportamenti – si sostiene in ricorso- comporterebbero l’esclusione di responsabilità dell’A.G..
Il ricorrente rileva che non si deve confondere ciò che presenta i caratteri dell’imprevedibilità in astratto con ciò che è concretamente imprevedibile.
La sentenza impugnata afferma che il rischio dell’ingresso di GPL liquido nel compressore non sarebbe imprevedibile, rappresentando tale eventualità uno dei più gravi problemi verificabili in sede di travaso. Tale affermazione sarebbe, però, vera solo in riferimento al concetto di prevedibilità in astratto. In concreto, infatti, l’ingresso di GPL liquido, sarebbe prevedibile solo quando ciò avvenga in quantità irrisorie sotto forma di gocce, particelle liquide, che in taluni casi costituirebbero un rischio di grave entità in mancanza di un dispositivo di sicurezza volto a sfogare la pressione in eccesso.
Si sostiene in ricorso che l’imprevedibile ingresso di liquido nel compressore, avvenuto per negligenza del lavoratore, determinerebbe una responsabilità colposa del datore di lavoro, in mancanza di sistema di sicurezza idoneo ad azzerare il rischio esplosione. Tuttavia nessun sistema di sicurezza sarebbe stato in grado di resistere a sollecitazioni come quelle realizzatesi in occasione dell’evento, determinato dall’abnormità ed imprevedibilità concreta della condotta dei lavoratori. Il comportamento degli stessi rappresenterebbe la causa sopravvenuta e sufficiente a determinare l’evento.
Priva di valenza sarebbe l’affermazione della corte di appello relativamente alla validità del sistema di sicurezza costituito dalla fuoriuscita di vapore dalla valvola a spillo dell’autocisterna, accompagnata da un fischio. La sentenza riterrebbe tale sistema insufficiente perché fondato sull’attenzione dell’operatore.
Dalle deposizioni testimoniale sarebbe emerso che i lavoratori si sarebbero avveduti dell’anomalia ed avrebbero proceduto all’operazione di svuotamento senza avvisare il datore di lavoro, nonostante vi fossero tenuti.
Il ricorrente aggiunge che il comportamento dei lavoratori, anche qualora non potesse essere ritenuto abnorme e tale da interrompere il nesso di causalità e da porsi come causa sufficiente a determinare l’evento, sarebbe in ogni caso esorbitante e quindi assolutamente imprevedibile per il datore di lavoro.
Su tali questioni la motivazione sarebbe illogica, insufficiente, contraddittoria e carente.
c. Inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 539 cod. proc. pen., nonché insufficienza, mancanza o contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., rilevabile dal testo del provvedimento impugnato
La corte di appello avrebbe commesso un rilevante errore metodologico relativamente alla commisurazione delle statuizioni civili con riferimento alla stabilita provvisionale immediatamente esecutiva.
La misura della condanna inflitta sarebbe quantomeno eccessiva. Con l’accoglimento dei motivi di ricorso occorrerà, secondo il parere del ricorso, procedere all’esclusione o al ridimensionamento o quantomeno alla sospensione delle provvisionali riconosciute, tenuto conto dell’assenza di responsabilità dell’imputato o, in ogni caso, del suo apporto causale minimo al verificarsi dell’evento mortale.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione.
3. Le parti civili costituite, hanno depositato, a mezzo del loro difensore di fiducia memorie difensive, deducendo che le censure mosse dall’imputato nei primi due motivi di ricorso si sostanzierebbero in una diversa ricostruzione dei fatti, improponibile in sede di legittimità.
La difesa dell’imputato incentrerebbe l’attenzione nella fase precedente l’incidente sia con riferimento alla pressione determinatasi nel macchinario che con riferimento alla condotta dei lavoratori coinvolti.
Rilevano che le sentenze di merito avrebbero correttamente valutato gli eventi accaduti il giorno precedente lo scoppio, nel quale era avvenuto il riempimento della cisterna per oltre l’80%.
Proprio nella valutazione di questa fase emergerebbe l’inadeguatezza dei sistemi di sicurezza, rappresentati unicamente dalla presenza della valvola spillo che avrebbe emesso unicamente uno sbuffo, affidando la sicurezza alla vista ed all’attenzione del lavoratore, con un sistema sicuramente fallace in caso di disattenzione.
