Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 02 febbraio 2016, n. 4347

Caduta a terra del lavoratore dal cassone dell’autocarro che trasporta transenne parapedonali. Responsabile il datore di lavoro e il delegato.


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GRASSO GIUSEPPE
Data Udienza: 26/11/2015

Fatto

1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 26/6/2014, confermò quella emessa dal Tribunale della stessa città, in data 23/10/2012, con la quale, giudicati V.G. e T.F. colpevoli del reato di lesioni colpose gravi, con violazione della normativa antinfortunistica, ai danni di L.A. (lavoratore alle dipendenze della s.p.a. Servizi Alla Strada), li aveva condannati alla pena rispettivamente stimata di giustizia, nonché al risarcimento del danno in favore della p.c., da liquidarsi in separata sede, ponendo provvisionale a carico di entrambi.
La p.o. aveva patito lesioni in quanto era stata violentemente sbalzata a terra dal cassone dell’autocarro, sul quale era intenta a contenere con la forza delle braccia le transenne parapedonali, che caricate sul mezzo, dovevano ancora essere assicurate, a causa del repentino sbalzo in aventi del mezzo, avevano finito per sospingere fuori dal cassone l’infortunato.
S’imputava al V.G. (datore di lavoro, poiché presidente del consiglio d’amministrazione della predetta società) di aver redatto un documento di valutazione rischi (DVR) inadeguato e carente a riguardo della procedura da rispettare per ridurre al minimo i rischi derivanti dal carico e impilamento delle transenne parapedonali, utilizzate per disciplinare l’afflusso delle persone in occasione di manifestazioni, omettendo, in particolar modo di prescrivere all’autista di scendere dal mezzo durante la fase di caricamento dei manufatti in discorso. Al T.F., in qualità di dirigente all’uopo delegato, di essere venuto meno ai propri obblighi di formazione ed informazione derivanti dai piani annuali pertinenti per il 2007/2008.
2. Il V.G. propone ricorso per cassazione corredato da unitaria, articolata censura, denunziante vizio motivazionale in questa sede rilevabile e violazione di legge.
Punto nodale della doglianza è costituito dalla prospettazione secondo la quale il dovere il cui inadempimento gli viene contestato, da intendersi quale obbligo di stilare il «programma di attuazione», non era previsto dalla legislazione vigente al momento del fatto (art. 4, comma 2, d.lgs. n. 626/1994), ma solo dalla normativa successivamente emanata (art. 28, d.lgs., n. 81/2008), la quale aveva apportato la novità consistente nella . Ciò premesso, a parere del ricorrente, < La Corte di merito aveva errato nel considerare tali enunciati generici e, comunque, non strettamente pertinenti. In particolare la sentenza, suggestionata dal nuovo DVR (stilato dopo l’infortunio), aveva ritenuto che unica prescrizione efficace sarebbe stata quella di imporre all’autista di scendere dal mezzo fino a constatata conclusione dell’attività di caricamento. Ma quella esposta non era che una delle tante cautele praticabili secondo le ordinarie regole prudenziali, che l’operatore posto alla guida avrebbe dovuto tenere.
Con un secondo profilo il ricorrente deduce che la condotta del predetto autista, da ritenersi abnorme, e perciò imprevista ed imprevedibile, aveva interrotto il nesso di causalità.
3. Il T.F. deduce tre motivi di doglianza, con i quali lamenta violazione di legge e vizio motivazionale.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente asserisce che non potevasi a lui richiedere un obbligo di formazione ed informazione a riguardo di una procedura operativa non prevista dal DVR.
3.2. Con il secondo ed il terzo motivo evidenzia che non gli si poteva addebitare evento che si poneva al di fuori della probabilità logica ipotizzabile e che non poteva da lui esigersi garanzia in relazione alla condotta dell’autista, il quale, disattendendo la regola , era stato causa dell’infortunio. La perdita d’equilibrio del L.A. non era dipesa dalle modalità di carico, bensì dalla condotta improvvida dell’autista dell’automezzo.

