Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 maggio 2016, n. 10342

In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la nozione di rischio ambientale cui si ricollega la copertura assicurativa – quale rischio che deriva dalla pericolosità dello spazio di lavoro, della presenza di macchine e del complesso dei lavoratori in esso operanti – non esonera il lavoratore dall’onere di provare le modalità concrete dell’Infortunio occorsogli durante gli spostamenti sul luogo di lavoro, essendo ciò necessario al fine di verificare se il detto infortunio, quand’anche ivi verificatosi, sia comunque correlato ad attività funzionale allo svolgimento della prestazione lavorativa.


Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BERRINO UMBERTO
Data pubblicazione: 19/05/2016

Fatto

Con sentenza dell’8/6/10 – 14/4/2011 la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’impugnazione proposta da V.B.M.A. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Lodi che le aveva respinto la domanda avanzata nei confronti della Casa di Riposo Santa Chiara A.S.P. per il risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un infortunio sul lavoro verificatosi il 9/6/2003 a seguito di scivolamento sul pavimento bagnato mentre svolgeva la propria attività alle dipendenze della Colser Scarl, cooperativa appaltatrice dei lavori di pulizia commissionati dalla predetta Casa di riposo, che,a sua volta, aveva chiamato in giudizio la società di assicurazione il “Duomo” s.p.a.
La Corte d’appello ha spiegato che la lavoratrice non aveva provato la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale col lamentato danno alla salute, né la medesima aveva allegato in modo specifico quali erano state le modalità dell’infortunio e nemmeno aveva offerto la prova dello stato dei luoghi al fine di consentire di verificare se si era trattato di una situazione anomala non riconoscibile e non eliminabile attraverso i dispositivi di protezione, quali le scarpe antiscivolo, di cui era dotata.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso V.B.M.A. con un solo motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resistono con controricorso la Colser Scarl, la A.S.P. – Casa di Riposo Santa Chiara ed Il Duomo Unione Assicurazioni s.p.a.

Diritto

Con un solo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’onere della prova ex artt. 2697, 1218, 1374, 2087, 2051, 2043 cod. civ. e del D.Lgs. n. 626/1994, del D.Lgs n. 494/1996, nonché dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia.
Sostiene, in pratica, la ricorrente che la circostanza della presenza di alcuni centimetri d’acqua nel bagno non era stata contestata dalla Casa di Riposo e che gravava su quest’ultima, quale proprietaria e custode del bagno ove si era verificato l’infortunio, l’onere di provare la sussistenza di situazioni escludenti la sua responsabilità, per cui, in mancanza di tale prova, la Corte d’appello non avrebbe potuto respingerle la domanda.
Aggiunge la ricorrente che la Corte territoriale non aveva ritenuto sussistente, a differenza del primo giudice, il caso fortuito, ma si era limitata a motivare solamente in ordine alla responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c., omettendo di valutare la responsabilità extracontrattuale per violazione delle norme di cui agli artt. 2051 e 2043 cod. civ.
Infine, la ricorrente assume che, pur essendo la responsabilità dell’Infortunio riconducibile alla Casa di Riposo Santa Chiara ASP per la ragione sopra espressa, non poteva non considerarsi il comportamento processuale contraddittorio della datrice di lavoro Colser che, contrariamente a quanto affermato in sede di tentativo di conciliazione, aveva successivamente negato in giudizio la circostanza dell’esistenza di diversi centimetri d’acqua nel bagno nel momento in cui era avvenuta la caduta, per cui si vedeva costretta ad estendere la domanda in via solidale od alternativa nei confronti delle altre controricorrenti.
Il ricorso è infondato.
Invero, l’unico motivo di censura del ricorso non supera il rilievo, correttamente evidenziato dalla Corte di merito, del mancato assolvimento, da parte della lavoratrice, degli oneri di allegazione e di prova in ordine alla pericolosità dell’ambiente di lavoro ed alla sussistenza del nesso causale fra tale situazione di pericolo ed il lamentato danno, atteso che solo l’esito positivo di una tale allegazione e dimostrazione avrebbe spostato sulla committente e sull’appaltatrice del lavoro l’onere di fornire, a loro volta, la relativa prova liberatoria.
Infatti, con motivazione adeguata ed esente da rilievi di ordine logico-giuridico, la Corte di merito, dopo aver chiarito che la domanda proposta nei confronti della Casa di Riposo committente si basava sull’asserita inosservanza di norme di sicurezza di legge, generali e speciali, ha spiegato che nella fattispecie la lavoratrice non aveva neppure specificamente allegato le modalità dell’infortunio, essendosi limitata a far riferimento alla presenza di alcuni centimetri d’acqua sul pavimento del bagno ove aveva eseguito le pulizie, senza dedurre ed offrire la prova dello stato dei luoghi, ovverosia se si era trattato di una situazione anomala non riconoscibile e determinante una situazione di pericolo non neutralizzabile nemmeno coi dispositivi di protezione (scarpe antiscivolo) di cui era pacificamente dotata. In sostanza, secondo il corretto ragionamento della Corte d’appello, ricadeva sulla lavoratrice, la quale aveva lamentato di aver subito un danno a causa dell’attività lavorativa svolta, l’onere di dimostrare non solo il danno lamentato, ma anche la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra tali circostanze.
Invero, come questa Corte ha già avuto occasione di statuire (Cass. sez. lav. n. 2897 del 13/2/2015), “in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la nozione di rischio ambientale cui si ricollega la copertura assicurativa – quale rischio che deriva dalla pericolosità dello spazio di lavoro, della presenza di macchine e del complesso dei lavoratori in esso operanti – non esonera il lavoratore dall’onere di provare le modalità concrete dell’Infortunio occorsogli durante gli spostamenti sul luogo di lavoro, essendo ciò necessario al fine di verificare se il detto infortunio, quand’anche ivi verificatosi, sia comunque correlato ad attività funzionale allo svolgimento della prestazione lavorativa.”
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore di ognuna delle tre controricorrenti delle spese del presente giudizio nella misura di € 2500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma il 12 gennaio 2016

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