Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha piu’ rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.
L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purche’ necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida.
Presidente Bronzini – Relatore Riverso
Fatto
Con la sentenza n. 821/2011, pubblicata l’8.9.2011, la Corte d’Appello di Firenze in riforma della sentenza di primo grado dei Tribunale di Livorno respingeva la domanda di M.B. volta al riconoscimento di aver subito un infortunio in itinere in bicicletta – allorchè, in data 2.12008, in Livorno, alle 14.50, al termine del turno mattiniero, stava facendo ritorno a casa in bicicletta, quando veniva colpito da un motociclo – ed ottenere conseguentemente la condanna dell’INAIL ad erogargli le prestazioni di cui all’art.13 d.lgs. 38/2000.
A differenza del primo giudice, il quale aveva ritenuto che la distanza casa-lavoro da coprire fosse troppa lontana per andare a piedi, in considerazione delle esigenze legate ad una famiglia con una persona anziana da assistere; e non abbastanza lontana per l’uso del mezzo pubblico; la Corte d’Appello di Firenze aveva sostenuto che il M. non avesse provato la contingente necessità dedotta (somministrare un’iniezione alla suocera) per fare ricorso al mezzo privato, e poiché il percorso da coprire, benchè non coperto da mezzi pubblici, era di soli cinquecento metri doveva quindi ritenersi che l’uso dei mezzo privato non fosse comunque necessitato, potendo lo stesso percorso essere coperto a piedi nel giro di pochi minuti (7,5), mentre l’utilizzo della bicicletta in città, in quanto soggetto ai pericoli del traffico, rappresentasse un aggravamento del rischio rispetto all’andare a piedi, tanto più nel mese di gennaio quando si era verificata l’infortunio. Avverso detta sentenza M.B. propone ricorso affidando le proprie censure ad un unico motivo con il quali chiede la cassazione integrale della sentenza.
Resiste INAIL con controricorso.
Diritto
1.- Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.12 d.lgs. 38/2000 (art. 360 n. 3 c.p.c.) dovendo ritenersi che nell’infortunio in itinere in oggetto l’uso della bicicletta per recarsi al lavoro fosse incluso nella tutela assicurativa in relazione alla necessità protetta dall’ordinamento di favorire spostamenti che riducano costi economici, ambientali e sociali.
Il motivo è fondato, nei termini che di cui alle seguenti considerazioni. L’art.12 del d.lgs. 38/2000, che ha aggiunto un ultimo comma agli artt. 2 e 210 del t.u. 1124/65, recita: Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha piu’ rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.
L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purche’ necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida “.
2.- Con la disciplina dettata dall’art.12 del d.lgs.38 la tutela assicurativa gestita dall’INAIL è stata estesa all’infortunio che accada al lavoratore lungo il percorso che collega l’abitazione al lavoro e viceversa. La nuova normativa amplia la tutela a qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa a luogo di lavoro, escludendo qualsiasi rilevanza all’entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l’infortunato sia addetto. La norma tutela quindi un rischio generico (quello del percorso) cui soggiace in realtà qualsiasi persona che lavori. Pertanto, come non si è mancato di avvertire all’indomani della legge – proprio perché non più rispondente alla logica selettiva del criterio del rischio professionale, su cui era stata fondata fin dall’origini l’assicurazione sociale – la nuova disciplina pone il problema della giustificazione per la mancanza di tutela per intere categorie dì lavoratori non assicurati. Secondo la disciplina in vigore anche l’uso del mezzo proprio (senza alcuna altra connessione funzionale con l’attività lavorativa assicurata) non è di ostacolo all’indennizzabilità; ma permane la condizione, già dettata dalla giurisprudenza, che l’uso sia necessitato. Sulla scorta della interpretazione giurisprudenziale in materia (anche precedente l’entrata in vigore della disciplina) il requisito della necessità non deve essere tuttavia inteso in senso assoluto, essendo sufficiente una necessità relativa (ossia emergente attraverso i molteplici fattori non definibili in astratto che condizionano la scelta dei mezzo privato rispetto a quello pubblico).
