Infortunio mortale con un escavatore: inidoneità del mezzo a lavorare con la pendenza presente nella scarpata.
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 05/04/2016
Fatto
1. La Corte d’appello di Catanzaro, 1 sezione penale, con sentenza resa il 14 gennaio 2015 confermava la condanna emessa dal Tribunale di Paola in data 17 ottobre 2013 nei confronti di S.R., quale imputato del reato p. e p. dall’art. 589, comma 2, cod.pen., commesso in San Lucido il 19 maggio 2008 e a lui ascritto in cooperazione colposa con C. e A. R., nelle rispettive qualità indicate in rubrica e da loro ricoperte all’interno della S.R. & R. C. s.n.c., in danno del dipendente F.C..
Oggetto dell’addebito é un lavoro di scavo meccanico commissionato al F.C. in assenza delle necessarie condizioni di sicurezza: il F.C. veniva incaricato di eseguire lo scavo con un escavatore su un terreno in pendio, sebbene il manuale d’uso della macchina e le etichette di pericolo avvisassero del rischio nell’utilizzo dell’escavatore con pendenze superiori al 15%; agli imputati era contestata l’inosservanza del combinato disposto degli artt. 35, comma 4, e 89, comma 2 lettera a) del D.Lgs. 626/1994 e dell’art. 2087 cod.civ.; in specie, viene loro addebitato di avere dato il suddetto incarico al dipendente pur a fronte del rischio che ciò comportava e di avere omesso di vigilare circa il mantenimento delle condizioni di sicurezza, lasciando che il F.C. omettesse di allacciare le cinture di sicurezza; in tal modo, allorché l’escavatore si ribaltava, il F.C. veniva sbalzato fuori dal mezzo meccanico e decedeva.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre S.R. a mezzo del suo difensore di fiducia. Il ricorso, a premessa del quale v’é ampia narrativa sullo svolgimento del processo nelle fasi antecedenti, é articolato in due motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo si duole il ricorrente della violazione della legge penale in riferimento alla censurata applicazione del principio di responsabilità oggettiva, escluso nella materia penalistica, e al riconoscimento del nesso di causalità fra la condotta del ricorrente e l’evento mortale, nesso che l’esponente ritiene insussistente.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, articolato sotto il profilo del vizio di motivazione, viene nuovamente contestata l’assenza del nesso di causalità, ravvisato dalla Corte di merito a carico del ricorrente, sebbene questi non fosse presente sul posto e l’ordine di eseguire il lavoro era stato dato al F.C. non già da lui, bensì dal preposto.
Diritto
1. Il ricorso é infondato in ambo i motivi, che possono congiuntamente trattarsi, involgendo entrambi aspetti riconducibili al giudizio di responsabilità a carico del ricorrente, sia in relazione alla sua posizione datoriale che al nesso causale.
2. La Corte di merito evidenzia numerosi elementi che depongono per la sicura riferibilità al ricorrente non solo, in via di principio, della posizione di garanzia in relazione all’esecuzione delle mansioni da parte del F.C., affidategli dal preposto (ossia da A.R., condannato in via definitiva con sentenza n. 9491 emessa il 10 gennaio 2013 da questa Sezione diversamente composta); ma altresì di circostanze che rendono evidente la consapevolezza, da parte dell’odierno ricorrente, delle condizioni di rischio in cui il F.C. si sarebbe venuto a operare.
2.1. Sotto il primo profilo, é ius receptum che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli é costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro (principio affermato da Sez. U, Sentenza n. 5 del 25/11/1998, dep. 1999, Loparco, Rv. 212577, e più recentemente ribadito, ex multis, da Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 263200). Del pari é pacifico in giurisprudenza che, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno é per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica é addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253850: fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l’esistenza di un preposto di fatto).
2.2. Venendo al secondo profilo, emerge in atti (e se ne dà contezza anche nella richiamata sentenza di questa Corte sulla medesima vicenda, menzionata in motivazione dalla Corte territoriale) che il lavoro cui era stato adibito il F.C. (ossia lo scavo nelle condizioni di cui in rubrica, finalizzato allo sradicamento di canne presenti in una scarpata) era stato predisposto già da diversi giorni, ed era perciò sicuramente noto, o comunque conoscibile dall’odierno ricorrente, il pericolo di ribaltamento dell’escavatore, mezzo che é pacificamente risultato strutturalmente inidoneo a lavorare con la pendenza presente nella scarpata, atteso che le caratteristiche del mezzo meccanico che il F.C. ebbe a utilizzare erano tali da rendere evidente anche al datore di lavoro la rischiosità dell’operazione. In più, e soprattutto, emerge che fu l’odierno ricorrente ad impartire istruzioni al figlio A. (separatamente giudicato e condannato in qualità di preposto) in ordine alle operazioni di scavo alle quali il F.C. era assegnato; né, del resto, risulta che l’odierno ricorrente avesse conferito alcuna delega al preposto in ordine alla cura della specifica operazione, tale da esimerlo dalle concorrenti responsabilità.
3. Di tal che alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva é, nella specie, ravvisabile, atteso che l’odierno ricorrente ha disatteso il dovere di assicurarsi in ordine all’osservanza, da parte dei dipendenti, della normativa antinfortunistica, dovere derivante dalla sua posizione di garanzia (in specie dal generale dovere datoriale di prendere le misure necessarie in ordine al corretto utilizzo delle attrezzature di lavoro, di cui all’art. 35, comma 4, del D.Lgs. 626/1994, e di quello di adottare le misure necessarie ad assicurare la tutela dell’Integrità fisica del lavoratore, di cui all’art. 2087, cod. civ.: disposizioni la cui violazione é contestata in rubrica).
4. Sul piano del nesso eziologico, poi, é di tutta evidenza che l’evento mortale si verificò in dipendenza della violazione delle norme prevenzionistiche e dei connessi obblighi datoriali sopra richiamati (in specie quello di impedire che il F.C. fosse posto in condizioni di utilizzare l’escavatore in condizioni di pericolo), così come é evidente che il mancato impiego delle cinture di sicurezza da parte del F.C. non fu certo l’unico e decisivo elemento causalmente rilevante ai fini del sinistro, atteso che in ogni caso il lavoratore era stato assegnato -su disposizioni impartite dall’odierno ricorrente – a eseguire i lavori di scavo in condizioni di pericolo derivanti dalla manifesta inidoneità dell’escavatore a operare in un pendio come quello ove avvenne il sinistro, e con evidente rischio (poi concretizzatosi) che esso si ribaltasse. Di talché, ove le norme prevenzionistiche richiamate in rubrica fossero state convenientemente rispettate, l’evento non si sarebbe verificato.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
così deciso in Roma il 5 aprile 2016