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Diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio Fascicolo personale

Fonte: Legge e Giustizia


La Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con la sentenza n. 6775 del 02/04/2016, si è espressa in merito al diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio Fascicolo personale. Questo è tutelabile in quanto tale perché si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro.

Accogliendo un ricorso proposto da una dipendente della Telecom Italia SpA contro la datrice di lavoro, la Suprema Corte con la sentenza n. 6775 del 7 aprile 2016, ha affermato i seguenti principi in materia di trattamento dei dati personali:

  1. in materia di trattamento dei dati personali, il principio della alternatività del ricorso all’autorità giudiziaria rispetto al ricorso al Garante, previsto nell’ipotesi in cui entrambe le suddette iniziative abbiano il “medesimo oggetto”, per essere compatibile con l’art. 24 Cost. deve essere inteso in senso specifico e conforme ai principi generali del diritto processuale e quindi nel senso che può applicarsi solo quando la domanda proposta in sede giurisdizionale e quella proposta in sede amministrativa (con ricorso al Garante) siano tali che in ipotesi di contestuale pendenza davanti a più giudici, potrebbero, in via generale, essere assoggettate al regime processuale della litispendenza o della continenza. Ne consegue che tutte le volte che, in sede giurisdizionale, si fa valere l’inottemperanza da parte del gestore dei dati personali rispetto ai provvedimenti assunti dal Garante e/o viene proposta una domanda di risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale – che è riservata all’esame del giudice ordinario e che comunque ha causa petendi e petitum specifici e del tutto diversi rispetto alle ragioni fatte valere con il ricorso al Garante – non può certamente ipotizzarsi l’applicazione del suddetto principio di alternatività delle tutele (vedi: Cass. 17 settembre 2014, n. 19534);
  2. il diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale è tutelabile in quanto tale perché si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro (arg. ex Cass. SU 4 febbraio 2014, n. 2397). L’obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio, prima ancora che nella legge n. 675 del 1996 (nella specie applicabile ratione temporis), deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza che incombe sulle parti del rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., come, del resto è confermato dal fatto che, da tempo, la contrattazione collettiva dei diversi settori preveda che i datori di lavoro debbano conservare, in un apposito fascicolo personale, tutti gli atti e i documenti, prodotti dall’ente o dallo stesso dipendente, che attengono al percorso professionale, all’attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente ha diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo personale. Ciò non esclude – ma anzi rafforza – il diritto del lavoratore di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali tutte le volte in cui intenda ottenere, in tempi ragionevoli, alcuno dei provvedimenti – di natura provvisoria o definitiva – previsti dall’art. 13 della legge n. 675 del 1996 cit. al fine di ottenere, ad esempio, l’integrazione dei dati personali detenuti dal datore di lavoro con documenti ulteriori, che attestino valutazioni di merito o che comunque a suo avviso rilevino in ogni caso, restando salva la discrezionalità del datore circa le modalità di utilizzo di dette integrazioni;
  3. il diritto riconosciuto ai lavoratori dipendenti di ottenere che le valutazioni datoriali su rendimento e capacità professionale, espresse con le note di qualifica, siano formulate nel rispetto dei parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo e degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375, cod. civ., oltre che della inerente necessaria trasparenza può essere fatto valere in sede giudiziaria – pure a prescindere da un immediato effetto negativo subito, venendo in considerazione la tutela della dignità del lavoratore – onde ottenere il controllo da parte del giudice della conformità del procedimento seguito per la formulazione delle suindicate valutazioni ai suddetti parametri, gravando sul datore di lavoro l’onere di motivare le note di qualifica medesime, per permettere lo svolgimento di tale controllo giudiziale, il quale non è limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo. Sicché esso richiede di prendere in esame i dati sia positivi che negativi rilevanti al fine della valutazione, non potendo invece tenersi conto di quelli estranei alla prestazione lavorativa (Cass. 20 giugno 2003, n. 9898; (Cass. 9 gennaio 2001, n. 206; Cass. 8 agosto 2000, n. 10450), comportando la violazione del suddetto obbligo datoriale la conseguenza, che, la valutazione stessa debba ritenersi non avvenuta (Cass. 22 agosto 2001, n. 11207).

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