Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 marzo 2016, n. 5527

Computo del periodo di comporto: periodi di assenza per malattia professionale e periodi di assenza per malattia generica.


Presidente: VENUTI PIETRO Relatore: ESPOSITO LUCIA Data pubblicazione: 21/03/2016

Fatto

l. Con sentenza del 28 febbraio 2013 la Corte d’appello dì Potenza ha confermato la decisione dì primo grado che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato a B.G. dalla Comunità Montana Camastra Alto Sauro per superamento del periodo di comporto. Ha condannato, altresì, la convenuta alla reintegra nel posto di lavoro, oltre al risarcimento di danni.
2.1 giudici del merito interpretavano la disciplina collettiva di settore (artt. 21 e 22 CCNL del 6/7/1995 relativo al comparto autonomie locali) nel senso che i periodi di assenza per malattia professionale devono essere tenuti distinti da quelli per malattia generica, senza possibilità di procedere ad una unificazione ai fini del computo del periodo di comporto.
3. Per la cassazione della sentenza la Comunità Montana Camastra Alto Sauro propone ricorso, illustrato con memorie, sulla base di unico motivo. Il B.G. resiste con controricorso.

Diritto

1. Devono essere esaminate, preliminarmente, le questioni poste dal B.G. con il controricorso.
2. In primo luogo, il controricorrente deduce improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c. c. 2 n. 4) per non avere la ricorrente depositato il contratto collettivo recante la normativa regolante la materia controversa – inammissibilità ex art 366 n. 6 per la mancata specifica indicazione nel ricorso degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso sì fonda. Rileva, inoltre, inammissibilità ex art. 366 n. 6 per la mancata specifica indicazione nel ricorso degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, osservando che in nessuna parte del ricorso è fatta menzione dei dati necessari al reperimento dei documenti (nella specie del contratto o di contratti collettivi) posti a fondamento delle censure.
3. I rilievi sono infondati. Si verte, infatti, in tema di contratti collettivi di diritto pubblico nell’ambito dei quali, in considerazione del peculiare procedimento formativo, del regime di pubblicità, della sottoposizione a controllo contabile della compatibilità economica dei costi previsti, l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice deve intendersi già assolta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 47, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23329 del 04/11/2009, Rv. 610382). Non operano, pertanto, gli indicati oneri di produzione e specificazione.
4. Il controricorrente denuncia, inoltre, “indeterminatezza della domanda – errata indicazione del contratto collettivo le cui norme si assumono violate o falsamente applicate”. Rileva che il ricorso è da ritenere nullo perché è dedotta tanto la violazione degli artt. 21 e 22 CCNL autonomie locali del 1996, quanto la contemporanea violazione di distinti accordi collettivi, tra l’altro lontani nel tempo.
5. Anche tale rilievo è infondato, poiché nessuna incertezza può derivare dal riferimento in ricorso a due distinti contratti collettivi, dei quali il secondo citato solo per avvalorare l’interpretazione offerta del primo, l’unico la cui interpretazione è stata in concreto invocata.
6. Passando all’esame del ricorso, con l’unico motivo il ricorrente deduce “art. 360, 1° comma n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione di norme ( disposizioni) dei contratti collettivi nazionali di lavoro (artt. 21 e 22 del CCNL autonomie locali del 15/3/1995-6/7/1996; artt. 17 e 18 del c.c.n.l. del 29/4/1983) approvato con D.P.R. n. 347/1983) e di norme di diritto ( artt. 2120, 1363, 1366, 1369 e 1371 c.c.). Art. 360 2° c. n. 5 c.p.c.: omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Rileva che la Corte territoriale aveva errato nell’interpretazione della disciplina delle assenze per malattia prevista dalla citata contrattazione, vigente all’epoca del recesso, poiché, come poteva evincersi dalla lettura delle disposizioni riportate, il c.c.n.l. non distingue ai fini dell’integrazione del limite massimo del periodo di comporto tra le assenze per malattia generica e le assenze per infortuni o malattie dipendenti da cause di servizio, le quali, pertanto, devono cumularsi. Ciò che rileva, pertanto, è che non venga superato il limite complessivo di trentasei mesi di assenze per malattia, oltre il quale è esperibile la risoluzione del rapporto.
