Infortunio con un mezzo elevatore omologato per il sollevamento di soli materiali e non delle persone.
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 10/03/2016
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Monza con la quale P.A. era stato giudicato responsabile delle lesioni personali patite da Y.A. a seguito di infortunio sul lavoro e condannato alla pena ritenuta equa.
Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito il 26 gennaio 2008, nel cantiere sito in Cesano Maderno, l’operaio muratore Y.A., dipendente della Sima costruzioni S.r.l., insieme ad altro operatore, era stato incaricato dal P.A. di effettuare piccole demolizioni di resti di solai in precedenza demoliti. L’imputato aveva quindi organizzato i preparativi, predisponendo il sollevatore del cestello di un mezzo elevatore, facendo entrare i due operai nella cesta metallica ed iniziando la manovra. Che però sbagliava, inclinando le forche verso il basso, sicché la cesta si sfilava dalle stesse e, non essendo trattenuta dall’apposito gancio di fermo, nell’occasione non agganciato, cadeva al suolo. Ne derivava la caduta libera dei lavoratori dall’altezza di circa 4 metri. I successivi accertamenti permettevano di evidenziare che il sollevatore era omologato per il sollevamento dei soli materiali.
La Corte d’appello ha escluso che avesse fondamento il motivo dell’appellante che riconduceva il verificarsi dell’infortunio al caso fortuito. Ad avviso della Corte distrettuale vi era stato un chiaro comportamento negligente da parte dell’imputato.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione personalmente l’imputato.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge processuale in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio motivazionale.
Rileva il ricorrente che, a differenza di quanto affermato dalla Corte di appello, per la quale la dinamica del fatto era stata chiarita con certezza dai tecnici dell’Asl, i vigili urbani, unici intervenuti sul luogo dei fatti, si erano espressi in termini incerti quanto alla ricostruzione dell’accaduto, sicché il principio secondo il quale la condanna dell’imputato può essere pronunciata solo quando la sua responsabilità é accertata al di là di ogni ragionevole dubbio avrebbe dovuto condurre alla pronuncia assolutoria.
Per il ricorrente la ricostruzione della corte territoriale concernente il mancato aggancio del blocco sicurezza del cestello è in contraddizione con quanto si legge nel rapporto dell’Asl a riguardo della impossibilità di esprimere con certezza che la cesta avesse un sistema compatibile di aggancio di sicurezza al sollevatore. Anche a riguardo dell’inidoneità del medesimo mezzo al sollevamento di persone il ricorrente rileva che non è stato svolto alcun accertamento al riguardo ed anzi é stata prodotta documentazione concernente il cestello noleggiato da cui si evince l’omologazione dello stesso al sollevamento di persone. Il dato era stato già sottoposto alla Corte di appello, che non ha replicato sul punto.
2.2. Con un secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 590 cod. pen. e vizio motivazionale. Si rappresenta che gli accertamenti delle autorità intervenute hanno evidenziato che il cantiere era a norma e che era stata rispettata ogni prescrizione di legge. Pertanto nessuna colpa può essere attribuita all’imputato, dovendosi ascrivere il fatto al malfunzionamento dello sgancio del cestello.
Diritto
3. In primo luogo appare opportuno puntualizzare che il reato per cui si procede non risulta alla data della presente decisione estinto per il decorso del termine massimo di prescrizione, giacché questo, per effetto di un periodo di sospensione pari nel complesso a sette mesi e ventinove giorni cade il 22.3.16.
4. Il ricorso risulta inammissibile.
4.1. Il primo motivo é manifestamente infondato. A fronte del rilievo mosso dal ricorrente giova rammentare che, in tema di violazione di legge processuale, la giurisprudenza di questa Corte è nel senso della rilevanza delle sole violazioni che risultino sanzionate. In particolare si afferma che, poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., con riferimento all’attendibilità dei testimoni dell’accusa, la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata, atteso che il vizio di motivazione non può essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione o errore che concerna l’analisi di determinati e specifici elementi probatori (Sez. 3, Sentenza n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567). Ed ancora, che è inammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. 6, Sentenza n. 45249 del 08/11/2012, Omini e altri, Rv. 254274).
La prospettiva dalla quale, in sede di giudizio di legittimità, può quindi guardarsi all’art. 192 cod. proc. pen. è quella del vizio motivazionale. Ciò significa che va eseguito il controllo sul rispetto, da parte del giudice di merito, dei criteri dettati in materia di valutazione delle prove dall’art. 192 cod. proc. pen.; controllo seguito con il ricorso ai consueti parametri della completezza, della correttezza e della logicità del discorso motivazionale (Sez. 6, Sentenza n. 20474 del 15/11/2002, Caracciolo, Rv. 225245). Ove si tratti, poi, di processi indiziari, alla Corte di Cassazione spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi nonché la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l’elemento indiziario, ma non un nuovo accertamento, nel senso della ripetizione dell’esperienza conoscitiva del giudice del merito. Ne discende che l’esame della gravità, precisione e concordanza degli indizi da parte del giudice di legittimità è ancora una volta controllo della completezza, della correttezza e della logicità del discorso motivazionale.
Orbene, la motivazione resa dalla Corte di Appello appare immune da censure elevabili in questa sede; e d’altro canto neppure il ricorrente ne ha individuato alcuna, limitandosi a postulare l’incertezza della ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito. Un’incertezza invero inesistente, se essa viene fatta derivare dal solo fatto che i vigili urbani che intervennero sul posto si espressero in termini probabilistici quanto alla dinamica del fatto; circostanza del tutto inidonea a dare dimostrazione del mancato successivo superamento del dubbio (ed é il medesimo ricorrente a rammentare che l’ufficiale di p.g. dell’ASL procedette ad assumere sommarie informazioni dai due lavoratori infortunatisi). D’altro canto, l’evocazione del principio della necessità che la condanna venga pronunciata quando risulti superato ogni ragionevole dubbio non autorizza a dare enfasi ad un qualsiasi elemento di incerto profilo deducibile dagli atti processuali, alludendo piuttosto alla persistente persuasività di una ipotesi alternativa a quella che fonda la responsabilità dell’imputato, essa pure corroborata dalle acquisizioni disponibili. Nel caso che occupa non risulta formulata alcuna ipotesi alternativa.
Il solo aspetto che merita di essere realmente considerato del motivo in esame é quello che chiama in causa una eventuale carenza motivazionale a fronte di un documento dal quale risulterebbe che il mezzo sollevatore era omologato anche per il sollevamento di persone. In realtà questa Corte non deve procedere ad un verifica della effettiva ricorrenza di quel si profila in astratto anche come un vizio di travisamento per omissione. Infatti, che il mezzo potesse essere utilizzato o meno per il sollevamento delle persone é questione che non rappresenta l’unica ragione di addebito nei giudizi di condanna. Al P.A. é stato ascritto anche di aver malamente utilizzato il mezzo, sia omettendo di agganciare la cesta al medesimo, assicurandone così la stabilità rispetto al rischio di caduta, sia incrinando le forche difformemente ad una perita condotta di manovra. Profili che non sono stati neppure evocati dal ricorrente.
4.2. Anche il secondo motivo é manifestamente infondato, risultando formulato con esso un rilievo del tutto inconferente rispetto al tema; é ben possibile che il cantiere non presentasse alcuna ulteriore inosservanza alle norme in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, senza che ciò elida le circostanze alla base del sinistro che qui occupa.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in € 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10/3/2016.