Caduta dall’alto e infortunio mortale. Responsabilità di un datore di lavoro e di un RSPP.
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 30/09/2015
Fatto
1. Con l’impugnata sentenza resa in data 28 novembre 2014 la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Como in data 19 febbraio 2013, appellata dagli imputati. In particolare agli odierni ricorrenti era stato contestato il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche in danno del lavoratore C.N.
2. Avverso tale decisione ricorrono congiuntamente per cassazione a mezzo del difensore di fiducia G. Marco e G. Diego deducendo violazione di legge e mancanza e contraddittorietà di motivazione quanto alla affermazione di penale responsabilità in relazione alle testimonianze del fratello dell’infortunato, del Ca. e del P.; si censura altresì l’attribuzione della posizione di garanzia in capo ai coimputati per essere la vittima dipendente dallo stesso giorno dell’infortunio della sas di Ca. V. incaricata semplicemente della pulizia dell’area di cantiere, mentre i ricorrenti G. avevano assunto esclusivamente l’obbligazione dello smontaggio della gru; si censura altresì la gravata sentenza sotto il profilo del nesso causale dovendosi attribuire l’evento alla iniziativa autonoma della stessa vittima nonché in ordine al trattamento sanzionatorio.
3. L’INAIL ha depositato memoria difensiva chiedendo il rigetto del ricorso
Diritto
4. La dinamica dell’infortunio – su cui peraltro non sono state svolte sostanziali contestazioni – è ricavabile dal capo di imputazione. In particolare il lavoratore deceduto, incaricato di eseguire lo svuotamento del “cassone di zavorra” di una gru a torre concessa in uso dalla s.a.s. Immobiliare S. Apollonia di A. Paolo & c. a Ca. Vincenzo, titolare della L & C. costruzioni per eseguire opere di ristrutturazione ed ampliamento dell’abitazione della nipote A. Chiara, dopo essersi introdotto nello stesso, mediante l’uso di una scala portatile, precipitava a terra da un’altezza di circa tre metri, riportando lesioni che ne cagionavano il decesso.
Il giorno dell’infortunio – 8 ottobre del 2009 – le opere erano terminate, tanto è vero che il precedente 12 agosto, era stato stilato un verbale di chiusura e riconsegna del cantiere, con l’impegno da parte del Ca. di provvedere allo smontaggio ed alla asportazione della gru. Quest’ultimo aveva quindi appaltato detti incombenti alla ditta A.G.E. di G. Santino & c. Erano presenti in cantiere il giorno dell’episodio G. Marco ed il suo operaio P. Gaspar e C.N., inviato da Ca. Vincenzo che però non era presente.
Agli attuali ricorrenti, nelle rispettive qualità, G. Marco, di socio amministratore della A.G.E. ed esecutore materiale dei lavori di smontaggio della gru, G. Diego, quale delegato in materia antinfortunistica, sono state contestate numerose violazioni di norme sulla prevenzione degli infortuni.
Con i primi tre motivi di ricorso che possono essere esaminati congiuntamente i ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento in primo luogo alla circostanza che gli odierni ricorrenti non avrebbero “pienamente accettato” la collaborazione da parte del C.N.. Sul punto la gravata sentenza ha posto in rilievo come dalla lettura complessiva delle carte processuali (in particolare la Corte territoriale fa riferimento a quanto riferito dal fratello della vittima) si intuisce chiaramente, nonostante gli imputati lo neghino, che il Ca. aveva mandato C.N. sul cantiere non – o non solo – per le operazioni di pulizia, ma appositamente per coadiuvare la ditta AGE nelle operazioni di smontaggio, ritenendo pertanto che i G. avessero acconsentito ad accettare l’appalto a condizione che Ca. fornisse anche un aiuto da parte del suo personale. A fronte di tale impostazione i ricorrenti si limitano a riportare la testimonianza del Ca., in tesi travisata, ma in realtà già valutata dalla sentenza impugnata come sostanzialmente coerente con le altre risultanze. Ed invero lo stesso Ca., pur riferendo che il C.N. era stato da lui inviato presso il cantiere per lavori di pulizia e di sgombero, ha precisato che è normale che deve togliere la gru per pulire. Del resto il giorno dell’infortunio l’imputato G. Marco era presente in cantiere né risulta che lo stesso si sia esplicitamente opposto all’intervento ed alla collaborazione del C.N..
I ricorrenti si soffermano poi sulla testimonianza del P. assumendone anche in questo caso il travisamento da parte della Corte distrettuale.