Diritto

4. Va osservato che dopo la sentenza di secondo grado è venuto a maturare il termine massimo prescrizionale previsto dalla legge per il reato contestato in relazione ad un quadro impugnatorio che non appare inammissibile, in quanto i proposti motivi, sibbene, come si vedrà, non meritevoli di accoglimento, tuttavia, legittimamente radicano il giudizio di cassazione e, quindi, s’impone la declaratoria estintiva agli effetti penali, essendo fondata la deduzione di perenzione.
Il fatto risale al 13/5/2007 e, pertanto, in base al comò. disp. degli artt. 157 e 160, cod. proc. pen., il reato si è prescritto il 13/11/2014.
Non emerge, d’altro canto, alcuna delle ipotesi che, ai sensi dell’art. 129, cod. proc. pen., avrebbe importato declaratoria d’innocenza. Infatti, In tema di declaratoria di cause di non punibilità nel merito in concorso con cause estintive del reato, il concetto di «evidenza» dell’innocenza dell’imputato o dell’indagato presuppone la manifestazione di una verità processuale chiara, palese ed oggettiva, tale da consistere in un quid pluris rispetto agli elementi probatori richiesti in caso di assoluzione con formula ampia (Cass. 19/7/2011, n. 36064).
Il giudice può pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p. solo quando le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’Imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile (Cass. 14/11/2012, n. 48642). Situazione che qui manifestamente non ricorre per quanto appresso.
5. Quanto alle statuizioni civili deve osservarsi che le doglianze, prese in analitico esame non meritano di essere accolte.
5.1. Entrambi gli imputati, al di là dello sforzo di valorizzare la peculiarità dei rispettivi ruoli, in definitiva, propongono un’inaccettabile lettura frammentaria e formalistica delle previsioni normative volte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, la quale, peraltro, sconta il vizio di aver assegnato al contenuto precettivo un significato inconferente.
Lo stesso V.G. afferma che il portato di cui alla lett. b) del comma 2 dell’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008 coincide, nella sostanza, con quello di cui alla norma in precedenza in vigore (art. 4, comma 2, d.lgs. n. 626/1994). Conviene per comodità riprendere le parole esatte della disposizione, la quale, fra l’altro, prescrive: .
Ciò solo basta a confermare la penale responsabilità del datore di lavoro (e, per quel che si dirà anche del T.F.). Dalla congerie di rischi individuati nel DVR, riportati dal ricorrente, non è dato cogliere alcuno specifico e puntuale riferimento alla delicata operazione di carico, affastellamento e fermo dei numerosi, ingombranti e pesanti parapedonali, sul cassone dell’autocarro. Manovra, questa, che, resa ancor più difficile dal fatto che i predetti manufatti, costruiti per essere fermati al suolo attraverso i pioli posti alle loro estremità, da affogare nei fori predisposti al suolo, implicava la difficoltà di mantenere in piedi parapedonali, costipandoli verso il fondo del cassone a forza di braccia. Meno che mai è dato cogliere la misura cautelare atta a prevenire possibili infortuni (è evidente che non si tratta del generico rischio da salita e discesa dai mezzi o da sollevamento di oggetti pesanti).
Quanto alla prescrizione di cui alla lett. c) dell’art. 28, stigmatizzata con il ricorso () deve osservarsi quanto segue. L’espressione, par chiaro, descrive ipotesi complesse nelle quali è utile non solo prevedere le misure prevenzionali, ma anche il percorso attuativo, coinvolgente ruoli, funzioni e competenze diverse, oltre che, se del caso, ambiti e settori diversi (da qui la seconda parte della prescrizione di cui alla predetta lett. c), attraverso il quale giungere al risultato cautelare. Così da attingere ai migliori apporti per esperienza, competenza e responsabilità, correggere disfunzioni e inadeguatezze, permettendo, inoltre, d’individuare ed isolare le singole responsabilità. In definitiva, la nuova normativa, fermo restando l’obbligo di prevenzione e protezione, previa individuazione delle specifiche ipotesi (se del caso mediante l’apporto di figure professionali ad hoc), impone di formalizzare le procedure necessarie, ove l’approntamento degli strumenti cautelari imponga il coinvolgimento plurisoggettivo e plurisettoriale di cui s’è detto. Ciò non significa affatto, già secondo il senso della logica comune, che, vigente la precedente normativa, ove la misura prevenzionale