Nel caso di specie, la manovra di svuotamento operata dai lavoratori sarebbe stata sicuramente maldestra, ma determinata, dall’ambiente lavorativo probabilmente privo di serenità, al fine di evitare sfuriate.
La sentenza impugnata avrebbe evidenziato che l’unico sistema di sicurezza rappresentato dalla testata a molle sarebbe stato scarsamente utile, mentre la presenza del barilotto trappola avrebbe impedito l’ingresso del liquido e l’innalzamento della pressione che ha prodotto l’esplosione. Tale sistema, infatti, avrebbe bloccato il liquido impedendogli di raggiungere il compressore.
Prive di pregio sarebbero le censure dell’Imputato sul punto. Il sistema di sicurezza sopracitato sarebbe diffuso da circa una quindicina di anni rispetto al momento dell’incidente.
Sul punto specifico i giudici di merito avrebbero richiamato la testimonianza, richiesta dalla parte civile, del titolare di altra azienda che dichiarava di utilizzare tale sistema fin dai primi anni novanta. Inoltre il barilotto-trappola, sarebbe stato applicabile anche al compressore in uso, senza bisogno di investimenti per riammodernamento, nonostante l’impianto risalisse agli anni sessanta.
Sarebbe indubbio che il datore di lavoro, sebbene in possesso delle certificazioni di regolarità, avrebbe dovuto informarsi dei sistemi di sicurezza esistenti sul mercato ed adeguare il proprio impianto con una spesa estremamente contenuta.
Il barilotto avrebbe certamente impedito l’ingresso di liquido in misura così massiccia e, di conseguenza, l’abnorme pressione che ha causato l’esplosione.
Il ragionamento operato dalla corte di appello sarebbe logico e coerente anche in relazione alla determinazione che le operazioni maldestre dei lavoratori non avrebbero determinato l’evento e non hanno interrotto il nesso di causalità tra l’accertata mancanza del sistema di sicurezza e la morte del lavoratore.
La condotta dei lavoratori non può essere considerata abnorme e esonerare il datore di lavoro da responsabilità penale.
Così come lo stesso datore di lavoro non sarebbe esonerato dalla presenza del responsabile del servizio di prevenzione.
Chiedono, pertanto, il rigetto del ricorso con conferma delle statuizioni penali e civili dell’impugnata sentenza.

Diritto

1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. I motivi sub a. e sub b. sono infondati in quanto con essi il ricorrente lamenta, cumulativamente, violazione di legge e vizio motivazionale, ma, in realtà, richiede a questa Corte una rivalutazione di elementi di fatto, evidentemente non consentita in questa sede.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542).
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla l. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte genovese alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, motivato congruamente sui punti nodali intorno ai quali ruota anche l’odierna imputazione: 1. la sufficienza o meno degli strumenti di sicurezza adottati; 2. l’assunta abnormità del comportamento posto in essere dai lavoratori che in ogni caso interromperebbe il nesso di causalità con la eventuale condotta omissiva del datore di lavoro; 3. la mancata prova che l’adozione anche del sistema del c.d. “barilotto trappola” avrebbe impedito l’evento.
Orbene, quanto al primo punto la Corte genovese dà conto in motivazione che é vero che il compressore era dotato di un sistema di sicurezza funzionante (la c.d. “testa elastica”), ma che dalle dichiarazioni rese dai periti C. e M. emergeva chiaramente che lo stesso era idoneo solo a intercettare modeste o modestissime quantità di liquido (normalmente presenti insieme al gas) e non grandi quantità, quale quella che deve essere entrata nel compressore per provocare la forte pressione da cui è derivata l’esplosione.
La Corte evidenzia anche i dati tecnici a conforto delle proprie conclusioni, desunti dalle dichiarazioni dibattimentali rese dall’ing. M., secondo cui, ipotizzando una pressione di oltre 100 tonnellate, la presenza di un barilotto- trappola (che come detto sopra, interposto nella fase gas prima del compressore, intercetta l’eventuale liquido presente, impedendone l’ingresso nel compressore) avrebbe condotto a un evento diverso, con esiti diversi, e meno gravi. Infatti, in presenza del barilotto – si evidenzia nella logica motivazione del provvedimento impugnato- il liquido non sarebbe arrivato al compressore e il compressore non avrebbe sviluppato tale pressione.
Sulla scorta di tali considerazioni, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto condivisibile il convincimento espresso dal giudice di prime cure, per il quale la presenza del barilotto trappola avrebbe impedito la causazione dell’infortunio con quelle modalità, perché il dispositivo avrebbe impedito l’arrivo del GPL liquido al compressore e comunque impedito l’avvio della compressione del liquido.
