Infortunio durante la pulizia del macchinario. Delega inesistente.
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO
Data Udienza: 03/11/2015
Fatto
1. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di G.F. avverso la sentenza emessa in data 19.5.2014 dalla Corte di appello di Firenze che confermava quella in data 12.3.2013 del Tribunale di Prato con cui il predetto era stato condannato alla pena di mesi uno di reclusione per il reato di cui agli artt. 113, 590, commi 1, 2, 3 c.p. in relazione all’art. 583 c.p. per aver cagionato con colpa generica e violazione delle norme poste a tutela degli infortuni sul lavoro, lesioni personali consistite nello schiacciamento del 3° e 4° dito della mano destra a C.A.M. (fatto del 19.2.2007).
In particolare, al G.F., quale consigliere delegato della ditta “Cotonificio L. s.r.l.”, datore di lavoro di C.A.M., era contestato di aver, per colpa consistita nel non aver provvisto l’apparecchio di protezione amovibile degli organi lavoratori della macchina Carda tipo Marzoli di un dispositivo di blocco collegato con gli organi della messa in moto e di movimento della macchina tale da impedire di rimuovere il pannello di plexiglass quando la macchina è in moto (art. 72 d.P.R. n. 547/1955), cagionato al dipendente C.A.M. -il quale, mentre stava effettuando la pulizia della macchina Carda, mettendola in moto e aprendo lo sportello di plexiglass e soffiando con la canna dell’aria compressa, un pò di peluria gli arrivava negli occhi e, nel tentativo di pulirseli con la mano destra, veniva a contatto con la “botte” le cui punte dentate trascinavano la mano sotto la protezione- lesioni personali consistite in un “trauma da schiacciamento del 2°, 3° e 4° dito mano destra”, da cui derivava una malattia di durata di oltre 40 giorni.
2. Deduce il vizio motivazionale:
2.1. laddove non era stata considerata la deposizione del teste F., dipendente della ASL 22 di Prato, giunto per il sopralluogo, che contraddiceva la versione dei fatti della persona offesa su cui si era basato il verdetto di responsabilità della Corte territoriale;
2.2. laddove era stata ritenuta acclarata l’amovibilità della protezione solo perché per presunta prassi, il dipendente avrebbe smontato i pezzi della macchina in occasione delle operazioni di pulizia, senza accertare se tale comportamento fosse consono alle disposizioni impartite dal titolare, sig. G.F.;
2.3. laddove non era stata riconosciuta l’esistenza di una valida delega in capo al sig. V., trascurando quanto aveva riferito sul punto l’imputato.
Diritto
3. Quanto alla prima censura, peraltro nemmeno dedotta in sede di appello, il ricorso è carente di autosufficienza, dal momento che non riporta per esteso le dichiarazioni rese dal teste F., di cui tace la sentenza impugnata: il principio di c.d. autosufficienza del ricorso, costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., dalla giurisprudenza civile, ma che trova applicazione anche nell’ambito penale, implica che, quando si lamenti la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi o allegazione di copia integrale di essi in modo da rendere possibile il completo apprezzamento del vizio dedotto (cfr. Cass. pen. Sez. IV, 26.6.2008 n. 37982 Rv. 241023; Sez. I, 22.1.2009, n. 6112, Rv. 24322).
E’ palese la sostanziale aspecificità (cfr. Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109) delle ulteriori censure che hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione compiuta e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile su tutti i punti oggetto dei vari motivi di ricorso di cui il ricorrente non sembra aver tenuto alcun conto, adducendo, per lo più, alternative spiegazioni delle argomentazioni offerte dalla Corte territoriale per contrastare le argomentazioni difensive rappresentate in appello ed in particolare della circostanza secondo cui la p.o. aveva seguito una prassi consolidata di togliere la protezione di plexiglass, che era, quindi, abitualmente amovibile, senza che fosse stato inserito alcun dispositivo di blocco del motore, in violazione dell’art. 72 dPR 547/55 ma anche della più banale regola di prudenza e perizia.
Peraltro, le censure si risolvono in deduzioni in punto di fatto insuscettibili, come tali, di aver seguito nel presente giudizio di legittimità, anche perché la motivazione della impugnata sentenza si sottrae ad ogni sindacato per le connotazioni di coerenza, di completezza e di razionalità dei suoi contenuti: in particolare si è rilevata l’assenza di qualsiasi delega formale (e quindi scritta) in materia di sicurezza, tale, cioè, da poter essere giudizialmente accertata, non potendosi nemmeno ritenere la sufficienza di una delega di fatto direttamente al V., non risultando, peraltro, dimostrate sia le notevoli dimensioni dell’azienda sia la suddivisione in ordine agli oneri di controllo e di vigilanza.
4. Il decorso del termine prescrizionale di sette anni e sei mesi, intervenuto successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata, come ripetutamente affermato da questa Corte, non consente la declaratoria di estinzione del reato per la detta causa, in considerazione della sopra rilevata causa d’inammissibilità del ricorso.
5. Consegue l’inammissibilità del ricorso e, con essa, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si ritiene equo determinare in euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Segue, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione in favore della costituita parte civile C.A.M. delle spese sostenute per questo giudizio di cassazione e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio di cassazione da C.A.M. liquidate in € 2.500,00 oltre accessori secondo legge.
Così deciso in Roma, il 3.11.2015