Infortunio mortale di un apprendista installatore durante l’intervento riparatore in una piscina. Concorso di colpa del lavoratore al 50% ma assoluta inidoneità di strumenti e formazione necessari.
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 10/02/2016
Fatto
1. La Corte di Appello di Messina, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente M.V.U. e del coimputato M.V.I., con sentenza del 26.1.2015, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Patti, emessa in data 6.7.2011, dichiarava non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati in ordine ai reati di cui ai capi a) e b) perché estinti per prescrizione; assolveva M.V.I. dal reato di cui al capo c) per non aver commesso il fatto; rideterminava la pena per M.V.U. in ordine al reato di cui al capo c) in mesi 6 di reclusione e confermava a suo carico le statuizioni civili condannandolo al pagamento in favore della costituita parte civile delle spese di costituzione e difesa sostenute nel presente grado.
Il G.M. del Tribunale di Patti, giudicava M.V.U. e il coimputato M.V.I. per i seguenti reati:
A) reati di cui agli artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 21, 22, 89 comma 2 lett. a) e b) D.L.vo 626/94 perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso
• M.V.I. quale Amministratore Unico della BLUEMME S.r.l. -ditta incaricata dell’esecuzione dei lavori relativi al ripristino del funzionamento dell’idromassaggio e dei faretti subacquei di illuminazione della piscina di F.A., sita nella Omissis –
• M.V.U. quale Amministratore Unico della GIEMME G. G. S.a.s. e titolare dell’impresa individuale BLUEDIL – a sua volta incaricato della concreta esecuzione dei lavori predetti da parte di M.V.I.. Amministratore Unico della BLUEMME S.r.l. -. nella qualità di datori di lavoro, omettevano di dare ai propri dipendenti un’adeguata informazione su quanto elencato nell’art. 21 D.L.vo 626/94, nonché omettevano di fornire ai medesimi una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute – con particolare riferimento al posto di lavoro ed alle mansioni espletate da ciascun lavoratore – circostanze, queste, che concorrevano a provocare il reato di cui al capo C) che segue ai danni del lavoratore G.P.A..
Accertato in Patti (ME) il 23/08/2006.
B) reati di cui agli arti. 110, 81 cpv. cod. pen., 4 comma 5. lett. d) ed e), 35 comma 1, 37 lett. a), b), 38 lett. a), 89 D.L.vo 626/94 perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso.
• M.V.I. quale Amministratore Unico della BLUEMME S.r.l. – ditta incaricata dell’esecuzione dei lavori relativi al ripristino del funzionamento dell’idromassaggio e dei faretti subacquei di illuminazione della piscina di F.A., sita nella Omissis.
• M.V.U. quale Amministratore Unico della GIEMME G.G. S.a.s. e titolare dell’impresa individuale BLUEDIL – a sua volta incaricato della concreta esecuzione dei lavori predetti da parte di M.V.I., Amministratore Unico della BLUEMME S.r.l. nella qualità di datori di lavoro omettevano di fornire ai lavoratori i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione: omettevano di prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico; omettevano di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ovvero adattate a tali scopi ed idonee ai fini della sicurezza e della salute: omettevano di provvedere affinché per ogni attrezzatura di lavoro a disposizione, i lavoratori incaricati disponessero di ogni informazione e di ogni istruzione d’uso necessaria in rapporto alla sicurezza e relativa alle condizioni di impiego delle attrezzature anche sulla base delle conclusioni eventualmente tratte dalle esperienze acquisite nella fase di utilizzazione delle attrezzature di lavoro e relativa alle situazioni normali prevedibili; omettevano di assicurarsi che i lavoratori incaricati di usare le attrezzature di lavoro ricevessero una formazione adeguata sull’uso delle stesse, in relazione allo specifico intervento da eseguire: omissioni che concorrevano a provocare il reato di cui al capo C) che segue ai danni del lavoratore G.P.A..
