Cancro alla laringe: vizio del fumo o malattia professionale.
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BLASUTTO DANIELA
Data pubblicazione: 04/03/2016
Fatto
1. Con sentenza depositata il 4 maggio 2011 la Corte di appello di Bologna, accogliendo l’appello proposto dall’INAIL, rigettava la domanda proposta dagli eredi di T.P. diretta all’accertamento del diritto del de cuius alla rendita per malattia professionale e alla condanna dell’Istituto al pagamento dei ratei maturati dall’l 1.12.98 fino al decesso dell’assicurato.
2. La Corte di appello aderiva alle conclusioni rassegnate dal C.t.u nominato, secondo cui il T.P., “saldatore/posatore di tubi per costruzione di metanodotti”, deceduto per cancro alla laringe, aveva contratto la malattia per la “provata pregressa abitudine al fumo”, la quale comporta un aumentato rischio di tumore alla laringe almeno nove volte superiore a quello di un non fumatore, mentre non vi era riscontro, nella letteratura scientifica, di un aumento del rischio in dipendenza dello svolgimento di attività lavorative del genere di quella svolta dal T.P.. Su tali basi la sentenza concludeva che lo svolgimento dell’attività di saldatore non aveva svolto un ruolo causale o concausale nell’insorgenza della malattia, precisando che il Consulente d’ufficio aveva altresì validamente replicato, in sede di chiarimenti scritti, alle critiche formulate da parte appellata, prendendo in esame e rispondendo analiticamente a tali censure.
3. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso gli eredi T.P. con tre motivi. Resiste l’INAIL con controricorso.
Diritto
1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 196 cod. proc. civ., in relazione alla disposta rinnovazione delle operazioni peritali, per non avere il C.t.u. risposto completamente al quesito sottopostogli, avendo omesso ogni indagine opportuna in ordine alla specifica attività svolta quale saldatore “pipeline” (“attività che consiste nel collegare tra loro estremità di grossi tubi in acciaio, ricoperti di vernice, che al momento della saldatura si disperde nell’ambiente circostante…”).
2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 195 cod. proc. civ. per non avere il C.t.u. riportato nella relazione peritale le osservazioni critiche delle parti, con conseguente nullità della stessa.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 63 cod. proc. civ. per avere la Corte di appello nominato un consulente che aveva intrattenuto, negli anni, una serie di rapporti professionali con l’INAIL.
4. Il ricorso, in tutte le sue articolazioni, è destituito di fondamento.
5. Il primo motivo è inammissibile, non essendo stato chiarito in quale modo la sentenza avrebbe violato l’art. 196 cod. proc. civ. Il motivo, nella sostanza, si incentra sul presunto omesso approfondimento della natura delle mansioni specifiche svolte dall’assicurato. Tuttavia, la questione – che è di fatto e non di diritto, afferendo la denuncia più propriamente ad un’ipotesi di vizio di motivazione – è prospettata con un motivo carente delle indicazioni necessarie in relazione alle previsioni di cui all’art. 366 nn. 3, 4 e 6 cod. proc. civ..
5.1. In tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l’ha recepita) ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti e conclusioni del consulente d’ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono pertanto possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso (Cass. n. 13845 del 2007, v. pure Cass. n. 3224 e 16368 del 2014). Deve in particolare escludersi che la precisazione possa consistere in generici riferimenti ad alcuni elementi di giudizio, meri commenti, deduzioni o interpretazioni, traducentisi in una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 17369 del 2004, confi Cass. n. 21090 del 2004, n. 79 del 2006, n. 9254 del 2007; v. Cass. n. 13845 del 2007).
6. Anche il secondo motivo è inammissibile, non essendo trascritta la relazione peritale di cui si lamenta la nullità; dunque difettano i requisiti di cui all’art. 366 cod. proc. civ.. In ogni caso, a differenza dell’ipotesi di omessa comunicazione da parte del consulente tecnico d’ufficio alle parti o ai loro consulenti del luogo, del giorno e dell’ora dell’inizio delle operazioni peritali, che incide sull’esercizio del diritto di difesa, con la conseguenza che la consulenza tecnica viene ad essere affetta da nullità (peraltro relativa, e perciò deducibile soltanto nella prima udienza o difesa successiva al deposito della relazione peritale), non è, invece, comminata alcuna nullità per il fatto che il consulente tecnico ometta di trascrivere le osservazioni formulate dalle parti o dai loro consulenti tecnici, essendo sufficiente che tali osservazioni siano state prese in considerazione (Cass. n. 14489 del 2001,n. 3680 del 1999). Nella specie, non è neppure dedotto che le considerazioni svolte dal C.t. di parte non fossero state tenute presenti dal C.t.u.. Risulta, inoltre, dalla sentenza impugnata che il C.t.u. ebbe a fornire anche chiarimenti scritti in replica ai rilievi mossi dalla parte appellata a seguito del deposito della relazione peritale.
7. Infine, è inammissibile pure il terzo motivo, in quanto la mancanza di imparzialità del consulente tecnico d’ufficio può essere fatta valere esclusivamente mediante lo strumento della ricusazione, nel termine di cui all’art. 192 cod. proc. civ. (Cass. n. 12822 del 2014).
8. In conclusione, il ricorso va respinto.
9. Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio, ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo anteriore all’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326, nella specie inapplicabile ratione temporìs. Infatti, le limitazioni di reddito per la gratuità del giudizio introdotte da tale ultima norma non sono applicabili ai processi il cui ricorso introduttivo del giudizio sia stato depositato, come nella specie, anteriormente al 2 ottobre 2003.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2015