Risarcimento del danno da infortunio: quando è l’erede a dover pagare.
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: SPENA FRANCESCA
Data pubblicazione: 16/11/2016
Fatto
Con ricorso al Tribunale di Parma del 6 agosto 2002 B.M. agiva nei confronti di S.L., nella qualità di erede del genitore S.LU. nonché di C.M. chiedendo condannarsi le parti convenute al risarcimento del danno biologico subito a seguito dell’infortunio sul lavoro del 18 settembre 1990, in misura di € 448.448.71 oltre accessori. Premetteva di avere subito un danno da invalidità temporanea e postumi permanenti per il quale aveva già promosso precedente giudizio nei confronti del datore di lavoro, S.LU. e del preposto, C.M., definito nei gradi di merito dal Pretore e dal Tribunale di Parma con accertamento della responsabilità delle parti convenute e condanna al risarcimento del danno, escluso il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa. La Corte di Cassazione, su ricorso delle originarie parti convenute – con sentenza 14440/2000- in accoglimento dell’ultimo motivo di ricorso e respinti gli altri, aveva cassato per vizio di motivazione la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice dell’appello aveva liquidato il danno biologico permanente applicando le tabelle del Tribunale di Milano in assenza di specifica motivazione.
Il giudizio, non riassunto nei termini, si estingueva.
Con l’attuale giudizio il B.M. chiedeva liquidarsi il danno biologico, sul presupposto della definitività delle statuizioni di accertamento della responsabilità e condanna dei convenuti al risarcimento del danno, non investite dalla sentenza di cassazione.
Il Tribunale di Parma, con sentenza del 23.9-8.10.2003 (nr. 525/03 ), accoglieva parzialmente la domanda, liquidando il danno biologico in € 429.856,26 oltre accessori; per S.L. limitava la condanna al valore dell’asse ereditario, stante la accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.
Proponeva appello S.L., impugnando la sentenza:
– nella parte in cui il giudice del primo grado aveva ritenuto insussistente la violazione del principio del bis in idem, eccezione, sollevata nelle note autorizzate, fondata sulla circostanza che il B.M. aveva già iniziato la esecuzione forzata e che il Tribunale di Parma aveva respinto la opposizione alla esecuzione (sentenza del 30.4.2003, nr. 280/03);
-nella parte in cui il Tribunale aveva omesso di quantificare il valore-limite della sua condanna nonostante la accettazione beneficiata.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 29.10 -24.12.2009 (nr. 1106/2009), in parziale accoglimento dell’appello, dichiarava che l’appellante in relazione alla domanda di risarcimento del danno biologico da invalidità permanente non era tenuta al pagamento oltre il limite di valore dell’eredità accettata, pari ad € 170.531,44.
La Corte territoriale respingeva invece la eccezione di violazione del principio del ne bis in idem. Osservava che le statuizioni di merito non interessate dalla sentenza di cassazione avevano acquisito autorità di giudicato sicché il B.M. poteva avvalersi del titolo esecutivo quanto al danno biologico temporaneo, al danno morale, al danno futuro ed al danno emergente mentre era tenuto ad nuova azione per la liquidazione del danno biologico permanente, fermo il diritto sull’an e nel rispetto delle statuizioni contenute nella sentenza di cassazione con rinvio (nr. 14440/2000).
Quanto al secondo motivo di appello, la Corte di merito riteneva che il Tribunale avrebbe dovuto quantificare, come richiesto, il limite della responsabilità dell’erede beneficiato sicché aveva errato nel demandare la questione alla fase esecutiva emettendo condanna per l’intero ammontare liquidato.
Esponeva che la S.L. aveva già eseguito pagamenti al B.M. in sede esecutiva, a seguito di conversione di un pignoramento sui beni del de cuius, in misura di € 505.613,93. .
Quanto al valore dei beni ereditari poteva farsi riferimento alla perizia di stima redatta per incarico del giudice dell’esecuzione nel corso del procedimento esecutivo, che valutava complessivamente i beni in € 676.145,37 alla data della perizia. La domanda del B.M. doveva pertanto essere accolta nel limite del residuo valore coperto dai beni ( € 170.531,44).
Da ultimo la Corte d’appello respingeva la eccezione di assegnazione del credito del lavoratore ad un terzo, creditore del lavoratore, nel corso di un procedimento di espropriazione presso terzi in danno del B.M.; rilevava la novità della eccezione e comunque la sua infondatezza.