La Corte ligure confuta poi, in maniera altrettanto logica, la tesi difensiva oggi riproposta, secondo la quale il GPL liquido presente fin dal giorno prima nelle tubature dal punto di attacco delle autocisterne fino alle valvole di radice del compressore aveva raggiunto, date le temperature estive, una pressione tale da provocare da sola lo scoppio del compressore, e che il barilotto trappola non avrebbe fermato, anzi sarebbe scoppiato esso stesso. Ciò sul rilievo che, dato per appurato che all’Interno del compressore si era creata una pressione di 160 – o comunque più di 100 – tonnellate, non è detto che il liquido che vi è entrato avesse già tale pressione: infatti lo scoppio è avvenuto dopo che il compressore è stato messo in movimento, quindi la pressione anzidetta si è raggiunta con la compressione del GPL liquido dovuta alla messa in moto del compressore, e non con la mera entrata del liquido stesso, per quanto già in pressione (circostanza su cui concordano periti e consulenti, nessuno dei quali, però, ha saputo quantificarla).
Logica appare, peraltro, la considerazione espressa dai giudici di merito secondo cui, anche ipotizzando che lo stesso “barilotto trappola” sarebbe scoppiato, gli effetti sarebbero stati diversi, ed evidentemente meno gravi.
E sul punto la Corte territoriale opera senz’altro un buon governo della giurisprudenza di questa Corte, che, a partire dalla sentenzaa Sezioni Unite del 2002 Franzese, ha affermato che nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudìzio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (così Sez. Un. n. 30328 del 10.7.2002, Franzese, rv. 222138, fattispecie nella quale è stata ritenuta legittimamente affermata la responsabilità di un sanitario per omicidio colposo dipendente dall’omissione di una corretta diagnosi, dovuta a negligenza e imperizia, e del conseguente intervento che, se effettuato tempestivamente, avrebbe potuto salvare la vita del paziente; conf. sez. 5, n. 21338 del 19.3.2003, Gliozzi, rv. 224529; sez. 4, n. 17386 del 20.2.2003, Cardillo e altri, rv. 224581; sez. 4, n. 27975 del 15.5.2003, Eva, rv. 226011; sez. 4, n. 40924 del 9.10.2002, Labellarte, rv. 222899; sez. 4, n. 39062 del 26.5.2004, Picciurro ed altri, rv. 229832; sez. 4, n. 4675 del 17.5.2006, Bartalini ed altri, rv. 235658; sez. 4, n. 17523 del 26.3.2008, Franchi, rv. 239542; sez. 4, n. 18573 del 14.2.2013, Meloni, rv. 256338).
Il principio è stato poi ribadito, compendiato e ulteriormente sviluppato nella sentenza sul caso Thyssenkrupp, secondo cui nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Sez. Un. n. 38343 del 24.4.2014, Espenhahn e altri, rv. 261103, fattispecie in cui la Suprema Corte ha escluso il nesso causale tra la condotta omissiva consistita nella mancata realizzazione di un impianto antincendio automatico e l’aggravante di cui all’art. 437, comma secondo, cod. pen., alla stregua del giudizio controfattuale per cui, valutate le circostanze concrete in ordine ai necessari tempi di realizzazione, l’impianto non sarebbe stato comunque ultimato in epoca antecedente alla verificazione del disastro; conf. sez. 4, n. 49707 del 4.11.2014, Incorvaia ed altro, rv. 263284, fattispecie in tema di colpa medica; sez. 4, n. 22378 del 19.3.2015, Volcan ed altri, relativa ad un caso in cui la Corte ha escluso il nesso causale tra la condotta omissiva consistita nella mancata adozione di misure idonee a garantire la sicurezza del luogo di lavoro, in particolare, di un’impalcatura e le lesioni gravi occorse al lavoratore, caduto da detta impalcatura, evento determinatosi a causa della maldestra riparazione provvisoria di un ponteggio, realizzata da soggetto rimasto ignoto ed in epoca sicuramente prossima al verificarsi dell’evento lesivo).