Accertato in Patti (ME)23/8/2006
C) reato di cui agli artt. 1, 13, 589, commi 1 e 2 cod. pen. perché
• M.V.I. quale Amministratore Unico della BLUEMME S.r.l. -ditta incaricata dell’esecuzione dei lavori relativi al ripristino del funzionamento dell’idromassaggio e dei faretti subacquei di illuminazione della piscina di F.A., sita nella Omissis .
• M.V.U. quale Amministratore Unico della GIEMME G.G. S.a.s. e titolare dell’impresa individuale BLUEDIL – a sua volta incaricato della concreta esecuzione dei lavori predetti da parte di M.V.I., Amministratore Unico della BLUEMME S.r.l. -. nella qualità di datori di lavoro e di dirigenti:
per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di legge (segnatamente M.V.I. per avere affidato l’intervento in questione al fratello U. senza previamente essersi accertato dell’idoneità di quest’ultimo non abilitato all’esecuzione di lavori sugli impianti elettrici ai sensi della Legge n. 46/90. entrambi in violazione delle fattispecie di cui ai capi A) e B) che precedono), concorrevano a cagionare la morte di G.P.A., formalmente dipendente di M.V.U. dal 15 gennaio 2004 con la qualifica di apprendista installatore idraulico (da intendersi, di conseguenza, ai fini del rischio elettrico, come persona comune (PEC) che, per operare, avrebbe necessitato della sorveglianza di persone dotate di adeguata formazione dell’antinfortunistica elettrica, con il compito di fungere da tutori nei rispetto dell’art. 49 D.L.vo 276/2003), atteso che, in assenza di un’adeguata attività di informazione e di formazione, G.P.A. (privo di qualsiasi indumento e/o dispositivo di protezione personale, come, ad esempio, guanti isolanti, visiera di protezione, elmetto isolante, scarpe isolanti ecc.), nel corso del suo intervento dai contenuti prevalentemente di natura elettrica, omettendo con imperizia, imprudenza e negligenza di disattivare l’impianto elettrico della piscina prima di effettuare la riparazione, dopo avere aperto il pozzetto di ispezione del locale/cavedio sottostante la piscina, al fine di sostituire l’interruttore elettro/pneumatico di alimentazione dei motori dell’idromassaggio – ritenuto guasto – si distendeva sul pavimento della piscina introducendo le braccia e il capo all’interno del predetto cavedio, e dopo avere smontato l’interruttore guasto, con l’ausilio di una pinza metallica a pappagallo e di una tenaglia da carpentiere (del tutto inadeguati per l’espletamento di lavori di natura elettrica in quanto privi di manici isolati) tentava di innestare i contatti faston di un secondo e nuovo interruttore pneumatico simile, venendo colpito da una scarica elettrica che ne provocava il decesso, a seguito del contatto diretto tra gli attrezzi metallici predetti e i terminali del conduttore in tensione, a causa del mancato intervento dell’interruttore differenziale – risultato essere non funzionante – installato a protezione della linea di alimentazione apparecchiature piscina (circostanza, quest’ultima, da addebitare alla carenza di una corretta manutenzione dell’impianto elettrico della piscina da parte della BLUEMME S.r.l. di M.V.I., impianto che è stato, inoltre, accertato nelle sue parti costitutive non essere in condizioni tali da prevenire i pericoli derivanti da contatti accidentali con elementi in tensione: sono stati, infatti, riscontrati, tra le altre cose, difetti di cablaggio dei componenti elettrici, percorsi dei conduttori di collegamento non bene identificati, cassette di derivazione con il fondo asportato – quindi non a tenuta stagna e, pertanto, con i conduttori (spesso tranciati e con evidenti segni di acqua e di ruggine) a contatto con il cemento -, conduttori elettrici all’interno dei pozzetti non adeguatamente protetti, alcune cassette di derivazione non a tenuta stagna; l’impianto elettrico, inoltre, risulta essere stato installato da M.V.U. – quale A.U. della GIEMME G.G. S.a.s. – in modo non conforme alle Leggi n. 186/96 e n. 46/9, atteso che la ditta installatrice, in mancanza di un progetto – pur non obbligatorio nel caso di specie -. avrebbe dovuto predispone una relazione tecnica illustrativa, ai sensi dell’art. 7 L. 46/90. contenente le informazioni necessarie per il dimensionamento dell’impianto elettrico, nonché i riferimenti legislativi in materia di sicurezza per la prevenzione degli infortuni e avrebbe dovuto rilasciare apposita dichiarazione di conformità, come previsto dall’art.9 L.46/90). In Patti (ME) il 23/08/2006.