Per la Cassazione della sentenza ricorre B.M., articolando quattro motivi.
Resiste con controricorso S.L., che ha altresì depositato memoria e documenti aggiunti (sentenze rese in sede di opposizione alla esecuzione).
C.M. è rimasto intimato.
Diritto
1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato la violazione degli articoli 112 e 437,co.2 cpc.
Ha esposto di avere eccepito nella propria memoria di costituzione in appello la novità delle domande introdotte dalla appellante rispetto alle difese del primo grado; in particolare ha dedotto che la domanda di limitazione della responsabilità al valore dell’asse ereditario non poteva ritenersi compresa nella diversa difesa, articolata nel primo grado, della dichiarazione del proprio difetto di legittimazione passiva.
In ogni caso il giudice dell’appello non poteva pronunziare sul motivo d’appello con il quale si chiedeva di contenere la condanna nel limite dell’importo di € 170.531,44, in quanto la domanda di accertamento della responsabilità intra vires era diversa da quella concernente il calcolo analitico del valore dei cespiti ereditari e su di essa era competente – come già ritenuto dal giudice del primo grado – il giudice della esecuzione o della opposizione alla esecuzione.
Il motivo è inammissibile.
La lamentata violazione del principio di corrispondenza tra il richiesto ed il pronunziato – ove in ipotesi sussistente- sarebbe infatti imputabile al giudice del primo grado; il Tribunale di Parma nell’emettere condanna di S.L., quale erede di S.LU., la circoscriveva infatti “nei limiti dell’eredità di quest’ultimo, accettata con beneficio di inventario” ed affermava essere riservata al giudice della esecuzione la concreta determinazione del valore- limite .
Tanto la questione della accettazione beneficiata che quella delle forme processuali di quantificazione del beneficio avevano formato oggetto, dunque, delle statuizioni di primo grado sicché la novità della questione rispetto alle difese della parte avrebbe dovuto essere dedotta dal B.M. quale motivo d’appello incidentale ( stante la parziale soccombenza derivante dalla limitazione della responsabilità della S.LU.).
La Corte d’appello ha pertanto correttamente rilevato l’intervenuto passaggio in giudicato della statuizione sulla operatività in favore dell’erede S.L. del limite di responsabilità di cui all’articolo 490 co.2 nr. 2 cc.
Si osserva in ogni caso che il motivo è comunque infondato.
La giurisprudenza di questa Corte, con l’arresto a Sezioni Unite nr. 10531/2013, ha chiarito che il limite di responsabilità dell’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario per l’adempimento dei debiti ereditari costituisce oggetto di un’eccezione in senso lato, onde può essere dedotto anche per la prima volta in appello ( nella fattispecie esaminata nella pronunziata citata, dal convenuto contumace in primo grado) .
2. Con il secondo motivo il B.M. ha dedotto la violazione degli articoli 102 e 331 epe. per mancata integrazione del contraddittorio in una fattispecie di litisconsorzio necessario processuale.
Ha esposto che l’appello era stato proposto soltanto nei suoi confronti laddove il giudizio di primo grado era stata promosso anche nei confronti di C.M.. Le posizioni dei convenuti dovevano ritenersi inscindibili tanto in ragione della loro condanna solidale che per l’oggetto della domanda di appello di S.L., in cui si assumeva la violazione del divieto di bis in idem.
3. Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, il ricorrente ha lamentato la violazione degli articoli 103 e 332 cpc., per mancata integrazione del contraddittorio in presenza di cause scindibili .
Ha dedotto che in ogni caso vi era connessione tra la azione proposta nei confronti del datore di lavoro, il de cuius S.LU. e la azione nei confronti del preposto C.M. sicché il giudice dell’appello avrebbe dovuto comunque disporre la notificazione dell’impugnazione al C.M. .
Il secondo ed il terzo motivo in quanto connessi possono essere congiuntamente trattati.
Gli stessi appaiono inammissibili .
Nella sentenza impugnata si dà atto della contumacia di C.M., nei cui confronti l’appello era stato ritualmente notificato (si veda a pagine 9 e 10: “C.M.,benché ritualmente citato, non si è costituito in giudizio ed è stato, quindi dichiarato contumace”).
Da tale rilievo discende la inammissibilità dei motivi.