3.- A sostegno di questa interpretazione muovono anzitutto alcuni elementi normativi contenuti nella stessa disciplina di legge. Laddove essa inserisce nella tutela l’infortunio occorso durante il tragitto effettuato per andare a consumare il pasto dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti (non necessariamente la propria abitazione) se l’azienda sia sfornita di mensa aziendale. Se la necessità fosse stata assoluta, e non valutabile secondo gli standards di vita attualmente seguiti, una previsione di questo tipo sarebbe stata scarsamente giustificabile; mentre imporre al lavoratore l’usanza di portarsi le vivande da casa sarebbe stata contro i tempi ed i costumi sociali in vigore. Occorre considerare poi che ai fini dell’assicurazione la legge parla di percorso normale. Non è richiesto altro; né che la strada sia disagevole, nè che presenti rischi particolari e diversi da quelli normali, come si è per lungo tempo discettato in giurisprudenza in mancanza di una disciplina legale. Basta la normalità del percorso. Ed è sempre alla normalità del percorso che la legge ricollega la protezione anche nell’ipotesi in cui l’infortunio avvenga durante il tragitto per andare a consumare il pasto.
4.- L’articolato complesso sviluppo della giurisprudenza di questa Corte per la delimitazione dell’area di tutelabilità del lavoratore in materia di infortunio in itinere trova inoltre due ben individuabili punti d’approdo. Il primo va identificato nell’elaborazione, ai fini dell’individuazione dell’ambito di copertura assicurativa, della nozione di rischio elettivo inteso come tutto ciò che sia estraneo e non attinente alla attività lavorativa e dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore il quale crei ed affronti volutamente in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa, ponendo così in essere una condotta interruttiva di ogni nesso tra lavoro rischio ed evento (Cass. 17/5 n. 5431) che efficacemente riassume il processo elaborativo seguito di regola). Trattasi, in sostanza, di regola non diversa da quella enunciata da questa Corte per la delimitazione delle responsabilità del datore di lavoro in via contrattuale che extracontrattuale in ordine alla integrità psico-fisica del lavoratore (fra le molte: 30/5/2001 n. 7367, 15/4/1996 n. 17/11/1993 n. 11351, 1/9/1991 n. 9459).
Il secondo punto di approdo è quello che muove dalla individuazione di ulteriori criteri definitivi della necessità della scelta dei lavoratore di usare il mezzo privato i quali sono stati individuati nella normalità e ragionevolezza: entrambe queste nozioni risultano determinabili in relazione a valori costituzionali quali la ragionevolezza (art. 3 Cost.), la libertà di fissare la propria residenza (art. 16 Cost.) le esigenze familiari (art. 31 Cost.), la tutela del lavoro in ogni sua forma (art. 35 Cost.), la protezione del lavoratore caso di infortunio (art. 38 Cost.). Questo processo giurisprudenziale, che appunto si intreccia e sovrappone con quello elaborativo della nozione di rischio elettivo, è stato efficacemente sintetizzato nella sentenza 8/11/2000 n. 1450 di questa Corte, ripreso poi dalla sentenza 10750/2001 (cfr. anche 19940/2004, 7717/2004, 6929/2005, 2642/2012) le quali hanno condensato il senso complessivo degli orientamenti in materia di infortunio in itinere, sia giurisprudenziali sia normativi (ex d.lgs. 38/2000), affermando che l’assicurazione per infortunio in itinere comprenda anche l’utilizzo del mezzo di trasporto privato allorchè imposto da particolari esigenze nell’ambito delle quali preminente rilievo assumono i luoghi in cui la personalità dell’individuo si realizza in rapporto con la comunità familiare; e che “si tratta di una definizione della fattispecie dell’ infortunio in itinere che va senz’altro condivisa perché maggior rispettosa dei canoni costituzionali della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della protezione dei lavoratori in caso d’infortunio (art. 38 secondo Cost. )”
5.- Ritiene questa Corte che nella soluzione della questione, che con la censura in esame è chiamata a risolvere, dovendosi compiere un’attività d’integrazione di norma elastica (quale va considerato l’art.12 in oggetto), si riveli particolarmente utile l’approdo interpretativo da ultimo esaminato. La cui peculiarità consiste appunto nel ricercare i criteri individuativi della normalità dei percorso e della necessità del mezzo – oltre i quali insorge il rischio elettivo e l’uso non necessitato – facendo ricorso a valori guida dell’ordinamento giuridico, di valore costituzionale, idonei a risolvere il conflitto fra interesse dell’istituto assicuratore a non erogare prestazioni che esulino dalla funzione di copertura dei rischi propri delle attività lavorative e quello dei lavoratore di veder non escluse dall’ambito di tali atti, momenti peculiari della sua personalità di uomo-lavoratore in esso coinvolte; quali, la libertà di fissazione della residenza, il rapporto con la comunità familiare, una più intensa tutela previdenziale meglio attagliata alle esigenze della società in cui opera.
