Nel recente Accordo Stato Regioni del 7 Luglio, centrato sulla formazione agli RSPP/ASPP e su altro, torna il tema del Benessere Organizzativo.
I lettori di ReS hanno già ragionato su questo concetto leggendo due articoli apparsi a febbraio (Può realizzarsi il benessere organizzativo?) e a settembre (Benessere aziendale e partecipazione) dello scorso anno, ma visto l’inserimento del Benessere Organizzativo nella formazione del Modulo C e tra gli argomenti dell’aggiornamento, vale la pena tornarci.
Torniamo quindi a riflettere su alcuni assunti di base.
L’organizzazione è un sistema socio-tecnico dove convivono aspetti soft e aspetti hard, lavoro e tecnologia, persone e know how, sistemi e mondi vitali. Accanto all’organizzazione definita dall’autorità o dalle tecnologie operanti, che stabiliscono strutture, procedure, sistemi di coordinamento/controllo e dividono il lavoro individuando ruoli e mansioni, si muove tutto un contesto latente costituito da comportamenti, usi, attese, motivazioni delle persone. Esiste insomma, accanto all’organizzazione tecnico/formale, un’organizzazione delle persone che nasce da fenomeni come le attese, le percezioni, le relazioni e la quotidianità.
(La Rosa, 1993)
I due aspetti costituiscono un solo aspetto che è la realtà lavorativa vissuta, reale. È chiaro che migliorare l’una parte, quella hard organizzativo-tecnologica, ha un senso e una efficacia se si accompagna a un miglioramento dell’altra parte, quella soft relazionale-soggettiva.
Questa seconda parte è stata storicamente, e lo è in buona parte ancora, messa da parte. L’organizzazione tayloristica si basava sulla minuziosa identificazione di comportamenti, meglio movimenti, ripetitivi da insegnare al lavoratore. L’efficienza era massima in un contesto di produzione di massa e di un mercato bassamente selettivo (“potete acquistare qualsiasi auto basta che sia una Ford T di colore nero” disse Henry Ford). La sofferenza umana era ed è molto alta, benché molto migliore se confrontata con le condizioni descritte da Engels in la “Condizione della classe operaia in Inghilterra” e basata in larga parte sui rapporti degli ispettori del lavoro (sì, a fine ‘800 nel Regno Unito già c’erano!).
Dice lo psicologo E. Spaltro:
Se sino ad oggi il soggetto è stato sempre concepito come un “soggetto doloroso” (lotta per lo stare un po’ meglio), oggi i tempi sono cambiati e gli interessi stanno virando, anche se lentamente, verso il benessere, il piacere e la soddisfazione dei desideri.
Chiarisce Spaltro:
[…] Già la trasformazione del mondo costituito essenzialmente da bisogni (dipendenza, frustrazione, paura, libertà) nel mondo prevalentemente costituito da desideri (relazione, soddisfazione, speranza, comunicazione, negoziazione) ha rappresentato un passo avanti per la costruzione della psicologia del benessere […] (Spaltro, 1997).
Oggi con il graduale venir meno di quelle condizioni, la delocalizzazione di molte produzioni a basso contenuto qualitativo e la crescente consapevolezza sociale, le cose stanno cambiando.
La storia del tema della salute nei luoghi di lavoro ha seguito inevitabilmente questo andamento.
Ha implicato inizialmente una concezione meccanicistica del contributo delle persone, prevedendone una prestazione “tecnica” che ignorava, e considerava disturbanti, le componenti soggettive di tipo motivazionale, relazionale e emozionale. Si è privilegiato così più l’attenzione all’apporto quantitativo ed esecutivo della prestazione (lavorare sodo, impegnarsi di più, fare il proprio dovere, non fare errori, rispettare le regole e gli adempimenti) che all’aspetto qualitativo e innovativo, generando una cultura gestionale e una leadership autoritaria ancora oggi molto presenti. Successivamente si è indagato a fondo sulle componenti soggettive del lavoratore sia sul fronte del miglior utilizzo e rendimento nell’apparto produttivo (che restava sempre pre-stabilito), sia sul fronte della minimizzazione di danni e ostacoli, e conseguenti costi, dovuti alla sua autonomia emozionale e psichica, causa di disfunzionalità di grande portata (disaffezione, assenteismo, infortunistica, conflittualità, burn-out, ecc.). Ciò spiega come tradizionalmente l’attenzione del benessere organizzativo si è concentrata ad elaborare due tematiche principali, quella della sicurezza sul lavoro e quella della salute psicofisica della persona. Ma in entrambi i casi l’impostazione è stata inevitabilmente risanatoria, riduttiva, tesa cioè a ridurre, a diminuire il mal essere e dunque il benessere era inteso come assenza del malessere, come eliminazione del disturbo, come normalizzazione (cioè primato della norma), non come aggiunta di un elemento generativo.
(Carlo Consiglio, 2012)
Il pre-stabilito oggi confligge con la flessibilità e mobilità “liquida” anche della produzione.
In questa nuova sfida, i processi produttivi governati da apparati organizzativi pre-disposti in base a parametri tecnici e normativi risultano ineluttabilmente rigidi, vincolanti, paralizzanti, contro-produttivi. Ed è invece la risorsa umana quella che diventa determinante, diventa risorsa strategica, pregiata, fattore differenziativo, “capitale umano”. E sono infatti le persone le uniche risorse dell’organizzazione in grado di poter essere flessibili, adattabili, intelligenti, situazionali, in apprendimento continuo, collaborative, creative e innovative, autonome e responsabili. Ma le persone sono anche un sistema integrato complesso in cui lottano perennemente per l’equilibrio ragione e passione, valori e emozioni, idealità e debolezze, ambizioni e risentimenti, intelligenze e intolleranze, ansie e talenti, disponibilità e bisogni, ecc.
Questo ambiente deve essere caratterizzato da quello che oggi viene individuato come “benessere organizzativo”, cioè un contesto che favorisca l’investimento psichico dei soggetti che vi operano, e, per questa via, l’appartenenza, la partecipazione, l’espansività del proprio potenziale, l’espressione delle competenze, la generazione di soluzioni e di innovazione, la rigenerazione delle energie, la relazionalità positiva e solidale, la costituzione di un clima avvincente, rassicurante e gratificante.