Occorre a riguardo ricordare che è ripetutamente affermato, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, che il vizio di travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, essere superato il limite costituito dal devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837; Sez.4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636), il che non è avvenuto nel caso di specie.
In buona sostanza quindi i vizi denunciati sotto il profilo del travisamento della prova attengono in realtà a questioni attinenti all’apprezzamento probatorio e tesi ad ottenerne una diversa valutazione, censure no ammissibili in questa sede.
Quanto alla posizione di garanzia degli imputati va ulteriormente ricordato che in caso di infortunio sul lavoro, è sempre stato ammesso che possano aversi “intrecci di responsabilità” coinvolgenti i vari soggetti interessati all’appalto (v. sul punto, Sezione 4, 17 gennaio 2008, n. 13917, Cigalotti ed i riferimenti in essa contenuti, Rv. 239590, 239591) come può desumersi dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, laddove si pongono gli specifici obblighi del datore di lavoro in caso di affidamento dei lavori, all’interno dell’azienda, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi. Il datore di lavoro, in tal caso, è tra l’altro tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione ed a fornire alle imprese appaltatrici ed ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro. Può anzi ben dirsi che tali obblighi comportamentali determinano a carico del datore di lavoro una posizione di garanzia e di controllo dell’Integrità fisica anche del lavoratore dipendente dell’appaltatore e, a fortiori, del lavoratore autonomo operante nell’Impresa (cfr. la citata sentenza Cigalotti). Si tratta, come si vede, di una normativa molto rigorosa, che dimostra con chiarezza l’intendimento di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente “estensione” dei soggetti onerati della relativa “posizione di garanzia” nella materia prevenzionale allorquando l’omessa adozione delle misure antinfortunistiche prescritte risulti la conseguenza del rilevato omesso coordinamento. La sentenza impugnata ha applicato correttamente i suddetti principi e resta pertanto esente da censure.
Quanto in particolare alla posizione di G. Diego, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il ricorso non formula specifici motivi di censura; va comunque ricordato che Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012,Rv. 254094 ) svolge una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma è priva di autonomia decisionale: esse, tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti, con distinti ruoli e competenze.
Tale figura non è destinataria in prima persona di obblighi sanzionati penalmente; e svolge un ruolo non operativo, ma di mera consulenza. L’argomento non è tuttavia di per sé decisivo ai fini dell’esonero dalla responsabilità penale. In realtà, l’assenza di obblighi penalmente sanzionati si spiega agevolmente proprio per il fatto che il servizio è privo di un ruolo gestionale, decisionale. Tuttavia quel che importa è che il RSPP sia destinatario di obblighi giuridici; e non può esservi dubbio che, con l’assunzione dell’incarico, egli assuma l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni che si sono viste.
D’altra parte, il ruolo svolto dal RSPP è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro e la sua attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell’evento illecito.
Parimenti infondato gli ulteriori motivi di gravame. Le sentenze di merito appaiono infatti, congruamente motivata in relazione a tutti i profili di interesse, con corretta applicazione dei principi in tema di nesso di causalità. In particolare, a base dell’affermato giudizio di colpevolezza i giudici d’appello hanno escluso il comportamento abnorme della persona offesa.
Osserva a riguardo la Corte: è principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, che il sistema prevenzionistico mira a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, per cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (tra le altre, Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011. Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n.7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Fani, Rv. 232421). Più recentemente questa Corte ha avuto modo di rilevare che in tema di infortuni sul lavoro, non integra il “comportamento abnorme” idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest’ultimo di un’operazione che, seppure imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni à lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, Rv. 259313).
Inammissibili infine le doglianze formulate in relazione al trattamento sanzionatorio, atteso che la Corte distrettuale ha peraltro evidenziato come lo stesso si sia benevolmente attestato verso i minimi e comunque ben al di sotto della media del range edittale.
Del resto la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittali rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, qualora il giudice abbia adempiuto all’obbligo di motivazione: obbligo che nella specie risulta essere stato ampiamente assolto
5. I ricorsi vanno pertanto rigettati; ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore delle parti civili e dell’INAIL delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali; li condanna inoltre, in solido, a rimborsare alle parti civili le spese sostenute per il presente giudizio che liquida in complessivi € 2500,00 oltre accessori come per legge, in favore dell’INAIL ed in € 5.000,00 complessivi, oltre accessori come per legge alle parti civili assistite dall’avvocato Omissis.
Così deciso nella camera di consiglio del 30 settembre 2015