Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 ottobre 2016, n. 21882

Il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza, art. 2087 c.c. e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’art. 1218 cod. civ. circa l’inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.
In coerenza con i suesposti principi la Corte territoriale ha infatti, affermato che l’infortunio si era verificato nel corso dell’attraversamento dei binari e, specificamente, durante il passaggio su di una passerella (come desumibile dalla denuncia del lavoratore e dalla certificazione medica in atti), il cui obbligo di corretta manutenzione gravava a carico della parte datoriale.


Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: LORITO MATILDE
Data pubblicazione: 28/10/2016

Fatto

Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da P.A. nei confronti di Trenitalia s.p.a. intesa a conseguire il risarcimento del danno biologico, esistenziale e morale risentito per effetto dell’infortunio sul lavoro occorsogli presso la stazione di Cecchina, in data 15/9/99, allorquando, nell’attraversare i binari sulla passerella, era caduto riportando una distorsione al ginocchio, e condannava la società al pagamento della somma di euro 19.912,54.
Detta pronuncia veniva confermata dalla Corte d’Appello capitolina con sentenza non definitiva n.5331 del 2008. A fondamento del decisum la Corte distrettuale osservava che non vi era contraddizione fra la dichiarazione di infortunio e la lettera di messa in mora inviata al datore di lavoro, giacché il ricorrente aveva sempre fatto riferimento all’attraversamento dei binari sulla passerella, nel corso della quale era caduto. Riteneva quindi, che il ricorrente avesse dedotto in giudizio sia la responsabilità contrattuale che quella extracontrattuale, e che in ogni caso gravasse sulla società l’onere di dimostrare che i beni aziendali fossero in buono stato di manutenzione.
La cassazione di tale sentenza era domandata da Trenitalia s.p.a. con tre motivi, resistiti con controricorso dall’intimato.
La Corte territoriale emetteva successiva sentenza non definitiva di cui al n.1934 del 2009 con cui dichiarava il diritto del P.A. al riconoscimento della differenza fra l’importo liquidato a titolo risarcitorio secondo i criteri civilistici e quello liquidato dall’Inail.
Con sentenza definitiva n.6620 del 2009, depositata in data 29/4/2011, la Corte distrettuale, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava Trenitalia s.p.a. al pagamento in favore del P.A., della minor somma di euro 12.339,21 detraendo dall’importo già riconosciuto in favore del lavoratore, la somma corrisposta dall’Inail a titolo di indennità di inabilità assoluta pari ad euro 7.573,21.
Trenitalia s.p.a. con atto notificato il 28/10/2011 ha interposto ricorso per cassazione avverso tale decisione, nonché avverso la seconda sentenza non definitiva, condizionati all’accoglimento del ricorso avverso la prima, sentenza non definitiva, e, quindi, all’accertamento dell’assenza di responsabilità della società in ordine al verificarsi dell’evento dannoso.
La società ha altresì depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art.378 c.p.c.
Ha resistito con controricorso l’intimato.