per la sua attuazione imponesse una qualche procedimentalizzazione, non fosse da contemplare. Restava, semmai, fuori dall’area del precetto, appunto, l’iter procedimentale, da intendersi, come s’è cercato di dire, quale scelta delle soggettive competenze da coinvolgere. Nel caso al vaglio, peraltro, e ciò solo basterebbe, si è ben al di fuori di quelle complesse ipotesi nelle quali la tutela antinfortunistica richiede un’apprezzabile procedura attuativa. Qui, come si è anticipato, sarebbe bastato prevedere (come, poi, dopo l’infortunio si è fatto) che l’autocarro restasse fermo per tutto il tempo dell’operazione di carico, imponendo all’autista di scendere dalla cabina. O qualunque altra precauzione, atta allo scopo.
5.1.1. Radicalmente destituita di fondamento appare la pretesa di qualificare la condotta lavorativa dell’autista dell’autocarro imprevedibile e imprevenibile, in quanto abnorme.
Deve escludersi, secondo la logica comune, la sussistenza di una condotta avulsa dallo svolgimento della mansione, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto protetto dalla garanzia. Esattamente al contrario dell’assunto trattasi di un tragico evento occorso nell’esercizio e a causa dello svolgimento d’una attività integrata puntualmente nel contesto lavorativo, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dal garante.
Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. Sez. IV, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. IV, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. IV, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. IV, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. IV, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. IV, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. IV, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.
Pur non potendosi in astratto escludere che possa riscontrarsi abnormità anche in ipotesi nelle quali la condotta del lavoratore rientri nelle mansioni che gli sono proprie, ove la stessa sia consistito in un’azione radicalmente ed ontologicamente lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, qui la detta ipotesi, comunque, residuale, non ricorre.
Condivisamente questa Corte ha avuto modo di affermare reiteratamente l’estrema rarità dell’ipotesi in cui possa affermarsi che possa configurarsi condotta abnorme anche nello svolgimento proprio dell’attività lavorativa, escludendolo tutte le volte in cui il lavoratore commetta imprudenza affidandosi a procedura meno sicura, ma apparentemente più rapida o semplice, che non gli venga efficacemente preclusa dal datore di lavoro (Sez. IV, n. 952 del 27/11/1996; Sez. IV, n. 40164 del 3/672004; Sez. IV, n. 2614/07 del 26/10/2006).
La circostanza che l’autista abbia messo intempestivamente in movimento l’autocarro, dovuta a più ipotizzabili ragioni (erroneo convincimento che l’operazione di carico si fosse conclusa, improvvido bilanciamento frizione/acceleratore, accidentale azionamento, ecc.), non può costituire l’ipotesi invocata: si tratta, al contrario, di un tipica, e perciò prevedibile e prevenibile, avventatezza compatibilità con la serialità dei gesti lavorativi.
5.2. L’obbligo di formare ed informare al quale era tenuto, per delega, il T.F., non consta dagli atti sottoposti al giudizio di legittimità potersi intendere limitato a quanto definito nel DVR, anche se lo stesso fosse da considerare difettoso, trovando, invece, fonte negli attuali artt. 36 e 37 (sostanzialmente riproduttive delle previsioni previgenti). In altri termini, al predetto era stato assegnato uno dei compiti datoriali delegabili (quello di cui all’attuale art. 18, comma 1, lett. I) e il delegato aveva l’obbligo di organizzare la didattica antinfortunistica per tutti gli addetti, concernente tutte le tematiche settorialmente rilevanti. Ove l’imputato avesse fatto luogo all’azione doverosa omessa, che avrebbe portato ad acquisire piena consapevolezza delle modalità attraverso le quali caricare in sicurezza l’autocarro, l’evento non si sarebbe verificato, o avrebbe avuto conseguenze meno gravi.
5.2.1. Il secondo ed il terzo motivo, facenti perno sulla pretesa abnormità della condotta dell’autista, per quanto prima chiarito, non meritano accoglimento.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio, ai fini penali, la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso ai fini civili.
Così deciso in Roma il 26/11/2015.

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