Cassazione Civile, Sez. 6, 06 maggio 2016, n. 9256

Beneficio della rivalutazione contributiva ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8. Disciplina applicabile.


Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA
Data pubblicazione: 06/05/2016

FattoDiritto

1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto;
<L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 mediante applicazione del coefficiente 1,5 ai fini del conseguimento di prestazione pensionistica. Il decisum del giudice di appello è stato fondato sulle seguenti argomentazioni: l’originario ricorrente chiede il riconoscimento del beneficio della rivalutazione contributiva ai sensi della L. n, 257 del 1992, art. 13 nella formulazione previgente alla modifica introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47 conv. in L. n. 326 del 2003; è pacifico che la domanda amministrativa all’LN.P.S. è stata presentata in conseguenza dell’esito negativo di quella avanzata all’I.N.A.I.L. il 31.5.2003; a quest’ultima istanza, in quanto intesa ad ottenere dall’istituto assicuratore la certificazione della esposizione e qualificata all’amianto, non può essere attribuita valenza di “domanda amministrativa” presentata nei confronti dell’I.N.P.S., unico soggetto legittimato per legge ad operare la rivalutazione contributiva; ai fini della proponibilità del ricorso giudiziale non può farsi riferimento alla domanda avanzata per la prima volta nei confronti dell’I.N.P.S. in data 16.1.2008 in quanto all’epoca era ormai vigente il nuovo regime conseguente all’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003 cit., art. 47 il quale al comma 5 così recita: “I lavoratori che intendano ottenere il riconoscimento dei benefici di cui al comma 1, compresi quelli a cui è stata rilasciata certificazione dall’I.N.A.I.L. prima del 1° ottobre 2003, devono presentare domanda alla Sede I.N.A.I.L. di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena dì decadenza del diritto agli stessi benefici”; è pacifico che l’appellato non ha presentato entro tale termine alcuna domanda all’I.N.A.I.L.; in conseguenza non può attribuirsi alcun rilievo alla presentazione della domanda all’I.N.P.S. in data 16.1.2008 essendosi all’epoca già verificata la decadenza sostanziale prevista dalla nuova normativa.
Per la cassazione della decisione propone ricorso, affidato a due morivi S.M..
L’I.N.P.S. ha depositato procura in calce al ricorso notificato.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., censura la decisione per avere, in sintesi, omesso di precisare le ragioni giuridiche alla base della decisione, in particolare con riferimento al regime decadenziale in concreto applicato.
Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, come modificato dalla L. n. 438 del 1992, della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, della L. n. 350 del 1993, art. 3 comma 132, della L. n. 350 del 2003. Sulla premessa che la decisione “sembra avere applicato” il regime decadenziale dettato dal d.P.R. n. 639 cit., art. 47 sostiene che la decisione impugnata, per coloro che avevano comunque inoltrato la domanda all’I.N.A.I.L. entro il 2.10.2003 e che, ai sensi della L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132, rientrano pacificamente nella previgente normativa, avrebbe surrettiziamente introdotto il contestuale obbligo di presentare, entro il medesimo termine, la domanda all’I.N.P.S. a pena di decadenza dal più favorevole beneficio. Sostiene che, non contemplando la disciplina di riferimento tale obbligo, la proponibilità del ricorso giudiziale doveva essere verificata con riguardo alla istanza amministrativa presentata all’I.N.P.S. nel febbraio 2008, aspetto alla quale non si era verificata alcuna decadenza in relazione al ricorso giudiziale depositato il 4 dicembre 2008.
Il primo motivo di ricorso c da ritenersi manifestamente infondato.
Invero le ragioni giuridiche della decisione risultano adeguatamente esplicitate laddove il giudice di appello afferma che la decadenza (sostanziale) si è verificata, ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, comma 5 conv. con modificazioni nella L. n. 326 del 2003, per avere l’appellato omesso di presentare istanza di certificazione all’I.N.A.I.L. nel termine semestrale, decorrente dalla data di pubblicazione del decreto interministeriale di cui al comma 6, decreto emanato in data 27.10.2004 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 17.12.2004 (pag. 4 sentenza).
E’ invece da accogliere il secondo motivo di ricorso (in conformità con la decisione di questa Corte del 16 luglio 2015, n. 14895, resa in una fattispecie del tutto analoga).