Il giudizio controfattuale cui occorre fare riferimento, dunque, non può che essere, come è stato nel caso che ci occupa, che un giudizio meramente ipotetico, al fine di accertare, dando per verificato il comportamento invece omesso, se quest’ultimo avrebbe, con un alto grado di probabilità logica, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell’evento o comunque ridotto l’intensità lesiva dello stesso (vedasi anche Sez. F. n. 41158 del 25.8.2015, E. ed altri, rv. 264883, fattispecie in cui è stata esclusa la responsabilità degli imputati, non essendo stata raggiunta la prova che, ove questi avessero ripetuto determinati esami strumentali, sarebbero pervenuti con certezza od elevata probabilità od una diagnosi differenziale di quella formulata, che avrebbe consentito di compiere l’intervento chirurgico necessario per impedire il decesso del paziente).
Occorre, dunque, poter affermare, in termini di “certezza processuale”, ossia di alta credibilità razionale o probabilità logica, come paiono avere fatto i giudici del gravame del merito nella sentenza impugnata, che sia stata proprio quella condotta omissiva a determinare l’evento lesivo (così sez. 4, n. 38334 del 3.10.2002, Albissini, rv. 222862, relativa ad un caso di colpa professionale medica per omessa, precoce, diagnosi di neoplasia polmonare determinata da superficiale o errata lettura del referto radiologico, per la quale la Corte ha ritenuto sussistente il nesso di causalità pure in mancanza di indagine autoptica).
4. Punto nodale dell’odierno decidere, dunque, è se dovesse essere preteso dall’odierno imputato – che è incontestato essere titolare di una posizione di garanzia in ordine all’Incolumità fisica dei lavoratori e aveva il dovere di provvedere al rispetto della normativa antiinfortunistica, vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, essendo egli stesso responsabile della prevenzione e della sicurezza sul lavoro – che si dotasse di più nuovi accorgimenti idonei a garantire la sicurezza dell’impianto, pur in possesso di tutte le prescritte autorizzazioni, e in assenza di norme tecniche che impongano espressamente l’uso di barilotti trappola.
Orbene, sul punto il provvedimento impugnato appare immune dai denunciati vizi di legittimità e fare buon governo della giurisprudenza di questa Corte di legittimità in materia.
Costituisce ¡us receptum il principio che, allorquando l’imprenditore disponga di più sistemi di prevenzione di eventi dannosi, egli sia tenuto ad adottare (salvo il caso di impossibilità) quello più idoneo a garantire un maggior livello di sicurezza, principio cui non è possibile derogare soprattutto nei casi in cui i beni da tutelare siano costituiti dalla vita e dalla integrità fisica delle persone, laddove, viceversa, una valutazione comparativa tra costi e benefici sarebbe ammissibile solo nel caso in cui i beni da tutelare fossero esclusivamente di natura materiale, (così questa sez. 4, n. 41944 del 19.10.2006, Laguzzi, rv. 235539 in un caso, relativo a disastro ferroviario colposo, la Corte ha ritenuto che l’impresa ferroviaria non si fosse attenuta a quest’ultimo principio, avendo utilizzato materiale rotabile inidoneo, malgrado la linea fosse attrezzata e il materiale disponibile: in particolare, era risultato che nella composizione di un treno era stato sostituito un locomotore privo del sistema di ripetizione dei segnali di bordo a quello previsto nella composizione teorica, pur disponibile, che era invece dotato di tale sistema di sicurezza).
A proposito di “massima sicurezza tecnologica” esigibile dal datore di lavoro, tuttavia, il Collegio ritiene che, se è vero che questa Corte ha anche affermato che, in materia di infortuni sul lavoro, è onere dell’imprenditore adottare nell’impresa (nella fattispecie: nel cantiere edile) tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia per garantire la sicurezza dei lavoratori (così questa sez. 4, n. 43095 del 26.9.2005, Merighi, rv. 232450 in un caso in cui il datore di lavoro è stato ritenuto responsabile della violazione dell’art. 374 d.P.R. n. 547 del 1955 – il quale prevede che le macchine e le attrezzature devono possedere tutti i possibili requisiti di sicurezza per evitare infortuni – per avere omesso di munire la pala meccanica del dispositivo di sicurezza costituito dal segnalatore acustico di retromarcia) il principio de quo vada letto alla luce di quello meglio precisato dalla già citata sentenza 41944/2006, Laguzzi, secondo cui, qualora la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze portino alla individuazione di tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, non è possibile pretendere che l’imprenditore proceda ad un’immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti e innovative, dovendosi pur sempre procedere ad una complessiva valutazione sui tempi, modalità e costi dell’innovazione, purché, ovviamente, i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza (così questa sez. 4, n. 41944 del 19.10.2006, Laguzzi, rv. 235538).
