Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 23 aprile 2015, n. 9558

Infortunio mortale a seguito di contatto del braccio meccanico della gru con le linee di alta tensione. Responsabilità di un committente e di un coordinatore per l’esecuzione.


Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 23/04/2015

Fatto

Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di L’Aquila , in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova appellata dalla parte civile, dichiarava L.G., B.S. e S.F. responsabili ai soli effetti civili del reato loro ascritto e per l’effetto li condannava, in solido fra loro, al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separato giudizio.
2. Gli imputati, assolti in primo grado, erano stati tratti a giudizio per rispondere di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche, in particolare il L.G. nella sua qualità di committente dei lavori di ristrutturazione di un fabbricato dell’azienda vinicola “L.G. s.n.c” ed il B.S. in qualità di coordinatore per l’esecuzione dei lavori. Era stato loro addebitato di aver cagionato la morte di S.L. che intento ad azionare una gru, urtava con il carico del braccio meccanico contro le linee di alta tensione e decedeva sul colpo.
3. Avverso tale decisione ricorrono a mezzo dei rispettivi difensori:
3.1 B.S. deducendo la violazione degli artt. 605 e 606 lett. e) e 533 cod. proc. pen.; l’omessa valutazione della sentenza assolutoria di primo grado e comunque vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità; la violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza; la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 1 del decreto legislativo n. 494 del 1996.
3.2 L.G. deducendo parimenti la violazione degli artt. 605 e 606 lett. e) e 533 cod. proc. pen.; l’omessa valutazione della sentenza assolutoria di primo grado e comunque vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità; la violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato quello ritenuto in sentenza; la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 2 del decreto legislativo n. 494 del 1996.