In un certo contesto socio-economico, poi in relazione a particolari esigenze, naturalmente, più possono essere gli standards che tendono a radicarsi nello stesso fatto, a seconda dei valori che in esso tendono ad affermarsi. É significativo ad es. che nell’ambito di tale tematica, la Corte (sentenza 27/7/2000 n. 9837) – in materia di infortunio in agricoltura – abbia cassato la sentenza del giudice di merito che a proposito dell’uso di un trattore per vie diverse da quelle tracciate, passando attraverso i campi, abbia omesso di far riferimento “ai concreti standards culturali dei costume agricolo i quali assumono connotazioni variegate a seconda dell’evoluzione sociale in determinati contesti rispetto a quella realtà con proprie peculiarità costituita dal mondo dei l`agricoltura”.
6.- Secondo quanto emerge dalla giurisprudenza di questa Corte, non può escludersi allora che oltre a quelli legittimati dai predetti valori costituzionali, altri standards in materia di attività connesse a quelle di lavoro, quale è quella di spostamento in esame, siano emersi nella società civile anche essi connessi a valori dello stesso rango. In tale prospettiva è innegabile che la modalità di percorrenza tragitto abitazione-lavoro con mezzo privato possa corrispondere anche ad esigenze di un più intenso rapporto con la comunità familiare, ad es. negli intervalli lavorativi, per mantenere un più stretto e frequente legame con i membri della stessa. Ed anche ad esigenze di raggiungere in maniera riposata e distesa i luoghi di lavoro. In tal modo assicurando un proficuo apporto alla organizzazione produttiva nel quale il lavoratore è inserito: e ciò risponde ad un valore dì utilità sociale ben presente nell’ordinamento.
Come già affermato da questa Corte, neppure pare azzardato sostenere che l’uso del mezzo privato possa corrispondere anche ad una sorta di più accentuata gratificazione dell’attività lavorative in corrispondenza alla tendenza largamente presente nella società civile di riduzione del conflitto tempo libero – lavoro. E ciò in corrispondenza di una serie di valori tutelativi dei diritti della personalità individuabili negli artt. 2, 3 comma secondo, 41 secondo comma della Costituzione, tutti convergenti alla tutela della persona del lavoratore ed alla riduzione del conflitto fra interessi della produzione e libertà – dignità del lavoratore.
7.- Rileva pure in questa ottica la tendenza presente nell’ordinamento art. 1 Codice della strada, divenuta sempre più pressante, a favorire l’utilizzo della bicicletta in quanto mezzo che riduce costi economici, sociali ed ambientali; fino al punto che sono è oramai non pochi i comuni che mettono a disposizione dei cittadini biciclette in modo gratuito per gli spostamenti urbani casa-lavoro, anche di breve durata; e ciò al fine di ottenere benefici non solo di carattere ambientale ma anche per la salute dei cittadini, ed in prospettiva un calo delle spese sanitarie a carico del sistema nazionale.