Ma -ricorda la Corte territoriale- il sistema di sicurezza costituito dal c.d. “barilotto trappola” “non costituiva una novità, esseno in uso in aziende analoghe, secondo il perito ing. M. e uno dei testi dedotti dalla parte civile, almeno dagli anni ’90; inoltre, esso avrebbe potuto essere utilizzato senza neppure la necessità di sostituire il vecchio compressore ancora efficiente” (così pag. 7 della motivazione del provvedimento impugnato).
Nel caso che ci occupa, in altri termini, il tempo trascorso rispetto all’adozione diffusa di quel “barilotto-trappola” che avrebbe certamente impedito l’ingresso di liquido in misura così massiccia – e, di conseguenza, l’abnorme pressione che ha causato l’esplosione – imponeva al datore di lavoro, sebbene in possesso delle certificazioni di regolarità dell’impianto, di aggiornarsi circa i sistemi di sicurezza esistenti sul mercato e di adeguare il proprio impianto con una spesa estremamente contenuta.
5. Logico e coerente appare il percorso motivazionale seguito dalla Corte genovese per confutare la tesi della interruzione del nesso di causalità tra l’accertata carenza del sistema di sicurezza e la morte del lavoratore, dovendo la stessa attribuirsi al comportamento abnorme dei lavoratori ed essendo l’evento stesso imprevedibile e inevitabile.
La Corte genovese ricorda come, secondo il dictum di questa Corte di legittimità, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.
Correttamente viene ricordato il principio affermato da questa sez. 4 con la sentenza n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321 secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, non esclude la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia riconducibile comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente. (Fattispecie relativa alle lesioni “da caduta” riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un’idonea impalcatura – “trabattello” – nonostante il lavoratore avesse concorso all’evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori – si è peraltro affermato in altre condivisibili pronunce- ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionaiità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile. (sez. 4, n. 37986 del 27.6.2012, Battafarano, rv. 254365; conf. sez. 4, n.3787 del 17.10.2014 dep. il 27.1.2015, Bonelli, rv. 261946 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l’esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
Orbene, con motivazione logica e congrua – e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità- la Corte genovese dà atto di come nel caso che ci occupa non si sia stati di fronte ad un comportamento abnorme del lavoratore.
Peraltro – va aggiunto- il rischio di uno scoppio è sicuramente insito nell’attività stessa di un’azienda che commercializzi GPL. Ed è perciò evidentemente il tipo di rischio rispetto al quale vanno approntati i più stringenti presidi.
Viene ricordato in sentenza che l’infortunio mortale ebbe a verificarsi dopo che C. aveva caricato in modo eccessivo un’autocisterna il giorno precedente, e dopo l’incauto tentativo da parte sua e del collega Z.P. di svuotare il compressore.
Si dà anche per acclarato che l’azienda avesse impartito – e non fosse in discussione che i lavoratori le conoscessero – adeguate istruzioni sull’esecuzione delle operazioni di travaso, tra l’altro prevedendo che quelle che non avevano carattere ordinario dovessero essere oggetto di specifico permesso e che ogni operazione non riconducibile ad un travaso dovesse essere autorizza preventivamente dal responsabile dell’impianto.
La Corte territoriale rileva, però, che, come trapela anche dalla relazione del perito ing. M. e come si diceva poc’anzi, il rischio dell’ingresso di GPL liquido nel compressore non è imprevedibile, perché uno dei più gravi problemi che si possono verificare in fase di travaso di gas con il sistema classico del travaso differenziale è proprio l’aspirazione del liquido da parte del compressore.
Sotto questo profilo, perciò, il fatto che la sicurezza dell’operazione fosse affidata alla sola attenzione del personale addetto al travaso, che come unico accorgimento aveva a disposizione la spia di riempimento (con la mera osservazione da parte dell’operatore della fuoriuscita di liquido con vapore dalla valvola a spillo dell’autocisterna), costituiva condivisibilmente un sistema che scontava il rischio, quanto meno, di un calo di attenzione e di prudenza dell’operatore (e sul punto viene ricordato in sentenza come l’ing. M. avesse osservato che l’assuefazione ad un pericolo, connesso ad attività quotidiane, induce a una sua sottovalutazione).
