Riconoscimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in relazione ad un infortunio sul lavoro. Diversa causa petendi.
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: DE MARINIS NICOLA
Data pubblicazione: 23/03/2016
Fatto
Con sentenza del 28 dicembre 2012, la Corte d’Appello di Catanzaro, dichiarava inammissibile l’appello proposto da F.S. avverso la decisione con cui il Tribunale di Cosenza aveva rigettato, per intervenuta prescrizione del diritto, la domanda dal medesimo proposta nei confronti di O.C., suo datore di lavoro, avente ad oggetto il riconoscimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in relazione all’infortunio sul lavoro occorsogli.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto domanda nuova quella formulala in sede di gravame, in quanto tesa a prospettare un responsabilità contrattuale del datore, laddove, in prime cure, la domanda risultava fondata sulla diversa causa petendi data dalla invocata responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 c.c.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il F.S., affidando l’impugnazione a due motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, il O.C..
Diritto
Con i due motivi su cui si articola la proposta impugnazione, l’uno inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., l’altro il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente, a fronte della dichiarata inammissibilità della domanda in quanto fondata in sede di gravame su una causa petendi – la responsabilità contrattuale del soggetto datore – difforme da quella prospettata in prime cure, che aveva a riferimento la responsabilità da fatto illecito del soggetto medesimo, rileva, a carico della Corte territoriale, il travisamento dell’atto introduttivo del giudizio, incentrato sul riferimento alla responsabilità contrattuale del datore, laddove l’unico richiamo alla violazione del generale principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. è esterno all’atto stesso ed alle conclusioni ivi rassegnate per essere contenuto in una dichiarazione riportata in un verbale di udienza e, comunque, la mancata considerazione dell’ammissibilità dell’esercizio cumulativo delle due azioni in ragione della concorrenza, in ipotesi di infortunio sul lavoro, di entrambe le responsabilità in capo al datore. L’impugnazione proposta, come articolata sui due motivi sopra riportati, che in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, deve ritenersi infondata, aldilà dell’eccepita inammissibilità della stessa, connessa alla proposizione del ricorso oltre il previsto termine annuale, per aver il ricorrente compreso al suo interno il periodo di sospensione feriale non computabile nel rito del lavoro, secondo il quale il giudizio si era
svolto pur essendo stato introdotto con citazione secondo il rito civile ordinario, per il mutamento del rito sancito dal giudice di prime cure.
In effetti, per quanto debba concordarsi sul rilievo del ricorrente per cui l’azione del lavoratore avente ad oggetto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in relazione all’infortunio sul lavoro occorsogli possa includere, quale causa petendi, tanto la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. quanto quella contrattuale ex art. 2087 c.c. a carico del datore, è indubbio come, nella specie, l’opzione, già operata dal ricorrente con la scelta delle forme del rito ordinario per l’introduzione del giudizio e, poi, a fronte dei rilievi in materia di rito sollevati dall’odierno resistente, espressamente confermata nel corso del giudizio a favore della qualificazione come extracontrattuale della responsabilità datoriale fondante la pretesa azionata, risulti preclusiva dell’impugnazione con cui la parte interessata intenda conseguire la riforma della pronunzia di estinzione del diritto per intervenuta prescrizione resa dal primo giudice a motivo appunto dell’operata opzione, basando la richiesta sulla causa petendi alternativa della responsabilità contrattuale del datore che, ove sin dall’origine individuata come reale causa petendi dell’azione, sarebbe valsa di per sé a scongiurare l’esito negativo della pronunzia di primo grado, non potendosi certo consentire l’invocazione dell’una o dell’altra possibile causa petendi a seconda dell’eccezione che al momento sia utile contrastare.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art,13, comma 1 quater del d.P.R. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 dicembre 2015.