Liquidazione del danno conseguente ad infortunio nel cantiere. Litispendenza.
Presidente: ARIENZO ROSA
Relatore: GARRI FABRIZIA
Data pubblicazione: 31/10/2016
FattoDiritto
Con ordinanza del 13 luglio 2015 il Tribunale di Padova nel giudizio proposto da D.P.B. iscritto al n. R.G. 2409 del 2003 ed avente ad oggetto la quantificazione del danno conseguente all’infortunio occorso al D.P.B. in data 6.2.2013, ha dichiarato la litispendenza e cancellato dal ruolo la causa sul rilievo che analoga controversia era pendente davanti alla Corte di appello di Venezia precisando altresì che la controversia sull’an del risarcimento era stata decisa dalla Corte di appello di Venezia con sentenza n. 359 del 2012 e che avverso detta sentenza era stato proposto ricorso per cassazione. Avverso il provvedimento che ha dichiarato la litispendenza propone regolamento di competenza D.P.B..
Resiste la Isocaf s.r.l. che deposita memoria ai sensi dell’art. 380 ter comma 2 c.p.c..
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Tanto premesso il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Va premesso che con il ricorso del 1.9.2006 il D.P.B. conveniva in giudizio sia la ISOCAF s.r.l., società appaltante, che la Asfalti SB s.n.c. di L.S. e M.B. ed i soci di quest’ultima in proprio e deduceva di aver lavorato alle dipendenze della Asfalti SB s.n.c. presso la Isocaf s.r.l. svolgendo la sua attività sulla base di direttive impartitegli dalla Isocaf s.r.l..
Evidenziava che in data 6.3.2003 aveva subito un infortunio mentre lavorava all’interno del cantiere edile per la realizzazione della nuova zona artigianale “Dolina 2” di San Dorlingo della Valle (TS) riportando una invalidità del 75%.
Chiedeva pertanto che si accertasse che tra la Isocaf s.r.l. e la Asfalti SB s.n.c. esisteva un rapporto di subappalto di mere prestazioni lavorative vietato dalla legge n. 1369 del 1960 ratione temporis applicabile alla fattispecie. Che per l’effetto il rapporto di lavoro doveva ritenersi accertato nei confronti della Isocaf s.r.l. che era tenuta ad apprestare le necessarie misure per la sicurezza nel luogo di lavoro.
Deduceva inoltre la violazione da parte delle società convenute dell’art. 2087 c.c., art. 10 d.P.R. n. 547 del 1955 ed art. 5 comma 1 lett. b) del d.lgs. 494 del 1996 e degli arti. 10, 16 e 68 del d.P.R. n. 164 del 1956 e chiedeva, in via principale, la condanna della Isocaf s.r.l. al risarcimento del danno morale e patrimoniale, comprensivo delle spese mediche sostenute, che quantificava in € 725.421,12 ed inoltre la condanna dei soci della Asfalti SB s.n.c. L.S. e M.B. al risarcimento del danno nella misura di € 100.000,00 ciascuno previo accertamento della commissione del delitto di simulazione di reato.
In via subordinata, poi, chiedeva che fosse accertata la responsabilità in solido delle società convenute e la condanna al risarcimento del danno conseguente all’infortunio sempre nella misura di € 725.421,12.
Il Tribunale di Padova, con sentenza parziale del 27.10.2009, accertava la responsabilità della Asfalti s.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili in ordine all’infortunio e, con sentenza definitiva del 17.6.2010 quantificava il danno biologico in € 418.277,65 ed il danno patrimoniale conseguente alla perdita della capacità lavorativa specifica in € 47.302,92.
Con sentenza dell’ 1.10.2012 la Corte di appello di Venezia riformava la sentenza parziale e riconosceva la responsabilità della Isocaf s.r.l. condannandola al risarcimento dei danni subiti.
La sentenza era confermata dalla Cassazione in data 28.8.2015 con la sentenza n. 17287 del 2015.
Nelle more della definizione del giudizio sul an debeatur., con ricorso depositato l’8.7.2013, il D.P.B. adiva nuovamente il Tribunale di Padova per chiedere la condanna della Isocaf al risarcimento del danno da lui subito in conseguenza dello stesso infortunio del 6.2.2003 ritenendo che la sentenza definitiva del Tribunale di Padova, con la quale era stato quantificato il risarcimento del danno, fosse caducata per effetto dell’annullamento della sentenza sull’an da parte della Corte di appello di Venezia che aveva escluso la responsabilità della Asfalti SB e dei suoi soci.