8.- In questa ottica conta, in particolare, quanto emerge dalla recente normativa di cui alla legge del 28.12.2015 n. 221 (pubblicata nella G. U. n. 13 dei 18.1.2016) contenente “disposizioni in materia ambientale per promuovere misura di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”, il cui art. 5 prevede specifiche disposizioni volte ad incentivare la mobilità sostenibile anche nei percorsi casa lavoro, ivi inclusi le iniziative di bike-pooling e di bike-sharing, i programmi di educazione e sicurezza stradale, di riduzione dei traffico, dell’inquinamento e della sosta degli autoveicoli in prossimità delle sedi di lavoro “anche al fine di contrastare problemi derivanti dalla vita sedentaria”. Tali programmi possono comprendere anche incentivi di tipo economico come “la cessione a titolo gratuito di «buoni mobilità» ai lavoratori che usano mezzi di trasporto sostenibili”.
9.- Rileva inoltre quanto disposto sempre all’interno della stessa legge ult. cit. con i commi 4 e 5 dell’art. 5 i quali intervengono ad integrare la materia dell’infortunio in itinere (di cui agli artt. 2, terzo comma e 210 quinto comma del T.U. 1124/65) chiarendo che; «L’uso del velocipede, come definito ai sensi dell’articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato». In sostanza, attraverso la nuova disciplina, ai fini dell’infortunio in itinere, l’uso del velocipede (ovvero, secondo il codice della strada, dei veicolo, con due o più ruote, funzionante a propulsione esclusivamente muscolare, per mezzo di pedali anche se a pedalata assistita), deve ritenersi sempre assicurato, come lo è, per la stessa normativa, l’andare al lavoro a piedi o con utilizzo del mezzo pubblico.
Certamente si tratta di una normativa entrata in vigore in epoca successiva al fatto che qui riguarda, e tuttavia, proprio perché espressione di istanze sociali largamente presenti da tempo nella comunità, essa non può non essere utilizzata dal giudice in chiave interpretativa al fine di chiarire anche il precetto elastico in vigore precedentemente.
10.- In base a tali premesse deve ritenersi che la valutazione effettuata dalla Corte territoriale non collimi con i principi richiamati. Il giudice d’appello ha infatti parametrato la legittimità del ricorso al mezzo privato sostanzialmente soltanto in relazione al criterio della distanza che separa l’abitazione dal luogo di lavoro (peraltro considerata in unico senso di percorrenza); mentre la legittimità del mezzo in questione va individuata in relazione ad un criterio di normalità-razionalità che tenga conto di vari standards comportamentali esistenti nella società civile, rispondendo a valori guida dell’ordinamento all’interno di un determinato contesto socio economico.
La distanza, tanto più quando venga in considerazione l’utilizzo della bicicletta, non può essere ritenuto in assoluto un criterio selettivo da solo sufficiente ad individuare la necessità dell’uso del mezzo privato (nel senso relativo che si è prima indicato). Anche perché in mancanza di indicazioni contenute nella norma non se ne potrebbe fissare una in grado di separare con certezza i casi tutelati da quelli esclusi dalla tutela. D’altra parte, se si valuta la distanza del percorso in relazione al rischio della strada, dovrebbe affermarsi che esso tenda ad aggravarsi in relazione all’ampiezza del percorso; e non certo che esso tenda a diminuire, come si sottende nella decisione assunta dalla Corte territoriale. L’utilizzo della bicicletta da parte del lavoratore per recarsi al lavoro deve essere allora valutato in relazione al costume sociale, alle normali esigenze familiari del lavoratore (anche senza la presenza di contingenti necessità quale quella allegata ma non provata nel giudizio di merito), alla presenza di mezzi pubblici, alla modalità di organizzazione dei servizi pubblici di trasporto nei luoghi in cui più è diffuso l’utilizzo della bicicletta, alla tipologia del percorso effettuato (un conto è l’impiego su un percorso urbano, un conto su una strada non urbana), alla conformazione dei luoghi, alle condizioni climatiche in atto (e non tanto a quelle stagionali), alla tendenza presente nell’ordinamento e rivolta all’incentivazione dell’uso della bicicletta (codice della strada; legge 221/2015 cit.).
11. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi. Ne consegue che il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Va quindi disposto il rinvio della causa ad altro giudice, designato in dispositivo, per l’ulteriore esame della controversia. Il giudice del rinvio provvederà altresì, ex art. 385 cod. proc. civ., sulle spese dei giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.