Diritto

Deve premettersi che i ricorsi per cassazione proposti contro sentenze che, integrandosi reciprocamente, definiscono un unico giudizio (come, nella specie, la sentenza non definitiva e quella definitiva) vanno preliminarmente riuniti, trattandosi di un caso assimilabile a quello – previsto dall’art. 335 cod. proc. civ. – della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza (vedi Cass. 1/4/2004 n.6391, Cass. 10/7/2001 n.9377).
In conformità ai suddetti principi, va pertanto disposta la riunione fra le cause di cui ai nn. r.g. 2438/2011 e 26110/2011.
Ciò premesso, con il primo motivo del ricorso di cui alla causa n.2438/2011, proposto avverso la sentenza non definitiva della Corte d’Appello di Roma n.5331/2008, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt.2043 e 2087 c.c., dell’art.10 d.p.r. 1124 del 1065 e dell’art.116 c.p.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art.360 n.5 c.p.c..
Critica la sentenza impugnata giacché, con motivazione apodittica e oscura, dapprima afferma che il lavoratore aveva azionato in giudizio sia la responsabilità contrattuale che quella extracontrattuale, e successivamente deduce che la responsabilità in ordine all’infortunio occorso sussiste, senza specificare a quale di esse faccia riferimento.
Deduce altresì che la Corte distrettuale ha errato nel non ritenere di natura extracontrattuale la responsabilità invocata dal dipendente, con tutti gli effetti che ne derivano in tema di ripartizione degli oneri probatori, richiamando al riguardo le linee tracciate dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la domanda volta al conseguimento del risarcimento del danno differenziale va inquadrata nell’ambito della responsabilità aquiliana.
Con la seconda censura si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, nonché violazione e falsa applicazione degli artt.2697 c.c. e 116 c.p.c.
Si ribadisce la carenza che contraddistingue la motivazione della sentenza impugnata, laddove omette ogni riferimento alle risultanze emerse in corso di causa ed alle eccezioni formulate dalla società nel propri atto di gravame.
Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt.2697 c.c. e 116 c.p.c.
Si stigmatizza l’impugnata sentenza per la sostanziale mancata valutazione delle risultanze processuali, rimarcandosi che già il ricorso introduttivo del giudizio recava una serie di affermazioni contraddittorie e comunque infondate, che non avrebbero potuto consentire l’accoglimento della pretesa azionata, giacché non si era fatto alcun riferimento ad una buca nella ricostruzione dell’infortunio resa in sede di procedimento espletato dinanzi all’Inail, né nella denuncia di infortunio, bensì esclusivamente ad un inciampo nel corso dell’attraversamento del binario.
I motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi, vanno disattesi.
La sentenza non definitiva oggetto di impugnazione, si palesa, invero, conforme a diritto, in quanto coerente nei suoi approdi con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 cod. civ. – la quale non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva – al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambierite di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente non potendo il datore medesimo essere totalmente esonerato da responsabilità in forza dell’eventuale concorso di colpa del lavoratore, se non quando la condotta di quest’ultimo, in quanto del tutto imprevedibile, rappresenti essa stessa la causa esclusiva nn. r.g. 2438/2011 e 26110/2011 dell’evento (vedi ex plurimis, Cass. 13/8/2008 n.21590, Cass.17/2/2009 n.3786, Cass. 4/2/2016 n. 2209).
Tanto sul presupposto che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’art. 1218 cod. civ. circa l’inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, (vedi Cass. cit. n.21590/2008, Cass. 26/6/2009 n.15078).
In coerenza con i suesposti principi la Corte territoriale ha infatti, affermato, con sia pur sintetico incedere argomentativo, che l’infortunio si era verificato nel corso dell’attraversamento dei binari e, specificamente, durante il passaggio su di una passerella (come desumibile dalla denuncia del lavoratore e dalla certificazione medica in atti), il cui obbligo di corretta manutenzione gravava a carico della parte datoriale.
In tal senso ha reso una pronuncia corretta sul versante giuridico, avendo disposto buon governo della ripartizione degli oneri probatori relativi alla materia trattata, uniformandosi altresì al principio enunciato da questa Corte secondo cui ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, è sufficiente che esso sia avvenuto in una “occasione” di lavoro, non occorrendo la derivazione da una “causa” di lavoro, sicché rilevano tutte le condizioni, anche ambientali e socio-economiche, in cui l’attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che il rischio provenga dall’apparato produttivo, da terzi o da fatti propri del lavoratore, col solo limite, in quest’ultimo caso, del rischio elettivo, derivante da una scelta volontaria del lavoratore stesso, diretta a soddisfare esigenze personali, (cfr. ex aliis, Cass. 23/07/2012 n.12779 ).
La decisione si palesa poi, immune dalle censure sollevate con il secondo e terzo motivo di ricorso.
Va infatti rimarcato che in tema di valutazione delle risultanze probatorie, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art.360 c.p.c., comma 1, n.5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. 15/1/14 n.687). L’art.116 c.p.c., comma 1, consacra il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento – salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale – è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali; e tale apprezzamento è insindacabile in cassazione in presenza di congrua motivazione, immune da vizi logici e giuridici.
Nello specifico, non può sottacersi che il ricorso in esame sollecita, nella contestuale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, un riesame dei fatti, inammissibile nella presente sede, giacché tende a proporre una rinnovata definizione del quadro probatorio delineato in prime cure, del quale si rilevano elementi di dissonanza e che si deducono non evidenziati dal giudice dell’impugnazione.
Il motivo di ricorso ex art. 360, co.l, n.5, c. p. c. non conferisce, infatti, alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
In ogni caso, per considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (fra le tante, vedi Cass.4/4/2014 n.8008).
Orbene, nello specifico, la ricorrente si è limitata ad esporre un’interpretazione del quadro istruttorio a sé favorevole al solo fine di indurre il convincimento del giudice di legittimità che l’adeguata valutazione di tali fonti probatorie avrebbe giustificato la reiezione della avversa domanda, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti.
Tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. .
Discende da tanto che detti motivi, presentando evidenti profili di inammissibilità, vanno disattesi.
Da quanto sinora detto, discende altresì la reiezione del ricorso di cui al n. r.g. 26110/2011, con cui la società ha impugnato la sentenza definitiva della Corte d’Appello di Roma n.6620/09, essendo tale ricorso condizionato all’accoglimento del precedente ricorso.
Il governo delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità segue, infine, il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

P.Q.M.

La Corte riunisce al presente giudizio n.2438/2011 quello recante il n.26110/2011.
Rigetta entrambi i ricorsi proposti da Trenitalia s.p.a. e condanna tale società al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.500,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma 8 giugno 2016

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