E’ in tale ultimo procedimento che è intervenuta la declaratoria di litispendenza oggetto del presente regolamento.
Secondo il ricorrente infatti a norma dell’art. 336 comma 2 c.p.c. per effetto della riforma della sentenza che ha deciso sull’imputazione della responsabilità sarebbe rimasta travolta anche la decisione che ha quantificato il danno.
Sostiene poi il ricorrente che il petitum e la causa petendi della controversia successivamente iniziata si fonderebbe su un fatto costitutivo nuovo: l’accertata responsabilità della Isocaf s.r.l. nella causazione del danno di tal che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di Padova con il provvedimento impugnato, non sarebbe ravvisabile la litispendenza.
Ritiene al contrario il Collegio che la decisione del Tribunale di Padova di dichiarare la litispendenza e disporre la cancellazione della causa dal molo sia corretta e debba essere quindi confermata.
Come è noto a norma dell’art. 336 c.p.c., comma 2, “la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”.
Con l’attribuzione, alla riforma o alla cassazione della sentenza non definitiva, di un effetto espansivo esterno, il legislatore ha, quindi, risolto il problema del coordinamento fra gravame immediato contro la sentenza non definitiva e giudizio ancora pendente sulla materia residua del contendere.
Pertanto, secondo la giurisprudenza univoca di questa Corte, restano caducate le successive sentenze definitive, pur se passate in giudicato, che nella sentenza non definitiva riformata o cassata trovano il loro fondamento logico giuridico ( cfr. Cass. n. 573 del 2015, n. 13915 del 2014, n. 3656 del 2013, n. 34 del 2011, n. 2125 del 2006, n. 2204 del 2005, n. 1589 del 1990 e recentemente 17213 del 2015).
Deve essere tuttavia ricordato che perché si inneschi questo effetto caducatorio è necessario che la sentenza non definitiva — sull’an debeatur – riformata o cassata si trovi rispetto alla sentenza definitiva in un rapporto di pregiudizialità logica (cfr. Cass. n. 5644 del 1988) che faccia venir meno del tutto la statuizione su cui la sentenza definitiva di quantificazione del danno si fondava.
Al pari del caso in cui la cassazione della sentenza non definitiva abbia investito soltanto alcune statuizioni sull’an debeatur e la caducazione della pronuncia definitiva riguardi unicamente le parti dipendenti dalla sentenza cassata, nel caso in cui la riforma della decisione investa la distribuzione della responsabilità tra le parti convenute in giudizio, senza tuttavia escluderne la sussistenza, non si determina l’effetto caducatorio prospettato sulla successiva sentenza definitiva che si limita a liquidare il danno.
Nel caso in esame la domanda risarcitoria era stata avanzata in via principale proprio nei confronti della Isocaf s.r.l..
La liquidazione del danno, nella prospettazione del ricorrente del 2006, era parametrata all’infortunio occorso ed alle conseguenze, patrimoniali e non, riportate.
Solo in via subordinata era stata chiesta la condanna della Asfalti SB s.n.c. al risarcimento del danno.
La Corte di appello non ha escluso l’esistenza di una responsabilità per l’infortunio riportato dal D.P.B. ma si è limitata a distribuirla in maniera differente.
Non è venuto meno, pertanto, l’antecedente logico della pronuncia che liquida il danno essendosi la Corte limitata, nel contraddittorio di tutte le parti convenute nel giudizio, a distribuirne diversamente la responsabilità.
In tale complessivo contesto fattuale, allora, è corretta la decisione del Tribunale di Padova che, investito di una causa avente ad oggetto la liquidazione del danno conseguente all’infortunio subito dal D.P.B., ha dichiarato la litispendenza ed ha cancellato la causa dal ruolo.
In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato e le spese del regolamento, liquidate in dispositivo, devono essere poste a carico della ricorrente risultata soccombente.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del regolamento liquidate in € 1500,00 per compensi professionali ed in € 100,00 per esborsi oltre al 15% per spese forfetarie ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.p.r..
Così deciso in Roma il 6 luglio 2016