Diritto

4. L’infortunio mortale è stato così ricostruito dai giudici di merito: il giorno 2 luglio 2003, durante i lavori di ristrutturazione di un fabbricato di proprietà dell’azienda vinicola “L.G. s.n.c.”, veniva imbracato alla gru manovrata da S.L. del materiale (fogli elettrosaldati) che, durante la movimentazione, a causa dell’oscillazione, urtava contro dei cavi elettrici dell’alta tensione, così provocando una fortissima scarica che conduceva a morte istantanea lo S.L..
– Gli odierni ricorrenti erano stati chiamati a rispondere delle seguenti condotte: – il L.G., quale committente dei lavori, non aveva verificato la corretta applicazione del piano di sicurezza e di coordinamento, con specifico riguardo ai rischi derivanti dalla presenza di linee elettriche e di cavi di alta tensione nel cantiere;
– Il B.S., quale coordinatore per l’esecuzione dei lavori aveva omesso di verificare che la ditta incaricata applicasse le disposizioni relative alla sicurezza, con particolare riguardo alla presenza dei predetti cavi di alta tensione.
5. I ricorsi che possono essere congiuntamente esaminati salvo che per le precisazioni che riguardano la specifica posizione dei ricorrenti, sono infondati.
Va premesso che l’impugnata sentenza ha accolto l’appello delle parti civili, richiamando in primo luogo il divieto di eseguire lavori a distanza inferiore a cinque metri dalle linee elettriche sancito dall’art. 11 d.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164 in vigore all’epoca dei fatti, per poi, conseguentemente considerare l’oggettiva pericolosità del cantiere che avrebbe dovuto imporre maggiori oneri di diligenza nel costituire le condizioni idonee a ridurre quanto più possibile il rischio consentito.
In linea generale deve quindi rilevarsi che le discussioni circa l’esatto svolgimento dell’incidente appaiono scarsamente significative se solo si considera che la norma cautelare violata dai due ricorrenti è quella che fa divieto di lavorare in prossimità di linee elettriche aeree, a distanza inferiore a quella minima prevista di cinque metri, da calcolarsi in relazione alla massima estensione che possono raggiungere i macchinari utilizzati, senza predisporre da parte di chi dirige i lavori una adeguata protezione atta a evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti ai conduttori delle linee stesse; era necessario o disattivare la linea stessa o creare adeguate protezioni, quali barriere ed ostacoli atte ad evitare contatti accidentali o pericolosi avvicinamenti come in effetti proprio avvenuto. La violazione di tale regola cautelare, rientrante nella specifica posizione di garanzia da essi rispettivamente rivestita, fonda la responsabilità di entrambi i ricorrenti, i cui rilievi in proposito non hanno fondamento.
Con un primo motivo di ricorso, comune ad entrambi i ricorrenti, questi deducono la violazione del principio secondo cui il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679). Detto principio è stato costantemente ribadito dopo il pronunziamento delle Sezioni Unite, premurandosi tra l’altro di precisare che il giudice dell’appello non può limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 254638), ma deve provvedere ad una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv. 242330) Applicando tali principi al caso in esame non sussiste la dedotta violazione. La Corte di appello, infatti dopo avere ricostruito i fatti, riassunto le motivazioni della sentenza di primo grado ed analizzato con cura gli elementi probatori acquisiti, ha puntualmente ed esaurientemente provveduto a confutarne gli elementi portanti giustificando in modo congruo e logico le ragioni della propria decisione, finendo così col giungere ad una diversa valutazione in punto di responsabilità degli odierni ricorrenti. Deve infatti osservarsi come La Corte abbia fondato la riforma della decisione di primo grado attribuendo rilievo dirimente all’oggettiva pericolosità del cantiere che imponeva misure di sicurezza ben più pregnanti della mera messa a disposizione della carrucola (circostanza valorizzata dal giudice di primo grado per pervenire alla pronuncia assolutoria).
Né può sostenersi, problematica parimenti affrontata da entrambi i ricorrenti, che il giudice di secondo grado, valorizzando profili non specificamente evidenziati nel capo di imputazione (ciò con precipuo riferimento alla violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 5 e6) sarebbe incorsa nella violazione del principio di necessaria correlazione tra la sentenza e la contestazione. Tale violazione non vi è stata alla luce di quella che risulta essere stata la contestazione formulata nei confronti degli odierni ricorrenti, delle ampie possibilità defensionali che questi hanno avuto, in relazione a tutti i profili di colpa addebitatigli. Non va del resto dimenticato che, per assunto pacifico, il principi di correlazione tra sentenza e accusa contestata è violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione,sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto così, a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto la possibilità di effettiva difesa. Tale principio non è invece violato quando nei fatti, contestati e ritenuti, si possa agevolmente individuare un nucleo comune e, in particolare, quando essi si trovano in rapporto di continenza (cfr., tra le tante, Sez. 4, 29gennaio 2007, Di Vincenzo). Ciò che nella specie deve ritenersi, non potendosi revocare in dubbio che l’imputato si sia trovato a rispondere della propria condotta, ritenuta colposa, senza che ne siano derivati pregiudizi per le sue scelte difensive. Del resto, decisivamente, per smentire la fondatezza della censura, va ricordato (con affermazioni di principio qui pertinenti) che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (se si fa, in altri termini, riferimento alla colpa generica), essendo quindi consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa.