Il Tribunale, all’esito del giudizio, aveva dichiarato entrambi gli imputati colpevoli dei reati agli stessi ascritti e, riconosciuta la continuazione tra il delitto e le contravvenzioni in contestazione, condannava ciascuno, riconosciute le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla aggravante contestata nell’ambito del capo c) della rubrica, alla pena di mesi 6 di reclusione ed €. 3.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali; con pena sospesa e non menzione; con condanna al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, riconoscendo un concorso di colpa della vittima nella misura del 50%; con condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili.
Il giudice di primo grado, altresì, disponeva trasmettersi al PM copia degli atti affichè, alla luce del compendio probatorio acquisito, rivalutasse la cooperazione colposa nel reato o, comunque, la sussistenza di un’ipotesi autonoma di responsabilità dei proprietari della piscina, rigettando perciò la richiesta di provvisionale.
La Corte di Appello, invece, come detto, ha confermato la sola condanna per il reato sub c) e per il solo M.V.U..
2. Avverso tale ultimo provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, M.V.U., deducendo, l’unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Violazione dell’art. 606 co.l lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 41 cod. pen.
Il ricorrente deduce che la Corte di appello avrebbe ritenuto la condotta posta in essere dal lavoratore vittima dell’incidente, insufficiente ad interrompere il nesso causale che collega il decesso alla responsabilità dell’imputato.
La sua responsabilità sarebbe stata ravvisata per aver dato all’operaio, con qualifica di apprendista installatore, l’incarico di svolgere un intervento di riparazione in una piscina che richiedeva un’attività sull’impianto elettrico, estranea alla qualifica dell’operaio stesso.
Ritiene il ricorrente, invece, che fosse l’operaio stesso ad essere titolare di una posizione di garanzia sul posto di lavoro a tutela della propria sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul posto di lavoro.
Onere del G. sarebbe stato quello di ottemperare a semplici regole di condotta appartenenti all’uomo comune. Egli, invece, sarebbe venuto meno ad elementari norme di cautela e prevenzione che non appartengono all’operatore tecnico e qualificato, ma a qualsiasi soggetto dotato di un livello medio di scolarizzazione.
Il G. sarebbe deceduto solo ed esclusivamente per non aver disinserito l’interruttore generale della corrente elettrica prima di intervenire sul quadro elettrico dell’idromassaggio. Sarebbe stata unicamente tale condotta a determinarne la folgorazione.
Peraltro, si ricorda in ricorso come il consulente del P.M., nel corso del giudizio, avesse accertato che l’impianto non era a norma. E non a caso tale circostanza determinava il giudice di primo grado a riconoscere una percentuale di colpa a carico del proprietario della piscina.
La macroscopica violazione di regole elementari, da parte del lavoratore, secondo l’interpretazione della corte distrettuale, avrebbe determinato un’attribuzione allo stesso di un concorso di colpa pari al 50%, mentre la restante quota percentuale graverebbe sul datore di lavoro. Quest’ultimo, incaricando l’operaio privo delle necessarie competenze avrebbe violato la relativa norma cautelare, concorrendo nella determinazione dell’evento.
Non sarebbe comprensibile, tuttavia, secondo il ricorrente, quale specifica norma di cautela avrebbe dovuto essere osservata dall’imputato, in modo tale che il G. disinserisse l’interruttore generale e evitasse, quindi, il verificarsi dell’evento.