7. Va premesso che, secondo l’orientamento espresso da questa Corte sul punto, al quale il Collegio intende dare continuità “la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. cod. civ.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti” (Sez. L, Sentenza n. 6335 del 19/03/2014, Rv. 630019).
8. Si riportano, pertanto, ai fini del compimento dell’operazione ermeneutica di cui sopra, le disposizioni della disciplina collettiva richiamate, per le parti che in questa sede interessano:
Art. 21- Assenze per malattia
1. Il dipendente non in prova, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l’ultimo episodio morboso in corso,
2. Superato il periodo previsto dal comma 1, al lavoratore che ne faccia richiesta può essere li concesso dì assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi.
3. Prima di concedere l’ulteriore periodo di assenza di cui al comma 2, l’amministrazione procede, su richiesta del dipendente, all’accertamento delle sue condizioni di salute, per il tramite della unità sanitaria locale competente ai sensi delle vigenti disposizioni, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro.
4. Superati i periodi di conservazione del posto previsti dai commi 1 e 2, nel caso che il dipendente sia riconosciuto idoneo a proficuo lavoro ma non allo svolgimento delle mansioni del proprio profilo professionale, l’amministrazione, compatibilmente con la sua struttura organizzativa e con le disponibilità organiche, può utilizzarlo in mansioni equivalenti a quelle del profilo rivestito, nell’ambito della stessa qualifica oppure, ove ciò non sia possibile e con il consenso dell’interessato, anche in mansioni proprie di profilo professionale ascritto a qualifica inferiore. Dal momento del nuovo inquadramento, il dipendente seguirà la dinamica retributiva della nuova qualifica senza nessun riassorbimento del trattamento ¡n godimento.
Ove non sia possibile procedere in tal senso, oppure nel caso che il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l’Amministrazione può procedere alla risoluzione de! rapporto corrispondendo al dipendente l’indennità sostitutiva del preavviso.
Art. 22 – Infortuni sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio
1. In caso di assenza dovuta ad infortunio sul lavoro o a malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio, il dipendente ha diritto alla conservazione del posto fino alla guarigione clinica e comunque non oltre il periodo previsto dall’art. 21, commi 1 e 2. In tale periodo al dipendente spetta l’intera retribuzione di cui all’ art. 21, comma 7, lettera a), comprensiva del trattamento accessorio come determinato nella tabella n. 1 allegata al presente contratto.
2. Decorso il periodo massimo di conservazione del posto, trova applicazione quanto previsto dal comma 4 dell’art. 21. Nei caso in cui l’amministrazione decida di non procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro prevista da tale disposizione, per l’ulteriore periodo di assenza al dipendente non spetta alcuna retribuzione.
3. Nulla è innovato per quanto riguarda il procedimento previsto dalie vigenti disposizioni per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità, per la corresponsione dell’equo indennizzo e per la risoluzione del rapporto di lavoro in caso di inabilita permanente.
9. Dal senso letterale delle parole e dalla lettura complessiva del testo, il quale non fa menzione di distinti periodi di comporto, ma si limita a richiamare per l’ipotesi di infortunio e malattia dovuta a cause di servizio il periodo di conservazione del posto previsto per le assenze per malattia, emerge che le due disposizioni fanno riferimento entrambe, ai fini dell’integrazione del limite massimo del periodo di comporto, al tetto complessivo dei trentasei mesi di assenza, oltre il quale sorge per il datore di lavoro la facoltà di risoluzione del rapporto. D’altra parte, una difforme interpretazione, che consentisse il raddoppio fino al raggiungimento del limite dei sei anni per le due ipotesi di assenza sarebbe incongrua, anche in ragione della durata eccessiva del periodo di assenza complessivamente consentito, che finirebbe per snaturare la stessa funzione della previsione attinente al comporto.
10. Da quanto affermato discende la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice del merito che si atterrà all’interpretazione delle disposizioni collettive come in precedenza enunciata, provvedendo anche sulle spese dei giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari.
Così deciso in Roma il 27/1/2016

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