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Cassazione Civile, Sez. Lav., 01 giugno 2016, n. 11409

Cd. ’tempo tuta’ e ’tempo tragitto’.


Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO
Data pubblicazione: 01/06/2016

Fatto

La società I. s.p.a. convenne in giudizio il dipendente P., chiedendo che venisse accertata la legittimità del computo dell’orario di lavoro, dal marzo 1995, in relazione a determinate attività, in seguito precisate. Il P. si costituiva resistendo alla domanda di accertamento e, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna della società al pagamento delle maggiorazioni previste per il lavoro straordinario, con le relative incidenze sugli istituti contrattuali, oltre al risarcimento del danno non patrimoniale.
Il Tribunale di Milano, con sentenza non definitiva n. 1443\08, dichiarò il diritto del P. ad essere compensato con la maggiorazione contrattualmente prevista per il lavoro straordinario per ogni giorno di effettiva presenza e per i casi di effettivo superamento dell’orario normale per: a) il tempo minimo di percorrenza dall’ingresso dello stabilimento allo spogliatoio e per il percorso inverso; b) il tempo necessario ad indossare la tuta da lavoro e gli indumenti di sicurezza, e per l’operazione inversa ; c) il tempo per recarsi dallo spogliatoio fino all’orologio marcatempo sito in prossimità del reparto e per compiere il percorso inverso in uscita. Il tutto nei limiti della prescrizione quinquennale. Disponeva quindi c.t.u. contabile per la quantificazione degli importi dovuti al P..
Le sentenza venne impugnata dal P., che ha lamentato: a) il mancato riconoscimento dell’incidenza dello straordinario riconosciuto sulla tredicesima e sull’indennità ferie; b) che fosse stata accolta l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall’I. tardivamente, solo nella memoria di replica.
L’I. ha resistito, proponendo appello incidentale.
Secondo la società il Tribunale aveva errato nel considerare alla stregua del “tempo di lavoro” quello speso per il tragitto andata- ritorno dai tornelli di ingresso ai reparti di assegnazione benché il c.c.n.l. chiaramente escludesse dal tempo di lavoro retribuito quelle attività anteriori o posteriori a quelle di lavoro strettamente inteso e nonostante che, per legge, “orario di lavoro” è quello della prestazione effettiva, escluse le soste e il tempo speso per recarsi sul posto di lavoro, sia all’esterno che all’Interno dell’azienda o stabilimento, e quello occorrente per raggiungere la postazione lavorativa.
Con sentenza depositata il 27 giugno 2011, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, accertava il diritto del P. alla corresponsione della retribuzione con la maggiorazione, per il ’tempo tuta’ e per il ’tempo tragitto’, così come riconosciuto dal primo giudice, con esclusione del tempo impiegato per portarsi dagli ingressi nell’area dello stabilimento agli spogliatoi e viceversa (mantenendo i lavoratori la disponibilità di tale tempo, non eterodiretto), anche per il periodo 16.08.1995 al 23.5.2000; accertava altresì il diritto all’incidenza sulla tredicesima mensilità e sulla retribuzione del periodo feriale dei compensi inerenti l’orario di lavoro riconosciuto. Condannava la società al pagamento delle differenze retributive citate, con accessori di legge ex art.429, comma 3, c.p.c. Confermava nel resto la sentenza e condannava l’appellata I. s.p.a. alla rifusione delle spese del grado.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso per cassazione la società I., affidato a sette motivi.
Resiste il P. con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato affidato ad unico motivo.

Diritto

Debbono pregiudizialmente riunirsi i ricorsi proposti avverso la medesima sentenza, nonché rilevarsi che la società I. s.p.a., ora in A.S., ha dedotto di aver rinunciato al ricorso, rinuncia che il controricorrente ha dichiarato essergli stata notificata, senza tuttavia accettarla.
Occorre allora osservare che la rinuncia al ricorso comporta l’estinzione del processo anche in assenza di accettazione della controparte, non avendo tale rinuncia carattere accettizio (ma pur sempre carattere recettizio, esigendo l’art. 390 c.p.c. che essa sia notificata alle parti costituite o comunicata ai loro avvocati che vi appongono il visto, v.Cass. sez.un. 18.2.2010 n. 3876, Cass. 31.1.2013 n. 2259), non richiedendo cioè l’accettazione della controparte per essere produttiva di effetti processuali, ex art. 390 c.p.c. (Cass. 15 ottobre 2009 n. 21894). Ciò discende anche dal quarto comma dell’art. 391 c.p.c., secondo cui in caso di rinuncia, non è pronunciata condanna alle spese “se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente, o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale”.
L’accettazione della controparte rileva dunque unicamente quanto alla regolamentazione delle spese, stabilendo il secondo comma dell’art. 391 c.p.c. che, in assenza di accettazione, la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese.
Nella specie, risultando assorbito il ricorso incidentale condizionato; valutato il consolidato orientamento di legittimità in senso sfavorevole alla società, ed il principio della soccombenza virtuale, le spese di causa debbono porsi a carico della società ricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e dichiara estinto il giudizio. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 18 febbraio 2016

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