Il comportamento tenuto dal lavoratore sarebbe stato del tutto irragionevole, imprevedibile, abnorme e sopravvenuto, idoneo ad interrompere il nesso causale.
Chiede, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata.
Diritto
1. Il motivo di doglianza sopra illustrato appare infondato e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Il ricorrente incentra le proprie doglianze sulla circostanza che unica causa del decesso del G. sarebbe da rivenirsi nel suo comportamento assolutamente imprevisto ed imprevedibile costituito dall’avere effettuato il lavoro senza il previo distacco della corrente elettrica. Al più -si aggiunge- concorrerebbe con tale responsabilità quella del proprietario della piscina, in quanto quest’ultima non era a norma. Andrebbe, invece, esclusa la responsabilità del ricorrente per avere dato incarico al proprio operaio di compiere un lavoro che, con la normale diligenza, non ne avrebbe cagionato la morte.
Sul punto, tuttavia, già la Corte territoriale aveva fornito una risposta logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto.
I giudici del merito non hanno trascurato che ci si sia effettivamente trovati di fronte sia ad un comportamento imprudente del lavoratore, il quale non provvide ad interrompere l’energia elettrica prima di iniziare il lavoro, che al concomitante malfunzionamento del differenziale dell’impianto, il c.d. salvavita, che non ebbe a scattare.
Entrambi i giudici di merito- che pure riconoscono un concorso di colpa del lavoratore pari al 50 per cento e la possibile cooperazione colposa del proprietario della piscina- individuano correttamente un nesso di causalità tra l’evento verificatosi e l’avere il M.V.U. inviato il proprio dipendente, che aveva la qualifica di apprendista installatore e perciò non aveva dimestichezza e formazione tali da abilitarlo ad eseguire lavori su una piscina che implicassero contatti con apparecchiature elettriche. L’operaio, peraltro, non solo era privo della necessaria formazione e specializzazione, ma anche di strumentazione e di dispositivi di sicurezza atti al contatto anche eventuale con l’elettricità.
Non va trascurato, sul punto, che questa Corte di legittimità ha reiteratamente affermato che, in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cfr. ex multis questa sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321).
Soprattutto, poi, i giudici del merito hanno escluso che la condotta della vittima presentasse quelle caratteristiche di assoluta anomalia ed eccezionalità, tali da farlo rientrare nella categoria della abnormità e quindi da renderlo suscettibile di integrare una causa sopravvenuta idonea ad interrompere il rapporto di causalità.
3. La tesi difensiva è stata in larga parte incentrata sull’imprevedibilità dell’evento così come realizzatosi (mancata disattivazione dell’energia elettrica da parte del lavoratore, mancato funzionamento del differenziale, contatto tra gli strumenti da lavoro e le parti elettriche).
Tuttavia, va ricordato, che, come affermato nella recente sentenza delle Sezioni Unite n. 38343/2014 sul c.d. caso Thyssenkrupp, in tema di colpa, la necessaria prevedibilità dell’evento – anche sotto il profilo causale – non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (Cass. Sez. Un., n. 38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv. 261103 nella cui motivazione la Corte ha precisato che, ai fini della imputazione soggettiva dell’evento, il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo riferimento alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali).
Inoltre, è stato precisato che nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Cass. Sez. Un., n. 38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv. 261103; conf. sez. 4, n. 49707 del 4.11.2014, Incorcaia ed altro, rv. 263284; sez. 4, n. 22378 del 19.3.2015, PG in proc. Volcan ed altro, rv. 263494).
Nel caso che ci occupa, in cui si è andati ad intervenire su una piscina con idromassaggio, come si dirà anche in seguito, il rischio elettrico era del tutto prevedibile e lo era anche la circostanza che, inviando per l’intervento un operaio non del ramo, peraltro un apprendista, lo stesso potesse avere delle modalità di esecuzione del lavoro -com’è avvenuto- del tutto imprudenti.