Il ricorso per cassazione è infatti un mezzo di impugnazione a critica vincolata, il cui oggetto è limitato, da un lato, dalle precise statuizioni della sentenza, dall’altro dagli specifici motivi di impugnazione. Da ciò consegue la inammissibilità di ogni censura che si fondi su una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta in sentenza e più in generale su statuizioni non rinvenibili nella decisione.
In particolare, l’assunto della omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di C.M. non trova corrispondenza nelle statuizioni della sentenza ed, anzi, è in palese contraddizione con la dichiarazione della sua contumacia.
Il B.M. avrebbe dovuto preliminarmente impugnare la dichiarazione della contumacia del C.M. facendo valere l’assunto vizio del contraddittorio sotto il profilo dell’interesse “de iure tertii” alla impugnazione della dichiarazione di contumacia .
Il motivo è comunque infondato.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui in questa sede si intende dare continuità (ex plurimis: Cassazione civile 09 marzo 2015, n. 4658; 30 agosto 2011, n. 17795; 30 maggio 2008, n. 14469; 21 novembre 2006, n. 24680) l’obbligazione solidale passiva non comporta, sul piano processuale, l’inscindibilità delle cause e non dà luogo a litisconsorzio necessario tra tutti gli obbligati, nemmeno meramente processuale.
In appello trova pertanto applicazione l’art. 332, e non l’art. 331 c.p.c., (Cass. 11 febbraio 2009, n. 3338).
Vertendosi in fattispecie di cause scindibili, per giurisprudenza costante di questa Corte, che nella specie deve ulteriormente ribadirsi, la sentenza del giudice di appello, il quale abbia omesso di disporre la notificazione dell’impugnazione, è annullabile dalla Corte di cassazione soltanto se, al tempo in cui quest’ultima è stata chiamata a decidere, non siano ancora decorsi i termini per l’appello, altrimenti l’inosservanza dell’art. 332 c.p.c. non produce alcun effetto (Cassazione civile, 22 agosto 2007, n. 17868; Cass. 23 dicembre 1988, n. 7045; Cass. 6 giugno 1983, n. 3858; Cass. 8 marzo 1982, n. 1469; Cass. 14 aprile 1980, n. 2393; Cass, 1 aprile 1980, n. 2116). La notificazione dell’impugnazione nel caso previsto dall’art. 332 c.p.c. costituisce soltanto una “litis denuntiatio” allo scopo di rendere edotti tutti coloro che hanno partecipato al precedente giudizio che, ove intendano proporre impugnazione – qualora essa non sia già preclusa o esclusa – dovranno farlo unicamente nel processo instaurato con l’impugnazione principale.
4. Con il quarto motivo, proposto in via ulteriormente gradata, il ricorrente ha dedotto la violazione degli articoli 484,490,499 cc e degli articoli 747 e 748 epe.
Ha affermato che, come risultava dalla complessiva disciplina dell’istituto, non vi era corrispondenza tra la stima del compendio ereditario da effettuare in sede di inventario (art. 484 cc) ed il valore dello stesso, che risultava solo in sede di liquidazione ( art. 499 cc) sicché erroneamente il giudice aveva fatto riferimento come limite della responsabilità dell’erede beneficiato al valore di inventario dei beni.
Il motivo è infondato.
Nella fattispecie, come si legge in sentenza, non si è aperta la procedura di liquidazione dell’eredità di tipo concorsuale- quale disciplinata dagli articoli 498 e seguenti del codice civile che è frutto di una opzione dell’erede o di un creditore ereditario o legatario- ma l’erede ha proceduto ad effettuare pagamenti individuali.
In tale eventualità la fase della ” liquidazione” ( termine lessicale che non a caso non si rinviene nella lettera dell’articolo 495 cc., rubricato “pagamento dei creditori e legatari” ) è del tutto eventuale, ben potendo l’erede procedere ai pagamenti senza provvedere alla conversione dei beni del de cuius in denaro e conservare per sé la parte dell’attivo ereditario che dovesse residuare effettuati i pagamenti.
Da tale rilievo consegue la carenza di fondamento del motivo, che vorrebbe limitare la responsabilità dell’erede accettante con beneficio ad un valore di liquidazione che attiene ad una diversa procedura di soddisfazione dei creditori ereditari.
Correttamente pertanto la sentenza impugnata ha limitato la responsabilità dell’erede in riferimento al valore di stima dei beni.
Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
Le spese si compensano nei confronti della parte controricorrente per la novità della questione ereditaria trattata.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2016