Analogamente, non sussiste la violazione dell’anzidetto principio anche qualora, nel capo di imputazione, siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa ed il giudice abbia affermato la responsabilità dell’imputato per un’ipotesi di colpa diversa da quella specifica contestata, ma rientrante nella colpa generica, giacché il riferimento alla colpa generica, anche se seguito dall’indicazione di un determinato e specifico profilo di colpa, pone in risalto che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata, sicché questi è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione del fatto di cui è chiamato a rispondere, indipendentemente dalla specifica norma che si assume violata (Sez. 4, 16 settembre 2008, Tomietto). Quanto alla censura volta a prospettare l’interruzione del nesso causale basata sul comportamento della vittima (che avrebbe inopinatamente assunto l’iniziativa di mettersi alla guida del carrello elevatore), non tiene conto che, poiché le norme dì prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Peraltro, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia  causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (Sez. 4, 29 gennaio 2007, Di Vincenzo).
Quanto in particolare alla posizione del L.G. va ricordato come, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4 28/5//2013 n.37738, Gandolla Rv. 256635) in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è titolare “ex lege” di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti etc.) ed, anche in caso di designazione di altri soggetti, resta ferma la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza .
In merito alle doglianze mosse dal B.S. in ordine alla ritenuta posizione di garanzia, è sufficiente richiamare l’elenco degli obblighi gravanti sul coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ed in particolare quanto previsto dall’art. 5 lett. e) in relazione all’art.8 d. lgs. 14 agosto 1996, n.494 (Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), per desumerne la posizione di garanzia di tale figura professionale in relazione alla vigilanza circa la presenza di linee elettriche e dei cavi di alta tensione. La pronuncia impugnata ha correttamente applicato la normativa vigente, nel rispetto del principio interpretativo enunciato dalla giurisprudenza della Corte di legittimità, secondo il quale <> (Sez.4, n.44977 del 12/06/2013, Lorenzi, Rv.257167; Sez.4, n.37738 del 28/05/2013, Gandolla, Rv. 256637).
Giova, sul punto, ribadire anche che, in tema di prevenzione antinfortunistica, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori non è assegnato esclusivamente il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso cantiere, bensì anche quello di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle stesse delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori (Sez. 4, n.27442 del 04/06/2008, Garbaccio, Rv. 240961; Sez. 4, n.32142 del 14/06/2011, Goggi, Rv. 251177). Da ciò emerge come il coordinatore per l’esecuzione dei lavori sia titolare di un’autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalla legge, si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche (Sez.4, n.38002 del 09/07/2008, Abbate, Rv. 241217; Sez.4, n. 18472 del 04/03/2008, Bongiascia, Rv. 240393), e comprende, non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la loro effettiva predisposizione, nonché il controllo continuo ed effettivo sulla concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che esse siano trascurate o disapplicate, nonché, infine, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Sez. 4, n.46820 del 26/10/2011, Di Gloria, Rv. 252139). Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è dunque tenuto a verificare, attraverso un’attenta e costante opera di vigilanza, l’eventuale sussistenza di obiettive situazioni di pericolo nel cantiere, e tanto in relazione a ciascuna fase dello sviluppo dei lavori in corso di esecuzione.
Occorre, in ogni caso, precisare che, per verificare se un infortunio coinvolga la responsabilità del coordinatore per la sicurezza si devono analizzare le caratteristiche del rischio dal quale è scaturita la caduta; occorre, cioè, comprendere se si tratti di un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto, o se, invece, l’evento stesso sia riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione: in tale ultimo ambito è affidato al coordinatore per la sicurezza il dovere di alta vigilanza, che non implica la costante presenza nel cantiere con ruolo di controllo delle contingenti lavorazioni ma comporta certamente la verifica della conformità delle caratteristiche strutturali di base delle lavorazioni alle norme prevenzionistiche (Sez. 4, n.18149 del 21/04/2010, Cellie, Rv. 247536).
Nel caso di specie, la Corte ha logicamente tratto, dalla ritenuta pericolosità del cantiere, l’insorgenza a carico del coordinatore per la sicurezza del generico dovere, riferibile alla sua posizione funzionale, di procedere all’immediata adozione di tutte le cautele concretamente necessarie a impedire che l’esecuzione di attività lavorative in prossimità delle linee elettriche potesse costituire un possibile pericolo per i lavoratori ivi coinvolti, individuando un rischio evidentemente riconducibile alla omessa verifica della conformità delle caratteristiche strutturali di base delle lavorazioni alle norme prevenzionistiche. Le argomentazioni sin qui evidenziate valgono, pertanto, ad attestare l’infondatezza delle censure sollevate dal ricorrente avverso la sentenza impugnata con riguardo all’asserita mancata specificazione – sul piano della violazione di legge – degli obblighi cautelari individuabili come alternative di comportamento corretto omesse dall’imputato.
6. In conclusione risultando infondati i motivi proposti, i ricorsi qui in esame vanno rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali Così deciso nella camera di consiglio del 23 aprile 2015

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