4. La Corte territoriale confuta con argomentazione assolutamente logica la tesi difensiva secondo cui altro era il lavoro (di tipo esclusivamente idraulico) che era stato inizialmente richiesto e che aveva portato all’invio dell’operaio sul posto.
In particolare, particolarmente pregnante appare la considerazione che, anche ad accedere alla tesi difensiva – e quindi accettando l’ipotesi che il cliente avesse fatto richiesta di un intervento di un certo tipo (non implicante contatto con apparecchiature’ elettriche) e che, invece, ne fosse stato poi eseguito uno di tipo diverso o su iniziativa del lavoratore ovvero su richiesta estemporanea del cliente stesso – non si vede perché mai il dipendente avrebbe dovuto assumere iniziative senza informare previamente il datore di lavoro, né tanto meno il committente, che oltretutto avrebbe dovuto sopportare le maggiori spese degli ulteriori lavori.
Peraltro, si ricorda in motivazione che, al momento dell’esecuzione dell’intervento, in casa Omissis non si trovava alcuno dei membri della famiglia, ma era presente soltanto A.N., definita “amica di famiglia”, alla quale era stato detto soltanto di aprire il cancello perché sarebbe dovuto venire “qualcuno a sistemare l’idromassaggio”. E logica appare la considerazione che la A.N. non avrebbe mai preso l’iniziativa di incaricare l’operaio di svolgere compiti che non gli erano stati originariamente commissionati – né, viene ricordato, la stessa ha minimamente prospettato una cosa del genere – e ciò varrebbe, a maggior ragione, come rileva la Corte territoriale, anche qualora l’ambigua qualifica di “amica di famiglia” dovesse dissimulare un rapporto di lavoro non regolarizzato in qualità domestica. Viene anche ricordato, inoltre, che non è emerso in alcun modo che la vittima ebbe contatti diretti di altro tipo, ad esempio telefonici, con il cliente, il quale, tra l’altro, non risulta sapesse (né aveva ragione di ipotizzare) che sarebbe stato mandato proprio G. P. A. ad effettuare l’intervento richiesto).
Coerente appare, dunque, la conclusione di ritenere affidabile la ricostruzione dell’episodio formulata, in termini convergenti, dal F. e dai membri della sua famiglia ed a ritenere provato che G.P.A. eseguì quei lavori – e soltanto quelli – che era stato mandato a compiere, per esser stati commissionati dal proprietario della piscina.
Sul punto, nella motivazione del provvedimento impugnato viene anche ricordato che lo stesso M.V.U., in sede di spontanee dichiarazioni rese all’udienza del 6-7-2011, non ha per nulla sostenuto di aver ricevuto dal fratello M.V.I. – cui si era rivolto F. per richiedere l’intervento e che gli aveva passato la commessa – un’informazione diversa sulla tipologia dei lavori da eseguire.
Sicché, correttamente, l’ipotesi, meramente teorica, è stata ritenuta assumere la valenza di una illazione e si è concluso che il datore di lavoro inviò ad eseguire l’intervento, di cui doveva prevedere la pericolosità, il lavoratore privo delle necessarie competenze: e ciò costituisce in colpa l’imputato.
La Corte territoriale dà conto anche della circostanza emersa, per stessa ammissione dell’odierno ricorrente, di essere solito rivolgersi, quando c’erano lavori elettrici da fare, ad un elettricista di fiducia, tal C., evidenziando, tuttavia, come, proprio la possibilità di rivolgersi al soggetto esperto accentua il grado della colpa, non essendo dato sapere se M.V.U. inviò G.P.A., invece di chiamare C., per avere sottovalutato l’entità del rischio, per distrazione o per leggerezza, o anche se su tale scelta possa avere influito la difficoltà di reperire personale specializzato in pieno agosto. Logica e congruamente motivata, dunque, è l’affermazione che, in ogni caso, nei suoi confronti sia formulabile, sotto tale profilo, un rimprovero in termini di negligenza e/o imperizia.
5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile M.A.M., liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile M.A.M., liquidate in 2500,00 Euro oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma il 10 febbraio 2016