Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 02 febbraio 2016, n. 4344


 


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GRASSO GIUSEPPE
Data Udienza: 26/11/2015

Fatto

1. La Corte d’appello di Trento, con sentenza del 21/3/2014, confermò la sentenza emessa dal Tribunale di Trento (allora Sezione Distaccata di Tione), con la quale F.M., giudicato responsabile del delitto di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme poste a protezione della sicurezza sul lavoro, ai danni di C.R.G. (travolto e schiacciato da un tronco d’albero, in precedenza tagliato e adagiato sul pendio), era stato condannato alla pena stimata di giustizia.
In particolare si rimproverava all’imputato, quale legale rappresentante della “F.M. Davide & C. s.n.c.”, per colpa generica e violazione degli artt. 28, co, 2, lett. b), 17, co. 2, 5, co. 1, lett. a), 18, co. 1, lett. I, 37, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 81/2008, di avere fatto eseguire al C.R.G. (neoassunto ed inesperto) lavori boschivi, senza aver valutato adeguatamente il rischio specifico da rotolamento dei tronchi tagliati, individuando, inoltre, in modo generico ed insoddisfacente le misure di sicurezza da prendere dopo che il tronco, in attesa di essere trascinato a valle, venga lasciato temporaneamente sul pendio; omettendo, infine, di formare il lavoratore deceduto, peraltro sprovvisto dell’apposito patentino previsto dalla normativa locale.
2. L’imputato ricorre per cassazione con atto corredato da plurime censure.
2.1. Con il primo motivo il F.M. denunzia violazione dell’art. 40, cod. pen., e vizio motivazionale, allegando che il Giudice d’appello si era discostato dalla motivazione di primo grado, nel tentavo di approfondire la dinamica dell’infortunio, rimasta negletta in primo grado, accedendo ad una ricostruzione meramente congetturale e non riscontrata dagli atti: il tronco era stabile, siccome aveva dichiarato il teste L.R. ed altri lavoratori e la relazione di consulenza della difesa era stata ingiustamente interpretata in malam partem.
2.2. Con il successivo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione alla normativa antinfortunistica, nonché vizio motivazionale a riguardo del nesso di causalità, che, secondo l’asserto, non risultava essere stato accertato, essendosi, inoltre, assegnato soverchio valore al cd. «patentino», titolo che era sufficiente fosse in possesso del datore di lavoro e del caposquadra, siccome in effetti si era verificato.
2.3. Con l’ultimo motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al n. 6) dell’art. 62, cod. pen., sulla base di un apodittico giudizio di non integralità del risarcimento.

Diritto

4. Il ricorso è destituito di giuridico fondamento.
4.1. I primi due motivi, fra loro, possono essere trattati contestualmente.
L’omessa valutazione del rischio specifico è indubbiamente rimasta provata.
Dalla sentenza d’appello, sul punto rimasta incontroversa, si ricava che la vittima, non solo era quasi del tutto priva di esperienza, ma anche gli altri lavoratori avevano ricevuto una formazione a dir poco sommaria ed approssimativa (T.I., lavoratore con ben maggiore anzianità, non ha saputo essere preciso a riguardo dell’intervenuta formazione – se prima o dopo l’incidente -, dimostrando, in ogni caso, l’abitudine ad apprezzare “a occhio” le situazioni di pericolo).
Non era stata concretamente valutata l’evenienza di rischio più grave: il pericolo che i tronchi tagliati e adagiati al suolo in attesa del trasporto a valle rotolassero travolgendo le persone addette ai lavori od altri.
Il tronco non era affatto stabile, al di là dell’erronea grossolana impressione del T., per più convergenti ragioni (pag. 9) e il suo rotolamento non può di certo attribuirsi ad alcun fattore interferente estraneo al processo casuale derivante dalla grave incuria che caratterizzò la scelta di abbandonarlo, senza solido ancoraggio, su un aspro declivio (28%), in posizione quasi verticale e con il vertice costituito dalla parte del cono di maggiori dimensioni. La p.o., nonostante la nota inesperienza, senza che avesse acquisito le minime necessarie competenze o fosse stato informato dei pericoli, venne lasciato da solo in quel frangente, stante che il caposquadra, l’unico dotato del «patentino» di cui s’è detto, si era allontanato diverse ore prima.
4.2. Non può neppure accogliersi il terzo motivo.
Al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen., occorre che al giudice sia data la possibilità di valutare la congruità del dedotto risarcimento. La produzione in giudizio, fermo restando il diverso apprezzamento da effettuarsi in sede civile, di un’attestazione di pagamento di una somma in favore degli “aventi diritto”, impersonalmente rappresentati da un procuratore, preclude al giudice la possibilità di accertare se il danno sia stato “interamente riparato”. Ciò ancor più, come nel caso al vaglio, nel quale l’integralità del risarcimento, implicante il ristoro del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, in tutte le sue componenti, impone la precipua conoscenza della platea degli aventi diritto, del vincolo di parentela, dell’intensità del legame affettivo e della dipendenza economica di ognuno di costoro nei confronti della vittima.
5. All’epilogo consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26/11/2015.

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