Amianto e riconoscimento dei benefici contributivi. Pause “non fisiologiche”.
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA
Data pubblicazione: 15/04/2016
FattoDiritto
Con sentenza del 18.3.2014, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Mantova, che aveva respinto, tra le altre, la domanda di M.M. escludendone l’esposizione all’amianto in misura sufficiente a riconoscere la rivalutazione del periodo contributivo ex art. 13 comma ottavo l. 257/92, accertava il diritto alla rivalutazione contributiva per i periodi rispettivamente indicati relativamente alle posizioni di alcuni degli appellanti, confermando invece la pronunzia di rigetto relativamente alla posizione del M.M.. Osservava che il Ctu aveva calcolato, per quest’ultimo, che oltre agli 8 mesi e 15 giorni (leggi: 8 anni e mesi 15) riconosciuti in primo grado, lo stesso fosse stato esposto all’amianto nella misura di legge anche nel periodo compreso tra il 13.7.1981 e l’11.12.1984, nello svolgimento delle attività lavorative assegnategli come operatore alle macchine utensili e tubista presso la B.E., stabilimento di Mantova, ma che l’interruzione di un anno nel 1984 per assolvere al servizio militare escludesse che il lavoratore potesse avere diritto ai benefici contributivi richiesti.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il M.M., affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste, con controricorso, l’INPS. Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. Il M.M. ha depositato memoria difensiva, sollecitando, tuttavia, la condanna dell’INPS al pagamento delle spese anche dei gradi di merito.
Il ricorrente denunzia violazione dell’art. 13, comma 8, della legge 257/92, ai sensi dell’alt 360, n. 3, c.p.c., osservando che l’interpretazione della Corte di appello si pone in contrasto con il dato letterale e con la ratio della legge, nell’interpretazione fornitane dalla S. C., in quanto la potenzialità morbigena delle lavorazioni che abbiano determinato l’esposizione per oltre dieci anni all’amianto in misura superiore ai valori limiti previsti dalla legge non viene certamente meno per il fatto che tale esposizione qualificata si sia interrotta per un periodo, posto che l’interruzione non fa venire meno gli effetti nocivi già verificatisi per effetto della precedente esposizione all’amianto, con inalazione/ingestione delle relative fibre.
Aggiunge che la S. C. ha, del resto, sempre interpretato la norma nel senso suindicato, ritenendo del tutto corretta la sommatoria di distinti periodi di esposizione qualificata all’amianto separati da interruzioni anche di lunga durata e che, sul piano letterale, la norma non richiede in alcun modo quale ulteriore requisito quello che l’esposizione sia stata ininterrotta nel tempo.
Nella giurisprudenza di questa Corte è da ritenersi consolidato l’orientamento ermeneutico secondo cui, in relazione al requisito temporale, deve considerarsi la posizione lavorativa di ogni singolo lavoratore, ivi computando le pause “fisiologiche”, intendendosi per tali quelle proprie di tutti i lavoratori (riposi, ferie, festività) e che rientrano nella normale evoluzione del rapporto, in quanto conseguenti alla rilevanza del tempo delle prestazioni spiegate (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4913/2001 e n. 997/2003).
Se, dunque, nell’interpretazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 7, la “prestazione lavorativa” rilevante ai fini delle prestazioni pensionistiche è quella “effettivamente resa” – come, del resto, confermato dal D.M. 27 ottobre 2004 (in Gazz. Uff., 17 dicembre, n. 295), “Attuazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47, convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326. Benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto”, che, all’art. 2 (Determinazione del beneficio pensionistico e criteri di accertamento), comma 3, ha chiarito che “Per periodo di esposizione si intende il periodo di attività effettivamente svolta” -, deve considerarsi tale anche quella coincidente con le dette pause fisiologiche (cfr. Cass. 1 agosto 2005, n. 16118).
