Infortunio di un lavoratore “in nero” ustionato all’occhio a seguito di uno schizzo di calce viva.
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MENICHETTI CARLA
Fatto
1. La Corte d’Appello di Brescia con sentenza in data 20.1.2015 dichiarava estinto per prescrizione il reato di lesioni colpose gravi ascritto a S.GM. in relazione all’infortunio sul lavoro occorso ad H.A., confermando la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
2. Nell’esaminare il fondamento dell’azione civile proposta dal lavoratore infortunato la Corte rilevava in primo luogo come dalla documentazione medica risultasse acclarato che l’H.A. aveva subito una grave ustione all’occhio sinistro provocata da uno schizzo di calce viva e riteneva raggiunta la prova che l’infortunio si era verificato mentre questi stava lavorando “in nero” per il S.GM., sprovvisto dei prescritti occhiali protettivi, e ciò in base alle dichiarazioni rese dalla stessa parte civile, che aveva indirizzato gli ispettori del lavoro su un luogo ben preciso (via Omissis) ove al tempo del sinistro era stato realmente aperto un cantiere edile, al fatto che era stato soccorso presso un ospedale vicino a quel luogo e molto distante invece dalla sua abitazione (circostanza che escludeva un incidente domestico), ed alle dichiarazioni rese dal teste Omissis, che aveva messo in contratto l’H.A., sapendolo in cerca di un’occupazione lavorativa, con il S.GM..
3. Propone ricorso l’imputato in proprio per manifesta illogicità della motivazione dal momento che i giudici di merito non avevano valutato correttamente quanto messo in evidenza dal ricorrente, che cioè l’H.A. non aveva mai lavorato presso il cantiere di Omissis.
Diritto
4. Il ricorso è inammissibile.
Il S.GM. deduce vizio di motivazione rappresentando che nel processo era emerso con evidenza che l’H.A. non aveva mai lavorato presso il suo cantiere edile, circostanza che imponeva non già una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili, ma una pronuncia ampiamente assolutoria.
La censura è manifestamente infondata, avendo la Corte di Brescia confermato in maniera del tutto corretta e congrua la costruzione accusatoria ritenuta dal primo giudice, con ampie e approfondite argomentazioni, valorizzando, come già detto: la documentazione medica che aveva individuato la causa della ustione all’occhio sinistro in uno schizzo di calce viva; le dichiarazioni della parte offesa, che nel corso del dibattimento, con l’assistenza di un interprete, aveva riferito di essersi procurato la lesione mentre lavorava, alle dipendenza del S.GM., in un cantiere edile sito in Omissis, in particolare mentre era intento ad una operazione di miscelazione della calce effettuata in un secchio per mezzo di un “trapano” (utensile innestato su un attrezzo portatile dalla estremità rotante, comunemente usato in edilizia); la vicinanza dell’ospedale di Seriate, ove l’H.A. venne ricoverato, a Omissis (appena 5 km) e la ben maggiore distanza (circa 40 km) dal paese di Parre, ove egli abitava all’epoca dell’infortunio, molto più prossima all’ospedale di Bergamo, ove si sarebbe ragionevolmente recato in caso di incidente domestico; la circostanza che era stato accompagnato in ospedale personalmente dal S.GM.; le dichiarazioni (acquisite al dibattimento ex art.512 c.p.p., stante la non reperibilità del testimone) rese all’ispettore del lavoro dal benzinaio Omissis, il quale aveva riferito che, sapendo che il S.GM. aveva bisogno di personale e che l’H.A. cercava lavoro, li aveva messi in contatto, e qualche giorno dopo aveva ricevuto una telefonata dall’H.A. che lo aveva informato dell’infortunio occorsogli sul cantiere; infine, gli accertamenti del funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro di Bergamo, A.M., che era stata indirizzata dall’H.A. in un luogo ben preciso ove in effetti vi era stato un cantiere edile circa un anno prima.
Appare allora pienamente condivisibile la conclusione dei giudici di appello di acquisizione di obiettivi ed univoci riscontri alle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, da cui è derivata l’affermazione di responsabilità del datore di lavoro e che certo non potevano indurre alla invocata assoluzione.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 febbraio 2016