Si premette che il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, nel testo originario, all’art. 47, comma 5, disponeva che: “1 lavoratori che intendono ottenere il riconoscimento dei benefici di cui al comma 3, compresi quelli a cui è stata rilasciata certificazione dall’I.N.A.I.L. prima del 1° ottobre 2003, devono presentare domanda alla sede I.N.A.I.L. di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto agli stessi benefici”. Al successivo comma 6 era così previsto: “Le modalità dì attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. Pubblicato in data 17 dicembre 2004 il D.M. attuativo, il suddetto termine di 180 per la presentazione della domanda all’I.N.A.I.L. è stato fissato al 15 giugno 2005. In sede di conversione ad opera della legge n. 326 del 2003 al suddetto art. 47 è stato aggiunto il comma 6 bis dettato per agevolare il passaggio da un regime ad un altro: “Sono comunque fatte, salve le previgenti disposizioni per Ì lavoratori che abbiano già maturato, alla data di entrata in vigore del presente decreto, il diritto di trattamento pensionistico anche in base ai benefìci previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n, 257, art, 13, comma 8, nonché coloro che alla data di entrata in vigore del presente decreto, fruiscono di mobilità, ovvero che abbiano definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento”. La successiva L. 27 dicembre 2003, n, 299, art. 3, comma 132, (legge finanziaria per l’anno 2004) ha, quindi, stabilito, sempre nell’ambito della disciplina del regime transitorio, che “in favore dei lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 3 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, e successive modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all’I.N.A.I.L. o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data. Restano salve le certificazioni già rilasciate dall’I.N.A.I.L.”. Con tale ultimo intervento, il legislatore, dunque, pur presupponendo e richiamando la disciplina introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47, conv. in L. n. 326 del 2003, è intervenuto ad escludere l’applicabilità della nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47 convertito in L. n. 326 del 2003, ad alcune ulteriori categorie di assicurati e precisamente: – coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avessero maturato il diritto a pensione (ai sensi dell’art. 47, comma 6 bis, eventualmente anche in forza della rivalutazione contributiva prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8); – coloro che alla stessa data avessero presentato domanda di riconoscimento del beneficio derivante dall’esposizione ad amianto; – coloro che a tale data avessero comunque introdotto una controversia giudiziale poi conclusasi con sentenza favorevole al lavoratore.
Tali categorie di assicurati sono venute così ad aggiungersi a quelle già escluse dall’art. 47 (ovvero a coloro che alla data del 2 ottobre 2003 fruissero dei trattamenti di mobilità e a coloro che a tale data avessero già definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento).
La lettura della norma nel senso sopra indicato è imposta dal tenore testuale della disposizione e dall’interpretazione sistematica alla luce della normativa precedente. Sul punto la Corte di Cassazione si è, peraltro, già più volte espressa – cfr. ex plurimis Cass. 18 novembre 2004, n. 21862; id. 15 luglio 2005 n. 15008; 11 luglio 2006 n. 15679 e più di recente Cass. 30 maggio 2012 n. 8649 – affermando il principio secondo cui “in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, la L. 24 dicembre 2003, n, 350, art 3, comma 132, che – con riferimento alla nuova disciplina introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art, 47, comma 1 (convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326) – ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, prevista dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano avanzato domanda di riconoscimento all’I.N.A.I.L. od ottenuto sentenza favorevoli per cause avviate entro al medesima data, va interpretato nel senso che; a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione; b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva.
Sulla base delle indicate disposizioni va, dunque, ritenuto che la disciplina previgente si applica: 1) a coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avessero già maturato il diritto al più favorevole beneficio previdenziale di cui alla L. n. 257 del 1992; tale diritto aveva maturato solo chi avesse maturato il diritto alla pensione oppure avesse ottenuto il riconoscimento del diritto alla rivalutazione in via amministrativa o giudiziaria; 2) a coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avessero già avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto.