La questione all’esame riguarda invece la computabilità, ai detti fini, di quelle sospensioni dell’esposizione riconducibili a cause “non fisiologiche”, ossia non ricollegabili alla normale evoluzione del rapporto e non proprie di tutti i lavoratori (in quanto non integranti un evento necessario e costante del rapporto di lavoro quanto a cadenza e durata), nel novero delle quali rientrano, al pari dei periodi di sospensione dall’attività lavorativa per collocamento del lavoratore in cassa integrazione guadagni ovvero di svolgimento del servizio militare, nonché le assenze per malattia ovvero infortunio sul lavoro.
La questione è stata risolta dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che non sono computabili per la determinazione del periodo complessivo dell’esposizione di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, i periodi di sospensione dell’esposizione determinata da eventi riferibili soltanto ad un singolo lavoratore, in dipendenza di condizioni soggettive o delle particolari vicende del rapporto, ove abbiano avuto significativa durata ed abbiano comportato in concreto, a cagione del loro protrarsi e dell’eventuale prossimità ad altre sospensioni della prestazione lavorativa, l’effettivo venir meno del rischio tutelato. Così è stato precisato con riferimento alle sospensioni per collocamento in cassa integrazione guadagni da Cass. 4 agosto 2010, n. 18134. Eguale ragionamento è stato svolto con riguardo al servizio militare da Cass. 16 gennaio 2012, n. 503. Non diversamente va opinato con riguardo alle assenze per malattia e in dipendenza da un infortunio sul lavoro, non trattandosi di accadimenti tipici del rapporto di lavoro, ma costituendo di questo, all’evidenza, una patologia.
Quel che rileva, invece, in tutti i casi esaminati è, come detto, la significatività dei periodi di mancata prestazione del lavoro, vale a dire la loro idoneità ad incidere sulla esposizione complessiva all’amianto, così da non poter essere computati ai fini dell’accertamento del requisito della durata ultradecennale dell’attività lavorativa tutelata (cfr. Cass. Ordinanze, sez. VI, nn. 10199/2014, 15252/2014), ma non da far venire meno il requisito della durata ultradecennale con riferimento ad una fattispecie, nella quale, come verificatosi nel caso considerato, anche escludendo il periodo del servizio militare, rimanga ferma, per effetto del computo dei periodi anteriori e successivi allo stesso, l’ultradecennalità dell’esposizione qualificata.
Ed invero, posto che, oltre agli otto anni e 15 giorni di esposizione qualificata, riconosciuti in primo grado, il C.t.u. aveva riconosciuto un ulteriore periodo ricompreso tra il 13.7.1981 e l’11.12.1984, pur detraendo l’anno del servizio militare, rimane ferma l’ultradecennalità richiesta dalla norma.
Per le svolte considerazioni, il ricorso del M.M. deve essere accolto, con riconoscimento dei benefici contributivi previsti dall’art. 13, comma 8, legge n. 257/92. All’accoglimento consegue la cassazione della sentenza impugnata quanto alla posizione del predetto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, secondo quanto disposto dall’art. 384, 2° comma, c.p.c., nel senso del riconoscimento dei benefici previsti dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, in favore del predetto, limitatamente al periodo 13.7.1981 – 3.3.1983 ed a quello dal 9.4.1984 al 31.12.1992.
La soccombenza dell’INPS con riguardo alla posizione del ricorrente induce a porre a carico dell’INPS le spese dei gradi di merito e quelle di legittimità, liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai difensori rispettivamente indicati, ferma rimanendo la relativa statuizione con riguardo alle altre parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata in relazione alla posizione di M.M. e, decidendo nel merito, accerta il diritto del predetto alla chiesta rivalutazione contributiva per il periodo dal 13.7.1981 al 3.3.1983 e per quello dal 9.4.1984 al 31.12.1992. Condanna l’INPS al pagamento, in favore del M.M., delle spese di lite dei gradi di merito, liquidate, per il primo grado, in euro 800,00 per diritti ed euro 1000,00 per onorari, oltre al 10% per spese generali, con attribuzione all’avv. S. S., per il grado di appello in euro 2600,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali, con attribuzione agli avv.ti S. S.e G. Z., nonché alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 3500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al pagamento delle spese generali in misura del 15%, con attribuzione agli avv.ti S.S., B.C. e S. B..
Così deciso in Roma, il 17.3.2016