Viene anche ricordato che nel corso del giudizio era stato adombrato che l’erronea manovra di carico posta in essere da C. il giorno prima della sua morte fosse in realtà intenzionale e preludesse ad un furto (perché il deceduto aveva compiuto una sosta ulteriore rispetto a quelle necessarie per recarsi dai clienti, come emerso dal disco cronotachigrafo del mezzo da lui condotto; perché Z.P. aveva telefonato a un concorrente dell’appellante subito dopo l’infortunio; perché il teste P. aveva dichiarato che il datore di lavoro non era stato informato del problema del liquido in eccesso, e che i lavoratori avevano cercato di rimediare a sua insaputa), ma come, sulla base degli elementi dedotti, tale ipotesi non sia stata provata.
La condivisibile conclusione cui sono pervenuti i giudici del gravame del merito è stata, dunque, quella di escludere che nella specie fosse ravvisabile un comportamento anomalo del deceduto, tale da costituire causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento, e da escludere la responsabilità del datore di lavoro, in quanto assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite.
Evidentemente c’è stato un comportamento negligente, anche nel non avvisare il datore di lavoro dell’operazione straordinaria che si andava a compiere. Ma questa Corte di legittimità ha più volte precisato – e va qui ribadito- che il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro (cfr., oltre a quelle citate in precedenza, sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321, fattispecie relativa alle lesioni “da caduta” riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un’idonea impalcatura – “trabattello” – nonostante il lavoratore avesse concorso all’e-vento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
A fronte di ciò, esisteva ed era accessibile un sistema di sicurezza idoneo a prevenire la suddetta situazione di pericolo, che il datore di lavoro non ha adottato.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
6. In ultimo, va rilevato essere inammissibile il profilo di doglianza sub c. con cui si deduce vizio motivazionale in ordine alla determinazione della provvisionale, per la cui quantificazione la Corte non avrebbe tenuto conto del concorso di colpa del lavoratore.
Sul punto, va detto che, esplicitamente, pur non facendone menzione in dispositivo, il GM del Tribunale di La Spezia dà atto, in sede di motivazione circa la concessione delle circostanze attenuanti generiche, che si deve “tenere conto del concorso del fatto colposo della vittima nella causazione dell’evento” (cfr. pag. 12 della sentenza di primo grado. E del resto la stessa Corte territoriale, pur dando atto dell’inesistenza di un comportamento anomalo del deceduto, aggiunge che “ciò non esclude che nel caso in esame sia ravvisabile un concorso di colpa della vittima nella causazione dell’evento mortale, concorso che peraltro è stato riconosciuto dal primo giudice” (cfr. pag. 9 del provvedimento impugnato).
Di tale affermato concorso di colpa dovrà, evidentemente, tenere conto il giudice civile, in sede di liquidazione del danno.
Tuttavia, in relazione alla provvisionale, la doglianza proposta si palesa inammissibile atteso che secondo il costante orientamento di questa Corte di legittimità la determinazione della provvisionale, in sede penale, ha carattere meramente delibativo e può farsi in base a giudizio presuntivo, derivandone che detta valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto e conseguendone che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura pronuncia provvisoria ed insuscettibile di passare in giudicato, destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento del danno (così Sez. Un. n. 2246 del 19.12.1990 dep. 19.2.1991, Capelli, rv. 186722; conf. sez. 5, n. 40410 del 18.3.2004, Farina ed altri, rv. 230105; sez. 5, n. 5001 del 17.1.2007, Mearini ed altro, rv. 236068; sez. 4, n. 34791 del 23.6.2010, Mazzamurro, rv. 248348; sez. 5, n. 32899 del 25.5.2011, Mapelli e altri, rv. 250934; sez. 2, n. 49016 del 6.11.2014, Patricola ed altri, rv. 261054; sez. 3, n. 18663 del 27.1.2015, D.G., rv. 263486; sez. 6, n. 50746 del 14.10.2014, P.C. e G., rv. 261536).
Il ricorrente, dunque, non può dolersi ne’ del difetto di motivazione e nemmeno potrebbe di un’eventuale abnormità, poiché dispone di ogni possibilità di difesa nella sede civile di liquidazione definitiva del danno.
7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione alle parti civili delle spese dalle stesse sostenute per questo giudizio liquidate come in dispositivo

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché a rimborsare alle parti civili le spese dalle stesse sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi euro 4000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2016

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