È quindi intervenuto il D.M. 27 ottobre 2004 che all’art. 1 ha così previsto: “1. I lavoratori che, alla data del 2 ottobre 2003, sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi non soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall’I.N.A.I.L. hanno diritto ai benefici previdenziali derivanti da esposizione ad amianto, alle condizioni e con le modalità stabilite dal presente decreto. 2. Ai lavoratori che sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, gestita dall’l.N.A.I.L., che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, e successive modificazioni, si applica la disciplina previgente alla medesima data, fermo restando, qualora non abbiano già provveduto, l’obbligo di presentazione della domanda di cui all’art. 3 entro il termine di 180 giorni, a pena di decadenza, dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Con riguardo all’ultimo inciso ed alla portata “generale” dell’obbligo di presentazione della domanda all’I.N.A.I.L. nel previsto termine decadenziale di 180 giorni si rileva che le pronunzie più recenti di questa Corte (Cass. 25 novembre 2014, n, 24998; Cass. 25 marzo 2015, n. 5928) muovendo dall’assunto che tale D.M., fonte regolamentare meramente attuativa delle disposizioni di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 47 conv. nella L. n. 326 del 2003, non può che muoversi nel solco tracciato dalla legge, ritiene che il riferimento, per l’applicazione della disciplina previgente, a coloro che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257 e successive modificazioni, art. 13, comma 8, va necessariamente inteso come riferimento a coloro che abbiano già maturato il diritto a pensione. Ed allora, la suddetta natura di fonte meramente attuativa ha come conseguenza ulteriore che, quando trovi applicazione il regime antecedente la riforma del 2003, l’interessato non è soggetto al termine decadenziale (180 gg.) introdotto dal D.L. n. 269 del 2003, che interessa solo determinate categorie di lavoratori. Il D.M., in sostanza, prevedendo l’obbligo di presentazione della domanda entro il termine di 180 giorni anche per i lavoratori ai quali si applica la disciplina previgente per effetto, in particolare, della L. 24 novembre 2003, n. 326, art. 47, comma 6 bis, (e cioè a coloro che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefìci previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8) ha introdotto – da fonte secondaria avente un ambito di contenuti limitato alla mera attuazione della specifica disciplina introdotta con il D.L. n. 269 del 2003 – un istituto eccezionale (quale è sicuramente la decadenza speciale) in contrasto con la fonte primaria (che, da una parte, non contempla espressamente la possibilità per tale fonte secondaria di una portata innovativa rispetto all’assetto ordinamentale come delineato negli aspetti principali e, dall’altra, lungi dal prevedere analoga decadenza speciale contiene una espressa previsione di esclusione – art. 47, comma 6 bis cit. -). Laddove il D.M. ha, dunque, adottato una disposizione in contrasto con il contenuto dello stesso art. 47 e con il regime transitorio da quest’ultimo previsto, lo stesso deve essere disapplicato.
Alla luce delle considerazioni che precedono la Corte territoriale ha quindi errato nel ritenere che la mancata presentazione della domanda di certificazione all’I.N.A.I.L, nel termine semestrale decorrente dalla pubblicazione del richiamato D.M., determinasse la decadenza dell’odierno ricorrente dalla proposizione di istanza amministrativa all’I.N.P.S., richiedendosi a tal fine la preventiva verifica dell’applicabilità o meno, nei termini sopra delineati, della “previgente” disciplina.
Per quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del secondo motivo di ricorso ed il rigetto del primo; la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio per il nuovo esame ad altro giudice, il tutto, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5>>.
2 – Non sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ..
3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia, e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo.
4 – Conseguentemente va accolto il secondo motivo di ricorso e rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al morivo accolto con rinvio alla Corte di appello di Roma che procederà ad un nuovo esame e provvederà anche in ordine alla spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2016

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